Le sue parole hanno la capacità di aprire la mente e di liberare gli orizzonti gastronomici dalla nebbia, a prescindere dalle convinzioni culinarie e dalle scelte alimentari individuali. Perché? Sono in grado di regalare un profondo senso di libertà. Pietro Leemann è considerato il padre dell’alta cucina naturale. Nel lontano 1989, quando tematiche green quali l'approccio veg e la sostenibilità erano di grande nicchia, ha fondato il Joia a Milano, il primo e unico ristorante vegetariano italiano che vanta una stella Michelin dal 1996.
Di origini svizzere, lo chef ha molto da raccontare: il suo percorso, che lo ha visto, tra gli altri, al fianco del maestro Gualtiero Marchesi, ma anche impegnato in Oriente, dove ha approfondito tematiche filosofiche e spirituali a lui care, ci insegna che la cucina è libertà e consapevolezza delle proprie scelte.
Una lezione che torna utile a tutti, e che ci porta a guardare la natura e il piatto in maniera diversa, con un grande senso di inclusione per qualsivoglia forma di espressione.
Pietro Leemann, assieme a Sauro Ricci, executive chef del Joia, è uno dei protagonisti di Identità Golose On The Road Digital Edition: dal 16 novembre, la sua lezione sarà disponibile sulla piattaforma online creata ad hoc per questa edizione speciale di Identità Golose.
Noi lo abbiamo incontrato durante le registrazioni e ne abbiamo approfittato per fare due chiacchiere sulla situazione attuale della ristorazione, e non solo.
Ecco cosa ha raccontato Pietro Leemann a Fine Dining Lovers.
Nel suo intervento a Identità Golose ha parlato di prevenzione: a questo proposito, la cucina vegetariana che ruolo può avere, può diventare protagonista?
Sì, sicuramente, per il semplice fatto che da un lato è più sana, ma soprattutto perché è una cucina che è vicina alla natura e a chi la mangia. È in questa vicinanza che c’è la maggiore salute e la maggiore prevenzione: nel tempo spesso ci siamo allontanati dalla natura - paradossalmente dissociandoci da essa - ma noi siamo natura, non possiamo far finta di non esserlo. Quindi il ritrovamento di questo è la chiave del benessere.
Nel corso dell'intervento ha detto anche che ci sono sempre delle lezioni, che tutto quello che accade nella vita è perché c’è un significato. La domanda è spontanea: qual è la lezione del Covid e di tutto quello che stiamo vivendo?
La lezione del Covid è dare il senso che spetta alle cose, quindi dare priorità a ciò che è più importante, che non è solo la salute, perché questo è semplicemente un aspetto della vita, ma è per esempio la libertà delle scelte, l’amicizia con le persone, l’apertura ad altre culture: sono tutti aspetti da tenere in considerazione, anche perché effettivamente è stata una pandemia democratica, che ha coinvolto tutti, indiscriminatamente - e in questa democratizzazione ci si rende conto di come gli altri siano come noi, e questo a me piace molto.
E il mondo della cucina e dei ristoratori, secondo lei, ha imparato qualcosa da questa pandemia?
Dovremo stare a vedere: quello che si impara, lo si vede sempre a posteriori. La paura di tanti è che si torni ad agire come si faceva prima, e sarebbe un peccato, un’occasione persa. Quando dico che nulla è un caso significa che, se non abbiamo imparato ora la lezione, quel “caso” si ripresenterà subito dopo, quindi è opportuno provare il cambiamento, anche perché la trasformazione è il vero sale della vita, ed è affascinante che avvenga. Se ho una vita monotona, dove tutto si disfa senza un vero cambiamento, è tempo sprecato.
A proposito di cambiamento, qual è il futuro immediato del Joia, a fronte delle ultime disposizioni?
Saremo aperti solo a pranzo, anche domenica e lunedì, finché non cambieranno le cose. E cercheremo di reinterpretarci , facendo pure il delivery, più che altro per passare attraverso questo momento, anche perché ci siamo resi conto che, appena le attività sono ripartite, abbiamo lavorato molto bene, quindi immaginiamo che, anche dopo, accadrà nuovamente. Si tratta, insomma, di riuscire a passare indenni attraverso questa situazione, ma facendo dei passi molto ponderati. Faremo anche il take away, ma in chiave gourmet: non piatti finiti, ma da assemblare a casa. Con il Joia Lab vendiamo preparazioni come tempeh, dolci, salse particolari, mentre con il servizio Joia a Casa portiamo dei piatti veri e propri piatti, che poi le persone realizzano.
Secondo lei come può sopravvivere la ristorazione in questa situazione difficile?
Io penso che comunque ci sarà un ridimensionamento, e l'aspetto positivo del ridimensionamento è che alla fine vince la qualità e chi fa veramente bene, forse anche in una semplificazione, perché a tratti la cucina è diventata molto scenografica, quasi roboante, quasi eccessiva, perdendo il senso. La voglia di stupire e lo stupore che ne consegue non è il vero senso, ma è la sostanza il senso di quello che si fa.
Lei ha avuto un ruolo cruciale nell’ambito della cucina naturale. Dal suo punto di vista, come è cambiato questo mondo negli ultimi tempi, i vegetariani sono sempre più numerosi?
In questo momento i più numerosi, in realtà, sono i flexitariani, ossia le persone che mangiano la carne solo occasionalmente. E questo è il vero fenomeno che c’è in atto, anche perché diventare vegetariani implica una scelta di vita totalizzante, precisa, radicale, che a monte ha anche degli aspetti filosofici, etici e morali. Una scelta flexitariana, invece, implica tutto ciò che concerne la sostenibilità e la salute (che sono lati molto importanti), quindi è come un primo passo che si fa in quella direzione. Ma è un passo straordinario anche questo, dal mio punto di vista.
C’è una nuova consapevolezza nell’approccio al cibo?
Sicuramente sì, perché c’è una certa sensibilizzazione nella persona di cosa è meglio per sé, di scegliere ciò che è più opportuno per sé, senza in fondo lasciarsi deviare da mode o da abitudini che magari non le corrispondono, e questo secondo me è interessante. “Ma cosa veramente è meglio per me?” è la domanda che si fanno sempre più spesso le persone.
La pandemia può aver incrementato queste scelte più consapevoli in relazione al cibo?
Sicuramente sì. Innanzi tutto, un altro fenomeno bello che si verificato è che le persone hanno cucinato molto di più a casa negli ultimi tempi, e cucinare è una forma di libertà, perché ci prepariamo quello che veramente vorremmo mangiare: è diverso da quando lo fanno gli altri. Il Covid è un virus che non si può ammaestrare - ma ci sono elementi che lo generano. Per esempio, è emerso che è nato da una contaminazione col mondo degli animali, ed è evidente che questo andrebbe sempre più evitato. Non sono contro chi mangia la carne, ma se la mangia, dovrebbe essere una carne per la quale non ci sia stata una sofferenza animale. Dire “non mi interessa nulla, esisto solo io” credo sia un impoverimento della cultura, e non è il modello migliore da seguire. Oggi si è alla ricerca di un benessere totale, che passa anche dal cibo.
Con Sauro Ricci, durante la lezione a Identità Golose, ha parlato del fuoco come elemento primordiale in cucina: sarà cruciale nel vostro prossimo menu, ci anticipa a cosa state lavorando?
Da dicembre inizierà il nuovo menu, ci lavoreremo nelle prossime settimane. Il fuoco rimarrà un filo conduttore. Io poi associo molto il benessere alla freschezza, mi piacerebbe abbinare elementi come la pulizia del palato e la freschezza, che è vitale e rivitalizza, anche all’inverno, e non solo all’estate.
Alcuni mesi fa, ha dichiarato che fra qualche anno vorrebbe ritirarsi: la pensa ancora così?
Io ho quasi 60 anni, e a un certo punto lascerò il testimone… La vita è fatta di fasi e vanno rispettate: sono molto appassionato di introspezione e spiritualità, e mi piacerebbe dedicarmici completamente prima o poi, ma non c’è una data. Cercherò di farlo nel modo giusto, perché la mia missione è stata quella di portare la cucina a una dimensione più vicina all’uomo e alla natura, e mi piacerebbe che questo continuasse. Sauro Ricci, che ha un grande spessore in questa direzione, può portare avanti il discorso e spingere verso questa attenzione, che è indispensabile.
Il vostro, in cucina, è un approccio spirituale: può essere un’attitudine che può aiutare un po’ tutti, una chiave di lettura post Covid?
Sarebbe bellissimo, rappresenterebbe davvero una bellissima lezione appresa. Bisogna dare più accento alla spiritualità. Dal mio punto di vista, stiamo vivendo purtroppo un momento in cui si sta perdendo questo aspetto, la spiritualità viene spesso dimenticata. Aldilà del credo, penso che studiare la religione sia importante per la formazione: vedo movimenti di giovani molto belli, ma che non parlano mai di questo ambito, eppure per me è il punto di partenza. Un bell’invito da fare ai ragazzi è che considerino l’aspetto religioso non solo in senso etimologico da religo, unire, ma anche come dimensione sacra, non banale. Approccio spirituale significa non solo salvare il pianeta, che è fondamentale, ma anche dare spessore, avere riverenza verso il cibo e la natura.
A proposito di giovani, che cosa vorrebbe dire a uno chef under 30 che magari ora è in crisi?
Di trarre forza da ciò che è più importante nel quotidiano: la spiritualità si vive nelle relazioni, perché anche la relazione è sacra, per cui se io sono vicino ai miei cari nel modo più empatico possibile, quella è spiritualità. Bisogna capire la distinzione tra ciò che è superficiale e ciò che è vera sostanza, e la vera sostanza non è né la fama né il piatto bello, ma la vera sostanza è come si è: questo il messaggio che voglio dare.