Giovane e talentuoso chef siciliano, Alessandro Ingiulla ha vinto al sua scommessa. Dopo diverse esperienze nell'Italia settentrionale e in giro per l'Europa, alla fine del 2016, dopo essere tornato nella sua isola, ha aperto il suo ristorante fine dining con la compagna Roberta Cozzetto. Una scelta azzardata che si è rivelata corretta, tanto che nel novembre 2018 al suo Sàpìo di Catania è arrivata la stella Michelin.
Ecco cosa ci ha raccontato, dai suoi esordi fino ai recenti successi.
Com'è iniziato il suo percorso in cucina?
Ho sempre amato cucinare. Piccolissimo, la domenica aiutavo mia nonna a impastare il pane e la pasta. A dodici anni ho chiesto ai miei genitori di poter lavorare in un ristorante di proprietà di amici, che si trovava a Nicolosi, ai piedi dell’Etna. A tredici anni mi sono iscritto all’istituto alberghiero di Nicolosi e per tutta la durata della scuola, di mattina andavo a lezione e di sera lavoravo al ristorante. A quattordici anni, durante le vacanze, ho fatto la prima stagione fuori dalla Sicilia. Lavorai in una cucina impegnativa di un albergo, dove si facevano matrimoni e banchetti. La brigata era composta da oltre dieci persone.
Qual è stato il vero “salto” nella sua carriera?
Ho lavorato per più di sei anni in importanti ristoranti del nord Italia, della Francia, della Grecia e dell'Austria. Lì mi occupavo dell’avviamento delle cucine di nuovi alberghi cinque stelle, per conto di una catena austro-altoatesina, assieme a un direttore e a una persona che seguiva la parte economica. Dopo due anni e mezzo ho deciso insieme alla mia compagna Roberta Cozzetto, che era venuta a lavorare con me in Austria, di realizzare per noi stessi e a casa nostra quello che fino a quel momento avevamo fatto per gli altri. Abbiamo trovato una bottega a Catania, in via Messina, l’abbiamo ristrutturata e nel dicembre del 2016 abbiamo dato vita a Sàpìo, il nostro piccolo ristorante con quindici posti a sedere e una cantina.

Un ristorante d’alta cucina a Catania. Una scelta azzardata...
Io sono di Santa Maria di Licodia, un paesino della provincia di Catania che si trova nel versante sud occidentale dell'Etna. Catania è sempre stata la nostra città di riferimento. Abbiamo sempre creduto nel suo potenziale, eravamo convinti sapesse accogliere un nuovo tipo di ristorazione. In molti non credevano in quello che stavamo facendo, ma siamo riusciti a portare avanti il nostro progetto, grazie anche all'appoggio di alcuni nostri colleghi che prima di noi avevano vissuto l’esperienza del ritorno in Sicilia.
E davvero la città ha risposto bene a quasta proposta così apparentemente diversa?
Sì, i nostri ospiti sono accompagnati in un percorso gastronomico legato ai prodotti del nostro territorio rivisitati in chiave contemporanea. È un aspetto che sanno certamente apprezzare. In generale la risposta è stata ottima, tanto che nel novembre 2018 è arrivata la stella Michelin.
Perché il nome Sàpìo?
In latino, etimologicamente, Sàpìo esprime l’affinità fra “sapere” e “sapore”, in accordo ad una filosofia “che vede nel cibo non un semplice appagamento di soli bisogni, ma un esercizio di sperimentazione che attiva sfere percettive e intellettive inesplorate dove il mangiare diviene metafora del pensare". Ecco perché.
Com’è composta la squadra del ristorante?
Siamo quattro in cucina. In sala sono in tre, tra cui Roberta, che la gestisce.
Come descriverebbe la sua cucina?
La mia è una cucina creativa. Ho grande rispetto per la materia prima, che rispetto e che amo utilizzare in accostamenti inediti e preparazioni innovative. Nelle mie ricette utilizzo prevalentemente gli ingredienti del mio territorio, esaltandoli volentieri con le varie tecniche acquisite nelle esperienze internazionali e contaminandoli con ingredienti di altri territori. Il risultato è composto da preparazioni uniche per gusto e per intensità.

Un ingrediente che predilige cucinare?
La carne, perché mi piace mangiarla. È un ingrediente complicato da cuocere, ma incredibilmente versatile. Puoi realizzare diverse cose, soprattutto giocando con le cotture.
Un suo piatto che la rappresenta più di altri?
Il piccione, uno dei piatti più complessi della mia cucina. Petto e coscia sono preparati con scorzanera croccante e sono accompagnati dai fegatini in crema e aceto invecchiato trent'anni. Mi rappresenta proprio perché è un piatto elaborato, come la mia cucina, che dal punto di vista tecnico non è semplice. Utilizzo pochi ingredienti, prestando molta attenzione alle cotture a bassa temperatura, all’affumicatura e alle frollatura delle carni.
Quale consiglio darebbe ad un giovane che vuole intraprendere il suo percorso?
Lavorare sodo quotidianamente, ascoltare i consigli dei colleghi, specialmente di quelli che fanno questo lavoro da molti anni, e non perdere mai la fiducia in se stessi. Questo è un lavoro che comporta sacrificio costante e, al contempo, appagamento.