Di origini peruviane, con una bisnonna giapponese, Alexander Robles è lo chef alla regia di Azotea, il ristorante che ha portato a Torino la cucina nikkei di impronta fine dining. Si è tenuto qui il primo appuntamento con il ciclo di cene L'equilibrio in un piatto in collaborazione con Acqua Panna, un’iniziativa che coinvolge giovani chef italiani under 40, chiamati a interpretare in un piatto la propria idea di equilibrio, tra passato e presente, tra tradizione e contaminazione. “Abbiamo servito a tutti il piatto dell’equilibrio, Selva Alta/Tiradito Andino: sia come come amuse bouche, a chi ha optato per il menu alla carta, sia come quarta corsa, a chi ha seguito il menu degustazione di sei portate. Abbiamo ricevuto dei feedback molto positivi: per molti era la prima volta in un ristorante nikkei”, racconta Robles. “Non siamo un ristorante super informale e questo è un plus: accogliamo gli ospiti come se fossero amici, a casa nostra”.
Selva Alta / Tiradito Andino, il piatto dell'equilibrio di Alexander Robles
Classe 1989, lo chef ha trovato la sua dimensione nel capoluogo piemontese, forte di importanti avventure professionali: è passato dal Carlina Restaurant, all’interno dell’hotel NH a Torino, al ristorante Del Cambio, dall’Escale in Francia all’esperienza nel suo Paese d'origine, alla corte del grande Gastón Acurio, punto di riferimento della gastronomia peruviana. Con la sua storia, Robles incarna alla perfezione lo spirito della cucina nikkei, che racconta storie di immigrazioni e di fusioni nippo-peruviane.
Ecco che cosa ha raccontato a Alexander Robles Fine Dining Lovers.
Ci racconta il suo “piatto dell’equilibrio”: perché lo ha scelto, che cos’è per lei l’equilibrio in cucina?
Ho scelto Selva Alta/Tiradito Andino, la quarta portata del nostro menu degustazione, che è un tiradito andino, ossia un tipo di ceviche in stile nikkei: ho usato la trota iridea che abbiamo salmistrato con yuzu, lime e miso, oltre a sale e zucchero ovviamente, per cambiarne consistenza. L’abbiamo tagliata a mo’ di sashimi, ma con la pelle, quindi l’abbiamo abbrustolita a fiamma viva, poi l’abbiamo servita con alcuni contorni: la quinoa in due consistenze (croccante, soffiata come un pop corn, e sbianchita, condita con sale e olio); la crema di camote, patata dolce peruviana; i tarwi (lupini peruviani presidio Slow Food, che ci arrivano essiccati) conditi con sale e olio; l’ayrampo, il frutto di un cactus andino (sempre presidio Slow Food), di cui usiamo i semini per fare la leche de tigre, ossia il dressing del piatto. Se parliamo di equilibrio, questo piatto è perfetto, perché combina diversi elementi e diverse tecniche: dal gusto intenso della trota alla nota floreale della leche de tigre, che è anche acidulo e leggermente piccante, ma c’è pure la rotondità e la dolcezza della patata camote, e la croccantezza della quinoa. Equilibrio in cucina significa mettere insieme elementi diversi: tecniche peruviane e giapponesi, ma anche ingredienti diversi. L'equilibrio si intende anche esteso al pairing, dal momento che serviamo tutte le portate del menu degustazione con un cocktail in abbinamento. In questo caso il drink è parte del piatto, ossia è un complemento importante, perché è un drink gastronomico, il nostro Sip numero 4: c’è uno strato di pomodoro che riprende l’acidulo della leche de tigre, poi il fermentato di cavolo viola all’alloro, il Mezcal e un amaro salato, oltre a una scorza di lime come garnish.
Mare freddo della corrente peruviana, una creazione di chef Alexander Robles
Ha vinto il “Premio Contaminazioni” della Guida Identità Golose 2023: che significato ha per lei questo riconoscimento e il concetto “contaminazione”, molto attuale nella gastronomia (di cui la cucina nikkei è espressione)?
Contaminazione per noi significa mischiare il mondo giapponese con quello peruviano, che non è un fatto recente, ma anzi questo tipo di cucina ha più di 100 anni. Nasce con il fenomeno delle immigrazioni, tanto che nikkei significa “emigrato di seconda generazione” in giapponese. Questa cucina mi rappresenta al 100%, perché anch’io non mi trovo nel mio Paese d’origine, quindi riuscire a fare una cucina del genere è una cosa importante: possiamo realizzare tutti i piatti, grazie agli ingredienti che riusciamo a trovare col tempo, grazie alla globalizzazione. Far conoscere i prodotti e le materie prime peruviane ai torinesi è importante, mentre la cultura giapponese è già molto conosciuta.
Virgilio Martinez primo ai World’s 50 Best Restaurants con il suo Central: ora che la cucina peruviana è sulla vetta del mondo secondi lei cambierà qualcosa?
C’è molto orgoglio perché Virgilio ora rappresenta la cucina peruviana nel mondo e questo è importante non solo per chi sta in Perù, ma anche per i peruviani in giro per il mondo, che si sentono incentivati a promuovere la cultura gastronomica d’origine. E poi lui è proprio un missionario a mio avviso: assieme alla sorella fa tantissima ricerca, in ogni menu tira fuori degli ingredienti pazzeschi e insegna tanto anche a noi colleghi chef. Lo guardiamo con ammirazione, è il sogno di tutti arrivare in quella posizione. Io sono stato a lavorare al fianco di Acurio: lui e Virgilio sono persone molto diverse, Acurio ha fatto il primo grande lavoro a livello mondiale, facendo conoscere la cucina peruviana, le materie prime e la tradizione a livello mondiale, mentre Virgilio ha portato avanti un grande lavoro innovativo.
Huatia, una creazione di chef Alexander Robles
Ha avuto esperienze molto diverse tra loro, in Italia, in Francia e in Perù: come hanno influito sulla sua arte, come ha adattato la cucina nikkei al palato italiano?
Ho lavorato con Gaston Acurio a Lima, in Perù, poi ho avuto diverse esperienze in Europa e in Medio Oriente. Non si parlava di “adattare” la cucina, ma di fare la vera cucina nikkei. Il ruolo della cucina giapponese è cruciale, perché dà la giusta disciplina e il giusto equilibrio alla cucina peruviana, che è molto esplosiva e colorata, a livello gustativo e visivo: per me questo è il match perfetto per avere una cucina molto equilibrata per qualsiasi palato. Si tratta di una caratteristica naturale della cucina nikkei, quindi non ho dovuto ricercare nuove tecniche o escamotage per rendere questo tipo di approccio gastronomico facilmente fruibile o comprensibile.
Azotea è il tempio torinese della cucina nikkei: come è stata recepita dal pubblico?
Il ristorante Azotea è nato a Laigueglia, in Liguria, dove già si faceva cucina nikkei: la proprietà era già partita con l'idea di far conoscere questa cucina particolare. Dicevano no alla pasta al pesto e a chi cercava piatti tradizionali liguri… Sono stati perseveranti, ma quando si sono trasferiti a Torino hanno avuto una consacrazione: c’è una grande comunità peruviana in città e tutti erano curiosi. Quando sono arrivato io, a febbraio 2022, le cose sono cambiate: abbiamo puntato sul fine dining e abbiamo inserito il menu degustazione. L’idea era ed è quella di fare una cucina nikkei diversa dalla tradizione: da noi non trovi il sushi e il piatto di crudo, noi vogliamo far conoscere altro, comunicare che oltre quelle specialità popolari c’è altro. All’inizio abbiamo avuto un po’ di difficoltà, perché la gente si aspettava una cucina tradizionale, ma il lavoro della sala ha fatto sì che questa cucina diventasse un po’ più facilmente fruibile dal cliente, anche alla prima esperienza.
Quali sono i tre ingredienti a cui non rinuncerebbe mai e perché?
I peperoncini in generale, perché in Latino America ci sono mille varietà di peperoncini, noi ne usiamo quattro diversi, a seconda del piatto che facciamo; lo zenzero, perché si presta sia per la cucina peruviana sia per quella giapponese, gioca un ruolo fondamentale per l’aroma e l’intensità del piatto; il coriandolo, perché ogni volta che lo lavoro mi ricorda quando andavo a fare la spesa al mercato in Perù, tanto che per finire i piatti usiamo l’olio al coriandolo, anziché il classico olio evo a crudo. Il mio percorso è iniziato lì, in Perù, dove la mia famiglia ha tuttora un ristorante: il mio compito era andare a fare la spesa per il ristorante e da lì è nata la mia passione per la materia prima. Ancora oggi mi piace andare al mercato e vado a quello di Porta Palazzo, a Torino.
Bosco tropicale amazzonico, una creazione di chef Alexander Robles
Azotea è anche cocktail bar: come interagiscono bancone e cucina?
Quando introduciamo il nuovo menu, Matteo Fornaro si mette a fare delle prove, è una sorta di innamoramento: si viaggia sulla stessa lunghezza d’onda, facciamo mille assaggi per avere l’abbinamento perfetto. Ci sono delle verdure e dei frutti che uso, da lì lui parte per creare dei drink. Ovviamente sono quasi tutti drink low alcol, studiati in modo che se ne possano bere sei. Sono tutte mezze porzioni, quando vengono serviti in abbinamento.
Qual è il pairing dell’estate 2023 di Azotea (cocktail-piatto)?
Un piatto che sta avendo tanto successo è Mare Freddo, la portata numero 1: agretti sbianchiti, piselli, calamari tagliati fini a crudo, il tutto condito con acidulato di alga robina (ossia lo sciroppo di carrube, una sorta di melassa), dove aggiungiamo ubemoshi e soia. Finiamo con crema alla huancaina (a base di peperoncino aji limo e alghe croccanti e reidratate). Questo piatto viene abbinato al Sip numero 1, un drink a base di frutto della passione, estratto di cappero, pisco infuso di yuyo (un’alga che cresce solo in Perù e in Nuova Zelanda, ed è la stessa che si trova nel piatto; ha il gusto del mare al palato, ha una salinità perfetta), estratto di cappero, zucchero e limone.
Ci racconta l’ultimo menu di Azotea?
Ogni degustazione ha uno specifico tema: questo menu attuale, della primavera-estate 2023, si chiama Ayni, che in linguaggio quechua significa il principio della reciprocità, il dare e ricevere, come scambio. Per noi è un comandamento morale e cosmico: è un invito al rispetto della natura e dei suoi frutti. E in questo menu partiamo dal mare, andiamo sulle montagne e poi nella giungla, ci rifacciamo ai microclimi peruviani e alla biodiversità. Si fa un vero e proprio viaggio in Perù, con una particolare attenzione agli ingredienti tutelati da Slow Food (in ogni piatto ce n’è almeno uno). Questo menu ha tanti obiettivi: far conoscere la cucina nikkei a livello fine dining, far conoscere le tecniche e le materie prime nikkei, abbinamento in pairing; far conoscere il Perù, i suoi microclimi, dal mare al deserto.
Progetti futuri?
Dal mio arrivo, Azotea ha fatto tante belle cose: Noemi Dell’Agnello e Matteo Fornaro, i titolari, mi hanno lasciato carta bianca e ho molta libertà. Il mio progetto personale sarebbe di andare in Perù e magari di raccontare com’è il Perù attuale attraverso il menu di Azotea, una volta tornato in Italia. Nel mio Paese? Tornerei se lo volesse mia figlia, che ora ha solo 5 anni. In Europa, dove vivo da 17 anni, mi trovo molto bene, e Torino oggi è diventata una meta gastronomica, ci sono tante realtà stellate, ma anche molti ristoranti di cucina fusion interessanti. La città è cresciuta e un cuoco può esprimersi bene a livello professionale.