Una stella Michelin e una stella verde che si guadagna attraverso progetti di alta gastronomia legati alla sostenibilità, questi sono solo due dei titoli conquistati da Chiara Pavan, chef al timone di Venissa a Mezzorbo.
La tenuta è un piccolo gioiello immerso nella laguna di Venezia e chef Pavan ha molto a cuore il territorio che ospita la sua cucina. Nell’estate del 2023 abbiamo molto sentito parlare di Chiara Pavan. È stata una delle stagioni più calde mai registrate e proprio la chef parlava ai microfoni di tutte le tv spiegando come ha sfruttato l’invasione del granchio blu nel nostro Adriatico.
Quello che possiamo dire con certezza è che per Pavan la sostenibilità non è un trend ma una vera e propria vocazione che l’ha spinta, già quattro anni fa, ad eliminare tutte le portate di carne dalla sua carta e ad inserire specie aliene (o specie invasive, chiamiamole come vogliamo) nel menu.
La sua cucina ambientale, come ama chiamarla lei, è fatta principalmente da ingredienti vegetali provenienti dalla tenuta stessa e da prodotti ittici del territorio, nel rispetto dell’etica e delle stagioni. Il granchio blu, così come la rapana venosa che abbiamo visto anche nella puntata di MasterChef che l’ha ospitata nell’ultima edizione del fortunato programma tv, è un ingrediente che da tempo fa parte dei piatti della chef che non ha il vezzo di fare “alta gastronomia sostenibile”, ma un vero e proprio obiettivo: fare bene al pianeta cominciando dal piccolo fazzoletto di terra (e di laguna) in cui vive e lavora.
In occasione dell’ultima edizione di Identità Golose di Milano, che aveva come temi innovazione, disobbedienza e rivoluzione, chef Pavan, insieme a Manuel Agnelli (produttore discografico e musicista), ha parlato a lungo della disobbedienza in cucina e nella vita, passando anche per la musica. Il suo intervento è stato uno dei più attesi e seguiti della tre giorni e il motivo è semplice: Chiara Pavan è una delle figure più influenti e intelligenti dello scenario gastronomico italiano. Dopo il suo speech l’abbiamo incontrata per un’intervista e ha risposto così alle nostre domande.
Non esiste innovazione senza disobbedienza. Ci hanno però sempre fatto credere che l’alta cucina fosse rigore e disciplina. Serve dunque solo la disobbedienza per cambiare le cose?
No. Viviamo in un’epoca in cui c’è molta libertà ed è vero che l’alta cucina è rigore, come per molti altri lavori. Sono un po’ stanca di questa retorica che sostiene che l’alta cucina sia rigida. È rigore ed è innegabile, perché per me le persone che lavorano bene sono e devono essere rigorose. Dobbiamo essere consapevoli della libertà che abbiamo, forse bisognerebbe chiedersi come sia venuto in mente a Marchesi di fare un raviolo aperto o a Cracco come ha avuto l’intuizione di mettere un’acciuga insieme al cacao. Queste erano vere disobbedienze perché appartenevano ad un momento storico in cui c’erano delle regole di cucina difficili da contrastare e smontare. Rigore e disciplina oggi servono per lavorare alla nostra libertà di espressione.
È una disobbediente?
Non mi sento tanto disobbediente anche se vorrei esserlo. Sono una secchiona, sono ligia al dovere ma amo molto il concetto di disobbedienza.
Spesso nell’intoccabile cucina italiana, la parola innovazione è sempre accompagnata dalla parola tradizione. Che ruolo ha la rivoluzione in questi due concetti così estremi tra loro?
Forse dovremmo smettere di parlare di innovazione. È un concetto passato. In questo momento non c’è bisogno di innovare, c’è da prendersi cura dell’ambiente in cui viviamo e del prossimo. La direzione giusta secondo me dovrebbe essere questa. Può esserci certamente del genio innovativo, ma non è quello che in questo momento dobbiamo perseguire.
Non è un po’ stanca di essere associata al granchio blu?
(Ride, ndr) No, non ancora, dai.
È stata una delle prime persone di cucina a parlare di specie aliene. Come è nata questa cosa?
Arrivavano i pescatori alla mattina e mi portavano i granchi blu in grandissima quantità. Da lì ho cominciato a informarmi, non mi sono confrontata solo con i pescatori di Burano ma anche con il buyer che ci gestisce gli acquisti sull’Alto Adriatico e lui mi portava specie che si trovavano in grande quantità ma che non avevano mercato. Io parlo molto con i fornitori e sono loro che mi portano alle decisioni su cosa mettere in carta. Credo molto nel concetto di networking, è questa l’innovazione di cui c’è bisogno. Ristoratori e produttori dovrebbero essere le facce della stessa medaglia, in questo modo si capirebbe meglio e subito cosa è meglio usare e cosa no.
Ha definito la sua come cucina ambientale. Come cambieranno le nostre tavole nei prossimi dieci anni?
Sicuramente vedremo presto un cambiamento dal punto di vista delle risorse ittiche. Spariranno pesci che abbiamo sempre visto e mangiato, ma lo riscontro già adesso. Non c’è un’industria di anguille e crostacei ad esempio, sono specie che spariranno a breve. Sull’agricoltura e anche sull’industria della carne non vedremo risultati nei prossimi dieci anni perché è tutto forzato dalla volontà umana.
È colpa nostra?
Non è colpa nostra, è un problema molto grande. Credo anche che fare delle scelte personali “responsabili” non sia nemmeno totalmente giusto. Tu puoi avere la tua coscienza, ma non puoi stigmatizzare le altre persone. Questo è un problema politico, bisognerebbe dare voce a chi intende impegnarsi in questo senso, è chi ci rappresenta a dover prendere queste importanti decisioni.
Senza fare rumore non si hanno rivoluzioni, questo è abbastanza storico. Qual è la rivoluzione che vorrebbe vedere e che rumore serve per ottenerla?
Il cibo legato all’ambiente è un tema che mi interessa molto, al di là dell’aspetto culinario. Credo che bisognerebbe davvero impegnarsi per questo obiettivo, anche come categoria. Le prossime generazioni si troveranno in grave difficoltà e ci vuole la sensibilità di non pensare al presente. Pensare al futuro credo che sarebbe una vera rivoluzione da mettere in atto a livello personale e collettivo. La politica dovrebbe dialogare con la categoria della ristorazione per collaborare e affrontare il problema dello sfruttamento umano e ambientale.
Professionista capace e persona illuminata: perché resta in Italia dove purtroppo siamo parecchio indietro su queste tematiche?
Sono molto legata ai miei affetti e alla mia realtà. Non lo escludo, ma per ora questo è il mio posto.