La professione più richiesta della ristorazione? Basta conoscere qualcuno nel settore per sapere che è il cameriere. O almeno lo era. Il turnover nei ristoranti è sempre stato altissimo perché fare il cameriere per molti è un lavoro di ripiego da svolgere in attesa di trovare l’occupazione della vita, ma le cose negli ultimi dieci anni erano cambiate.
Dopo l’abbaglio mediatico della notorietà degli chef stellati, il mestiere di sala aveva finalmente riconquistato il suo ruolo complementare a quello della cucina ed era riuscito ad innescare un dibattito. Associazioni, scuole di formazione, congressi e finalmente non si parlava più di “portapiatti” ma di una vera e propria carriera con prospettive di crescita: basta viaggiare per sapere che i maître e i restaurant manager italiani sono sparsi per il mondo, richiestissimi da Dubai a New York.
Poi è arrivato il Covid.
Con i ristoranti chiusi, i tavoli dimezzati e la crescita dei progetti di dark kitchen, il servizio di sala è stata una delle professioni più colpite (insieme alle altre della cucina, barman e commessi) ma le prospettive per il futuro nascondono delle opportunità da non sottovalutare. Il gruppo S.Pellegrino è sceso in campo con una serie di interventi concreti e su scala globale come la campagna S.Pellegrino #supportrestaurants che vuole dare visibilità e supportare tutti i talenti della ristorazione, anche con contenuti e analisi che possano essere di ispirazione, come questi.
C’è chi si è dovuto improvvisare delivery boy per il proprio ristorante, chi ha usato il tempo per la formazione, chi non potendo attendere ha dovuto cambiare vita, lasciare la città e andare in cerca di nuove opportunità. Si sono sparigliate le carte e alla riapertura la partita si gioca con un nuovo mazzo, in cui far valere la propria professionalità. Perché per la ripartenza il ruolo della sala ha un valore strategico. Per capire come e quanto, abbiamo raccolto le storie dei protagonisti del settore.
Un nuovo progetto Inedito per Billa Aliguettou
“Il mio primo pensiero è stato quello di chiunque faccia il nostro mestiere: e che cosa farò tutto questo tempo a casa? Inizialmente è stato il panico, poi è arrivata la splendida proposta di Antonio Pappalardo con il nuovo locale Inedito a Brescia e mi sono illuminata”. Billa Aliguettou dopo anni passati al Lido 84 insieme a Riccardo Camanini ora comincia una nuova avventura per cui ha cominciato a fare formazione su vari aspetti che aveva sempre rimandato in passato per pura mancanza di tempo. Ha cominciato frequentando un corso di approfondimento sul caffè, ha studiato per l’esame di terzo livello AIS, visitato molte cantine e incontrato vari fornitori, approfondito in maniera analitica con Antonio quello che sarà l'organizzazione del locale e del servizio da Inedito una volta aperto. “Solitamente tutto questo tempo libero non si ha quando si lavora, quindi ne ho approfittato per studiare, aggiornarmi, riflettere e meditare per tornare a lavorare in sala con tanta energia positiva e voglia di accogliere i clienti”.
Un nuovo mazzo di carte da giocare al Ceresio 7
“Durante il primo lockdown il nostro staff è stato coinvolto in masterclass, training e formazione. Il secondo lockdown è stato molto diverso” racconta Edoardo Grassi del Ceresio 7 di Milano, luogo che dell’ospitalità e del servizio ha sempre fatto il suo punto di forza: anche per loro la prima fase è stata energetica, il secondo lockdown è stato invece il più difficile da gestire. “Ognuno si è dedicato alle proprie passioni, ma molti sono tornati a casa e sono andati via da Milano”.
A pieno regime il Ceresio 7 ha 50 dipendenti, 25 impegnati fra servizio e accoglienza, per l’80% non di Milano, a cui la società ha anticipato la Cassa Integrazione: “Gli siamo stati vicini, a livello economico e motivazionale. Dovevamo essere presenti, ma con il secondo lockdown molti hanno dato le dimissioni e si stanno riorganizzando: è un reset della loro vita e della loro carriera”. Le storie dei suoi ragazzi che racconta al telefono sono diverse, c’è chi non poteva più permettersi l’affitto, chi alla fine è tornato in famiglia, chi si è trasferito all’estero. Per tutti un profondo momento di riflessione sul presente e sul futuro.
“Riapriremo con lo staff che ha deciso di continuare. Qui c’è attaccamento alla maglia, abbiamo ragazzi del team che sono con noi da sette anni, non vedono l’ora di riaprire. Ma soprattutto chi rimane è chi crede nel mestiere, sa che è il suo lavoro e la sua vita”. Milano perdendo la sua allure di città internazionale ha perso anche tanti abitanti, una fuga di cervelli in smart-working e di lavoratori del settore. È dispiaciuto ma non è preoccupato Edoardo: “Abbiamo aperto delle nuovi posizioni, stiamo ricercando personale e siamo stati invasi di cv, bei cv. Si rimescola tutto, stiamo rimischiando il mazzo di carte”. Per una nuova partita del servizio a cui si affacciano nuovi giocatori.