"La cultura non isola" è il titolo del dossier che ha consentito a Procida di vincere il titolo di Capitale italiana della cultura 2022. La più piccola (e meno nota) dell’arcipelago campano, sorella minore di Capri e Ischia, è uno scrigno tutto da scoprire.
Il prossimo anno i riflettori della cultura saranno puntati proprio su questo micro territorio, ricco di storia e di tradizioni marinare, che ha già stabilito un primato: Procida è la prima isola che si aggiudica l’importante titolo di Capitale italiana della cultura.
Un luogo autentico, dove si respira ancora la cultura millenaria del Mediterraneo. Tutto concentrato in poco più di tre chilometri: con l’augurio che possa segnare la rinascita del Belpaese, a partire proprio dalle piccole realtà.
Procida, da isola dei pescatori a Capitale italiana della cultura 2022
Nella motivazione che la incorona ufficialmente Capitale della cultura 2022, si legge: “Il progetto potrebbe determinare grazie alla combinazione di questi fattori un'autentica discontinuità nel territorio e rappresentare un modello per i processi sostenibili di sviluppo a base culturale delle realtà isolane e costiere del Paese. Il progetto è inoltre capace di trasmettere un messaggio poetico, una visione della cultura che dalla piccola realtà dell'isola si estende come un augurio per tutti noi, al Paese nei mesi che ci attendono".
Procida si sviluppa attorno a un antico borgo di pescatori, dove la vita da secoli ruota attorno al mare e alla pesca. Una caratteristica che ha avuto negli anni un impatto socio-culturale non indifferente, consentendole allo stesso tempo di sviluppare ingredienti unici e tradizioni fortemente radicate nel territorio. Per scoprire l’isola dal punto di vista gastronomico, attraverso i suoi sapori e le sue ricette, ci siamo affidati a due chef isolani: Marco Ambrosino, chef di 28 Posti a Milano e fondatore del Collettivo Mediterraneo, e Gabriele Muro, chef dell’Adelaide al Vilòn a Roma.
“I ragazzi che cucinano stanno uscendo dall’isola: non avendo mai avuto una grande vocazione turistica, a differenza delle sorelle maggiori, sono ancora numerosi i giovani che vanno fuori per fare delle esperienze. Il bacino di utenza di tre chilometri e mezzo, per la ristorazione, è davvero molto piccolo”, spiega Ambrosino. Il ritorno dei giovani cuochi sull’isola? “Non è ancora iniziato, ma mi auguro ci sarà nei prossimi anni: bisogna creare situazioni nuove per avere stagioni più lunghe e professionalità”, risponde lo chef. E ci anticipa che, in fase embrionale, sta lavorando a un progetto di formazione a Procida per i futuri professionisti della ristorazione.
La cucina di Procida: tutto quello che devi sapere
Foto Melnychuk Nataliya | Unsplash
“Procida ha una tradizione marinara soprattutto per la pesca del cosiddetto pesce povero. Esistono due tipi di imbarcazioni da pesca: una legata alle alici, l’altra sono le paranze che pescano di tutto, in particolare crostacei come mazzancolle e gamberi bianchi. E poi, soprattutto una volta, c'era la pesca della mazzamma, un insieme di pesci differenti, misti, che andavano a finire nella frittura proprio con il nome de la mazzamma di Procida”, spiega Ambrosino.
Nei mercati di Napoli talvolta si trova ancora indicato così quel tipo di pescato misto che andava nella frittura di paranza, e che caratterizzava il pescato di Procida. “Tra i pesci della mazzamma molto tipiche sono le suace (piccole e schiacciate, ricordano delle sogliolette), oltre alle triglie minute, al merluzzetto e al pesce cipolla, ossia una specie dalla forma molto allungata, tipo serpentelli”, continua lo chef di 28 Posti.
Da non dimenticare la pesca delle alici, tra le attività più caratterizzanti dell’isola. “L’imbarcazione si chiama zaccalea in dialetto, che è la traduzione di “saccaleva”. Si tratta di barche che immergono una sacca in mare: quando si riempie di alici, la tirano su, quindi si chiude proprio come un sacco”, spiega lo chef.
La zona dove stazionano le imbarcazioni che fanno pesca di alici si chiama Marina di Corricella, ed è il borgo antico di pescatori con le case colorate. “Si tratta di un borgo molto tipico, perché, a differenza dell'architettura classica delle località di mare del Mediterraneo, Marina di Corricella è piena di case colorate, per via dell’antica storia del pescatore che da lontano, doveva riconoscere la propria casa”. Ecco perché le abitazioni di questo pittoresco angolo di Procida sfoggiano tutte colori sgargianti, dal rosso al giallo, all'azzurro.
Nel vecchio borgo di pescatori la cucina era estremamente povera, perché legata agli avanzi della vendita del pesce. “Procida aveva una storia di conservazione legata alle alici: quelle che non si vendevano, perché più piccole, venivano messe dalle mogli dei pescatori sotto sale, per conservarle”, spiega Ambrosino. “Questo procedimento consentiva l’estrema concentrazione di sapori: le alici di Procida erano pesci più piccoli pescati in un mare già molto sapido di per sé”. Questa usanza delle conserve di alici sotto sale si è un po’ persa nel tempo, ma c’è qualche speranza che venga ripresa, come ci anticipa lo chef. “Col passare degli anni il bacino dei pescatori è diminuito rispetto al passato, ma ho in cantiere un progetto per far rinascere la tradizione delle conserve di Procida, con un gruppo di amici. Nella mia cucina uso tantissimo le alici come condimento, come se fossero una salsa di soia mediterranea originaria: sono un prodotto cui sono molto affezionato”.
La ricette antiche di Procida
Foto Marco Varoli
Tra le preparazioni più tipiche dell’isola, c’è l’insalata di limoni. “Il cosiddetto limone pane di Procida è poco succoso, molto grande, ha la parte bianca estesa e dolce (l’albedo, chiamato comunemente anche "pane"). Assomigliano quasi a dei cedri, oggi ce ne sono pochi purtroppo”, spiega Ambrosino. Si prepara tagliando a fette il limone e condendolo con menta fresca, sale, aglio, olio e peperoncino.
“Le lunghe cotture non sono caratteristiche della cucina tradizionale procidana. L’unica ricetta che prevede una preparazione più complessa è un particolare ragù di pesce che si prepara a Natale con l’uso del gronco, che è pieno di lische. È una salsa a base di pomodoro, gronco, uva passa e pinoli, che si fa cuocere a lungo a fuoco basso, proprio come un ragù napoletano".
In omaggio alla sua bella isola, lo chef prepara La Procidana. “Si tratta di una pasta condita con un sugo di pomodoro alla brace, che riprende l’antico uso contadino per cui si sbollentava appena il pomodoro e si condiva la pasta, senza soffritti o uso di padelle (il pomodoro veniva, appunto, solo sbianchito o scottato su piastra di ghisa)”, spiega Ambrosino.
Tra le ricette ormai diventate un’istituzione, infine, c’è lo spaghetto con i ricci di mare. “A me piace crudo, condito all’insalata, con aglio, olio e limone. Si cucina così anche in barca, nella maniera più folkloristica, usando i pochi ricci pescati”, precisa lo chef. “Oggi dobbiamo re-imparare a rapportarci al riccio di mare: purtroppo la commercializzazione selvaggia ha completamente distrutto i fondali e non si trovano più né ricci né altri prodotti come le cozze selvatiche: è importante lanciare il messaggio che non si può pretendere di trovare in ogni momento dell’anno gli spaghetti con i ricci di mare. Adesso, purtroppo, abbiamo i fondali bianchi, bellissimi per le foto, ma completamente distrutti dal punto di vista della fauna".
E ancora, dall’orto procidano arriva l’insalata di cavolo cappuccio pasquale, con aglio fresco, menta, cipollina, limone, “ossia prodotti di prossimità che potevano essere facilmente reperiti nei piccoli terreni dei contadini isolani”.
Un altro must della tradizione contadina procidana è il Pesce Fujuto. “Una sorta di minestra a base di pomodoro schiacciato, pane secco, peperoncino verde e foglia di basilico: questo pane ammollato nel pomodoro un tempo rappresentava la classica colazione del contadino”, aggiunge lo chef.
Come spiega Ambrosino, a Procida c’è una lingua di terra nella zona della Chiaiolella, che prende nome di "Parula", dove un tempo venivano coltivati gli ortaggi. "Si tratta di un tratto di terra che costeggia il litorale e che praticamente è al livello del mare, se non più in basso: lì venivano coltivati dei pomodori che avevano forme particolari (e non la classica, regolare, dei San Marzano, di cui sono "cugini"); erano ortaggi cresciuti con acqua di mare filtrata da terra e da ghiaia, dal sapore molto particolare. Lì si coltivavano anche le famose mammarelle di Procida, carciofi molto grossi e teneri, tanto che gli abitanti della Chiaiolella sono soprannominati "turzi", termine dialettale per indicare i gambi dei carciofi", prosegue.
Tra le creazioni iconiche di Marco Ambrosino, servite nel suo ristorante 28 Posti a Milano, non a caso c'è La Chiaiozza, una vera e propria dichiarazione d'amore alla sua terra d'origine, e che prende nome dalla baia di casa sua. "Si tratta dell'unico piatto che non ho mai tolto dal mio menu, a base di canocchie crude, gelato al riccio di mare, olio al pino marittimo e insalata di cavolo cappuccio: tutti ingredienti che sono prossimi o che si trovano sull'isola dove sono cresciuto".
Il menu degustazione dedicato a Procida
Gabriele Muro, chef alla regia dell'Adelaide al Vilòn di Roma, per l'entusiasmo della nomina di Procida come Capitale italiana della cultura 2022, ha deciso di dedicare all'isola un percorso gastronomico speciale. Sarà disponibile a partire dal 25 gennaio. "Sarà un menu a tema, che declinerà in chiave contemporanea, leggermente rivisitata, i sapori della tradizione marinara di Procida", racconta lo chef, che in carta ha sempre Quell'estate a Procida, un raviolo in acqua di pomodoro, ripieno di mozzarella di bufala e al profumo di basilico.
"Nel menu - che si chiamerà Sull'isola di Gabriele - ci saranno piatti realizzati con ingredienti quali limoni, carciofi, pesce azzurro, ricci di mare, cicarelle, scorfano e totani", ci anticipa lo chef. Ecco allora la Pasta con le cicalelle, Lo scorfano scherza sott'acqua, L'insalata di limoni, La pescatora povera (pasta con alici e friggitelli)
Che significato ha questo titolo conquistato da Procida, che sarà la più piccola Capitale italiana della cultura mai eletta? "I procidani sono un popolo molto unito, e finalmente l'isola è emersa alla luce di tutti. Siamo sempre stati all'ombra di Capri e Ischia, quindi per noi è una grande opportunità. Dobbiamo lavorare sodo, per accogliere al meglio i visitatori: non dobbiamo stravolgere la nostra natura, ma allo stesso tempo dobbiamo farci trovare pronti a mostrare le bellezze dell'isola. I procidani sono un popolo di marittimi, pescatori o comunque svolgono tutti lavori legati al mare. In questi ultimi anni sta cambiando la mentalità dell'isola, sempre più disposta ad accogliere i turisti, orgogliosi di mostrare le nostre tradizioni. Stanno aprendo nuovi ristoranti, b&b e piccole strutture ricettive: siamo molto informali, ma credo che questo possa essere un punto di forza", conclude Muro.