Ha appena compiuto 32 anni e ha le idee ben chiare sulla cucina, sul suo futuro e sui fattori che rendono unica e vincente l'esperienza gastronomica. Andrea Antonini, lo chef di Imàgo, il ristorante fine dining all’interno dell’Hotel Hassler, è uno dei talenti più interessanti della scena capitolina e non solo. È stato lui il protagonista del terzo appuntamento del ciclo di cene L'equilibrio in un piatto in collaborazione con Acqua Panna, iniziativa che ha coinvolto giovani chef italiani under 40, chiamati a interpretare in un piatto la propria idea di equilibrio, tra passato e presente, tra tradizione e contaminazione.
Raviolo di granchio con mandorle, miele, limone e pancetta affumicata Alberto Blasetti
“Per noi è stata una serata super positiva: mi è piaciuta molto la clientela presente e lo scambio tra le persone”, racconta lo chef. Il percorso culinario? “Ho proposto il mio menu degustazione, con il piatto dell’equilibrio, scelto per questa iniziativa di Acqua Panna: il Raviolo di granchio con mandorle, miele, limone e pancetta affumicata. Ogni anno tiro fuori 20-25 pezzi e questo piatto è uno di quelli”, spiega lo chef. Lo abbiamo intervistato, per conoscerlo meglio e avere una testimonianza di chi sta vivendo dal di dentro la vivace scena gastronomica romana.
Ecco che cosa ha raccontato Andrea Antonini a Fine Dining Lovers.
Ci racconta il suo “piatto dell’equilibrio”: perché lo ha scelto, che cos’è per lei l’equilibrio in cucina?
Il piatto scelto è il Raviolo di granchio con mandorle, miele, limone e pancetta affumicata: un’idea che nasce dalla voglia di usare un ingrediente che vediamo sempre, ma che non usiamo mai, ossia il granchio della sabbia, molto comune e diffuso. Con questi granchietti ho preparato la farcia liquida del raviolo, mentre all’esterno ho messo un velo di pancetta affumicata, per avere un contrasto terra-mare. C’è anche un gel di miele millefiori e limone, che dà il contrasto dolce-acido. Poi, le mandorle croccanti e l’aneto in erba come parte erbacea, quindi finiamo il tutto con un tè: non è un brodo, lo facciamo all’ultimo momento, molto leggero, mettendo in infusione per 25 minuti in acqua bollente i carapaci, le mandorle, le bucce di limone, la pancetta. Poi, lo versiamo al tavolo. L'equilibrio in cucina è qualcosa che permette a tutti di provare ciò che vuoi fare: puoi anche osare e preparare cose poco equilibrate, che arrivano a poche persone che hanno la testa più aperta e disposta a comprendere, ma è bello far provare a tutti e fare arrivare a tutti il fine dining e l’alta cucina. Per avvicinare al fine dining e all’alta cucina chi non l'ha mai fatto, è importante dare qualcosa di veramente equilibrato.
È uno dei giovani chef più talentuosi del panorama romano: quali sono stati gli insegnamenti professionali più importanti che ha ricevuto e da chi?
Sicuramente ci sono state tre persone che hanno influenzato la mia carriera: Quique Dacosta, Joan Roca ed Enrico Crippa. Dacosta mi ha trasmesso la creatività: ho avuto la fortuna di passare con lui un periodo nel laboratorio di creatività, mi ha dunque dato l’idea di giocare e cambiare i piatti in carta, anche quando funzionano, per creare sempre qualcosa di nuovo. El Celler de Can Roca mi ha dato il senso di umanità e organizzazione: oltre a gestire quello secondo me è il miglior ristorante del mondo, i Roca sono molto attenti al lato umano, vogliono che il personale abbia una vita fuori dal ristorante, mi hanno lasciato tanto anche sul fronte dell’organizzazione della brigata, degli orari, della gestione in generale. Crippa trasmette tanta passione, ti fa venire voglia di fare questo lavoro e viverlo al meglio.
La brigata di Imàgo a Roma Alberto Blasetti
Ristorazione e ospitalità: qual è il segreto per far funzionare (bene) la cucina di un hotel cinque stelle lusso?
Anche se lavoro in un hotel, io mi occupo solo del ristorante, ma quello che posso dire è che quando si parla di 5 stelle lusso parliamo del top: il cliente sa che la struttura garantirà le massime prestazioni in ogni servizio. In una cucina di un 5 stelle lusso devi dare, oltre a un ristorante fine dining, un servizio estremamente semplice, ma di estrema qualità. Nel senso che in carta basta avere pochi piatti, una scelta giusta, ma di qualità eccelsa: bastano tre croissant al mattino, purché siano perfetti; analogamente, sono sufficienti due secondi di carne e di pesce, ma realizzati con materie prime di assoluta qualità… Insomma, pochi piatti ma scelti. Mangiare bene significa avere una scelta giusta, non tante cose in carta: il cliente vuole mangiare bene e tanti piatti in carta confondono.
Imàgo ha vinto il premio della Guida di Identità Golose 2023 Chef’s Table - best pairing food & wine: come interagiscono cucina e sala?
Andiamo molto d’accordo come brigate, sono amico di direttore, maître, sommelier… E sono fortunato ad avere uno staff di sala incredibile. Tutto è molto sinergico: se una persona ha una buona idea per migliorare, lo si fa. Per esempio, se Marco Amato, che è direttore di sala, ha un’idea particolare su come servire un piatto, si fa senza fare mille discussioni e consultazioni. E questo crea un rapporto molto affiatato che va di pari passo con l’idea di eccellenza del ristorante.
La ristorazione a Roma sta cambiando e sta conquistando la scena: lei come sta vivendo questo nuovo fermento gastronomico capitolino?
La nuova scena capitolina è formata da tutti giovani, anche se è riduttivo definirli così, data l’esperienza. Sicuramente è stato il trovarsi in una situazione pazzesca al momento giusto e avendo le capacità. Dal post covid, Roma è in crescita: tante catene investono qui, ci sono nuove aperture in continuazione, e c’è una clientela nazionale e internazionale che risponde bene. Nel giro di 4-5 anni, poi, la città è esplosa, con pochi fuoriclasse che hanno tirato fuori concetti, idee, situazioni nuove, che hanno dato vita a un bel fermento. Un tempo c’erano due o tre posti importanti, mentre oggi è molto interessante tutta la scena, tra il neo stellato, il due stelle, la nuova apertura… Secondo me in questo momento non ci sono altre città in Europa, se non nel mondo, con una così alta concentrazione di giovani così bravi come Roma.
Quali sono i tre ingredienti a cui non rinuncerebbe mai e perché?
L’acqua, il tempo e il sale. Con l'acqua ci fai tutto, è fondamentale per ogni cosa. Il sale, perché è la nostra storia moderna, ci ha permesso di fare di tutto, non solo in cucina, non possiamo toglierlo, è qualcosa che contraddistingue il lavoro di un cuoco. Il tempo, perché l’azione di ogni cuoco al mondo è scandita solo dal tempo, è tutta una questione di tempo, basta pensare alle azioni di una ricetta: fai bollire per mezz'ora, metti il timer per 30 minuti… Se non puoi calcolare il tempo, non puoi fare questo lavoro.
Novità, progetti futuri e/o sogno nel cassetto?
Mi piacerebbe molto avere un ristorante più moderno (è già in programma un restyling). Mi piacerebbe anche crescere e avere qualche risultato in più, ma soprattutto per rendere felici tutti i ragazzi che lavorano con me.