Gionathan Pergola parte, a soli 19 anni, per San Francisco con l’unico obiettivo di frequentare l’accademia linguistica. Scopre in quell’occasione la sua passione per i viaggi e l’anno successivo atterra ad Oxford dove inizia la sua carriera dal gradino più basso, quello del barback. “Lavavo bicchieri e tazzine per 12 ore al giorno, ma questa cosa non mi pesava perché avevo capito che era la mia strada”: è così che Pergola, oggi barman di Mercato del Porto a Marina di Ragusa, inizia il suo percorso verso l’affascinante mondo della mixology contemporanea. Siciliano di nascita, ma adottato dall’Elba, un’altra delle meravigliose isole del nostro Paese, Gionathan fa diverse esperienze in hotel di lusso sempre dietro al bancone. Qui migliora non solo la sua tecnica, ma anche tutte quelle regole che rendono eccellente il mondo dell’hospitality di alto livello. In Scozia migliora tutta quella parte legata alla caffetteria e agli eventi, poi trascorre due anni a Londra dove si specializza nei distillati fino a tornare nella sua isola nativa. Ecco come si è raccontato Gionathan Pergola a Fine Dining Lovers.
Parliamo di Mercato del Porto, che offerta proponete?
È un contesto ampio, un all-day che apre al mattino presto e chiude a tarda notte. Colazioni dolci e salate, lasciano spazio a pranzi di pesce e carne caratterizzati da una cucina fusion perché anche la brigata di cucina è composta da professionisti che hanno viaggiato molto, proprio come me. Io cerco di costruire la proposta di bar partendo da tutte le mie esperienze passate e collegandomi anche alle proposte della cucina. Abbiamo una splendida terrazza panoramica dove spesso organizziamo eventi, dj set ed esperienze dedicate ad un target giovane. Puntiamo a fare stare bene i nostri clienti e a farli divertire senza categorizzarci troppo.
Parlando invece di mixology, qual è il suo stile?
Credo nel less is more. Il mio stile non prevede guarnish troppo elaborate, come dettavano i trend di qualche anno fa. Low alcol, trasparenza e tecniche contemporanee tolgono alla parte visiva, ma si concentrano sul contenuto, mi piace creare su cocktail eleganti ma non troppo appariscenti. Gioco molto con le texture, mi piacciono le arie, le spume e le chiarificazioni. E poi mi piace concentrarmi sulla materia prima e scomporla, cerco di usare tutto dei frutti che uso e di concentrarne i sapori nei drink. Inoltre penso che sia fondamentale il contesto, un ambiente dove si sta bene è certamente il luogo migliore per ricordarsi di un cocktail.
Ci sono diverse correnti di pensiero sul pairing cocktail-food. Lei crede che questo tipo di abbinamento sia realmente vincente?
Assolutamente. Il bere senza cibo non va molto lontano e viceversa. La cucina è collegata al bar e mi piace definire il bar come una cucina liquida. Abbinare cocktail a finger food o tapas, credo che dia una marcia in più sia al cibo che al cocktail. Food e beverage sono una valorizzazione reciproca l’uno dell’altro.
Se dovesse scegliere tre ingredienti, quali sarebbero e perché?
Whisky scozzese, arancia rossa e cherry brandy. Ma mi sento di aggiungerne un quarto che è il Vermouth rosso. Sono gli ingredienti del Blood and Sand, un cocktail storico entrato anche in IBA che io definisco il mio cocktail. Il drink che mi piace bere quando non sto lavorando. Sono molto appassionato di whisky scozzesi, ma sono anche parecchio legato alla mia terra e questo drink riassume perfettamente la mia dimensione.
Dove la porterà il futuro della miscelazione?
Non so dove mi porterà, ma ho chiaro dove voglio arrivare. Credo che il mio futuro non dipenda solo dalla mixology ma anche e soprattutto dal rapporto umano. Quello che ho chiaro è che voglio continuare a crescere professionalmente e a migliorarmi.