A sorpresa, i fratelli Massimiliano e Raffaele Alajmo, da 31 anni alla regia del ristorante fondato da papà Erminio e mamma Rita nel 1981, mi hanno insegnato che la più alta delle esperienze culinarie può rappresentare un viaggio giocoso e godurioso dentro se stessi e nel mondo. Immaginate di tornare bambini e di essere protagonisti di un romanzo di formazione: con occhi nuovi, ascoltando suoni inediti e lasciandosi trasportare da percezioni inusuali, si sperimenta in prima persona la ricerca multisensoriale che è alla base della cucina di chef Max. Una ricerca che si lascia ispirare dall’arte e dall’innato istinto al bello e al buono, ma che non dimentica mai di mettere al centro l’ospite, offrendo una visione amena, godibile e incantata dell'universo cibo.
Quello che mi colpisce di Max Alajmo, che nel 2003 è stato il più giovane chef nella storia a ottenere tre stelle Michelin, quando aveva solo 28 anni, è il sorriso con cui entra in sala e va a salutare ogni tavolo durante il percorso gastronomico: il sorriso di chi è rimasto fanciullo dentro, da cui traspare quel senso artistico, spontaneo e genuino, che permea ogni sua creazione. Niente retorica, lui dipinge veramente (e si vede): usa tempere e acquerelli per illustrare alcuni piatti, ma anche per personalizzare la copertina di ogni menu, che cambia stagionalmente. Cosa aspettarsi da un pranzo o da una cena a Le Calandre? Che cosa significa mangiare alla corte degli Alajmo? Sensazioni, dettagli, visioni: ecco tre cose che non dimenticherò mai di questa esperienza a tre stelle Michelin.

Foto Filippo Noventa
Viaggio sensoriale alla corte degli Alajmo: tre cose che non dimenticherò dell’esperienza a Le Calandre
Mi sarei aspettata di tutto, fuorché di sentirmi a casa, divertita e coccolata. E invece, la mia prima volta alla tavola degli Alajmo a Le Calandre, 3 stelle Michelin a Padova, mi ha riconciliato con l'essenza più profonda dell'alta cucina.
L’emozione di provare classici che hanno fatto la storia della cucina
Sono tre i menu disponibili: Classico, Max e Raf. Io ho lasciato carta bianca allo chef e allo staff de Le Calandre, che mi hanno proposto un mix di piatti storici del ristorante tratti dal primo menu, con alcune nuove creazioni della carta di primavera, appena introdotta. Non dimenticherò mai l’emozione provata ammirando il Cappuccino Murrina, un classico di Alajmo assimilabile a una vera e propria opera d’arte da assaporare con occhi e palato. Anzi, la sensazione è proprio quella di mangiare i colori di questo quadro variopinto dedicato all’iconica lavorazione veneziana del vetro da cui prende nome: alla base del piatto, la seppia con il suo nero e la crema di patate; in superficie, un tourbillon di sfumature che spaziano dal blu al viola, dal verde al rosso, date da caleidoscopiche riduzioni di barbabietola, alga spirulina e crema di spinaci, in aggiunta ai ricci di mare. Un sogno a colori.
Dalla vista si passa all'esplorazione dell’olfatto con Passi d’oro, l’ultima versione del risotto zafferano e liquirizia, celebre abbinamento firmato Alajmo e diventato ormai un cult della cucina italiana. E’ preceduto da un calice vuoto, dove viene nebulizzato un profumo alimentare di Lorenzo Dante Ferro, Luce Brillante, che restituisce al naso i sentori della ricetta, amplificando così l’esperienza. Questa versione più recente dell’iconico risotto, che si rifà ai concetti di Yin e Yang, oscurità e luce, è dedicata a un’opera d’arte di Roberto Barni esposta all’esterno del Museo degli Uffizi a Firenze. “Oltre allo zafferano e alla liquirizia, troviamo gocce di limone nero fermentato, limone verde e peperoncino. Durante la degustazione consigliamo di avvicinare il calice al naso, in modo da ampliare le fragranze a 360 gradi”, mi spiegano. Il piatto viene accompagnato da una cartolina che riporta il numero progressivo di chi lo ha scelto (io sono il n. 10213), con tanto di QR Code e illustrazione dell’opera di Barni. Aromatico, profondo, avvolgente: un’onda pazzesca.
Ascoltarsi masticare ed esplorare i sensi a tavola a partire dall’udito
A proposito di sensi, la ricerca di Alajmo sull'udito e sulla croccantezza ha dato vita a una creazione a dir poco originale. Sì, perché quando si dice “usa un uovo intero” non pensiamo mica all’utilizzo del guscio, oltre a quello del tuorlo e dell’albume. Eppure, Max Alajmo lo ha fatto, portando agli estremi il concetto di cucina circolare, ma soprattutto esplorando la sensazione sonora della masticazione. Nasce così Suono N’uovo, un piatto che lo chef ha presentato lo scorso anno a Identità Golose, diventato in poco tempo un simbolo della sua filosofia e del suo approccio gastronomico, che si traduce in fettuccine di pasta fresca impastate con guscio d’uovo di gallina polverizzato. “L’uovo viene prima trattato: cotto al vapore, privato della membrana interna, ricotto in forno e reso in polvere”, mi spiegano. E’ utilizzato nell’impasto di questa tagliatella speciale, che viene servita con fonduta di Castelmagno, erbe aromatiche e brodo di sedano rapa.
Le sorprese non sono finite: accanto al piatto, mi è stato servito un tovagliolo contenente dei tappi per le orecchie. “Durante la degustazione, il consiglio è di indossarli, in modo da concentrarsi sull’acustica”, mi spiegano. Sono sorpresa, quasi interdetta. Ma la cucina mi ha più volte insegnato che bisogna essere liberi, senza barriere mentali, e che la stessa gastronomia può rivelarsi un utile esercizio esplorativo, per superare preconcetti e ostacoli. Così, mi abbandono al destino e seguo i consigli del cameriere: “Durante la masticazione, chiudete gli occhi: avvertirete una sorta di suono palatale molto interessante. Al termine, bevete il brodo che vi abbiamo portato, a base di gallina, timo e incenso", spoilera. Inizio così a masticare chiudendo gli occhi e a concentrarmi sul suono, sul ritmo delle cose e sulla masticazione. Che cosa succede? Scopro una sonorità inedita, un’amplificazione incredibile della masticazione che trasporta quasi in un’altra dimensione, dove sono intimamente connessa e riesco ad ascoltarmi: un piccolo viaggio dentro di sé.
Leccare un palloncino e spazzolare i denti: mangiare su supporti alternativi
Che i supporti del mio pranzo a Le Calandre sarebbero stati a dir poco alternativi l’ho colto subito, dopo gli amuse bouche di benvenuto, quando mi è stato servito il Nudo e crudo di primavera. Sì, perché sul tavolo di legno nudo, appunto, è stato delicatamente adagiato un parterre di creazioni sulla base di una pellicola trasparente di supporto. Alcune da mangiare rigorosamente con le mani, per entrare in contatto con la sensazione tattile della gastronomia. Un girotondo scandito da Wafer di grano arso con misticanza, panna acida vegetale, astice e caviale, Orata con salsa di olive nere, finocchietto di mare e sorbetto di pomodoro, Spaghetto di soia con alghe, wasabi, calamari e capasanta al sesamo, Cuore di lattuga con canocchie, rucola e senape, Tartare d’asino con cozza leggermente affumicata, peperoncino e sardina.
Poi, dalla trasparenza iniziale sono passata all’esperienza ludico-tattile finale: il mitico Gioco al Cioccolato, una proposta in carta dal 2002, quando è nata la prima figlia dello chef, e da allora rinnovata ogni anno. Il tema del 2025? Labbralinguadentipalato, un nome è che è tutto un programma e che anticipa l’esperienza che andrò a fare: una sequenza di assaggi che giocano con le sensazioni tattili orali, passando dall’untuosità all’astringenza, dalla piccantezza alla pungenza, dallo sbalzo termico all’effervescenza. Una portata che mette in rilievo aspetti che generalmente passano in secondo piano, a partire dal materiale di supporto e dalla sensazione che regala al palato. Una sorta di bugiardino illustrato spiega come degustare ogni assaggio del Gioco al Cioccolato 2025: la tazzina di tiramisù con il bordo ricoperto di crema si lecca tutto intorno con la lingua, mentre con il cucchiaino si raccoglie il contenuto al suo interno; il cucchiaio di legno con lo zabaione si passa sulla lingua, per concludere con la gelatina al frutto della passione; si prosegue con la crocchetta di cioccolato e nocciola, poi con l’uovo all’ananas da bere e con la salvia da passare sulle labbra, per poi arrivare al palloncino farcito con lampone, limone e tegole sbriciolate, uno dei supporti più insoliti su cui io abbia mai mangiato, tutto da leccare. Quindi si arriva alla bacca di vaniglia e infine allo spazzolino con gel alla menta e polvere effervescente, da strofinare prima sulla lingua e poi sui denti, proprio come quando li laviamo. Si conclude con un ricordo di carta da lettere, una striscia rinfrescante da leccare a mo’ di francobollo, seguita da un’acqua tonica al rosmarino: un gioco divertente, istruttivo, unico.
A fine pasto, quando mi portano a fare un giro nella Sala Cavalieri, il privé collegato alla cucina, colmo di cimeli, ricordi e foto di famiglia, guardo i quadri di Max appesi alle pareti, e ho la netta conferma di quanto ho pensato per tutto il pasto: c’è del genio artistico, autentico e indiscutibile, che penetra senza forzature in ogni particolare del ristorante e della proposta gastronomica, in ogni dettaglio del servizio, empatico e attento. Traspare dalle scelte cromatiche dei piatti, dalla mise en place con le ceramiche d’autore e con i meravigliosi calici firmati Alajmo Design, che spaziano dagli estrosi baloon exra large Big Raf ai bicchieri in vetro con le impronte dei due fratelli. Ed emerge nettamente nella costruzione di creazioni gastronomiche inedite, capaci di sorprendere e coinvolgere tutti i sensi. È il bello (e il buono) che fa bene all’anima.