Dal bar di famiglia sul Lago Maggiore, Francesco Cione è partito dapprima alla volta dell’Europa, per poi rientrare in Italia dove ha lavorato in strutture alberghiere di estremo lusso. Con diversi premi vinti, oggi il bartender è bars & beverage manager del concept The Stage Milano, di proprietà̀ del marchio Replay, dove spicca l’Octavius Bar.
L’abbiamo incontrato per farci raccontare la sua visione del mondo da dietro il bancone, tra sacrifici e successi, seguendo un obiettivo preciso.
Quando e come si è avvicinato al mondo del bar?
In un bar sul lago Maggiore ci sono praticamente nato nel 1982. Sempre lì sono cresciuto, entrando immediatamente a contatto con la clientela. Si trattava del Dallas Bar di Verbania, che la mia famiglia ha gestito per quarant’anni.
E quando ha capito che quella del bartender sarebbe stata la sua professione?
Mi piace pensare di averlo sempre saputo. Per me il bar è qualcosa di grande fascino nella sua dimensione di luogo d’incontro, condivisione e confronto. Nei bar di alto profilo c’è l’eleganza, lo stile, un certo savoir-faire, le giacche fin dalla gioventù catturavano la mia attenzione. Non è un lavoro spesso semplice e ammetto che all’inizio la famiglia immaginava per me un percorso differente, ma la determinazione aiuta a rimanere lucidi verso i propri obiettivi.
Al di fuori del contesto familiare, c’è qualcuno che considera il suo maestro?
Sì, oltre a mia madre Antonietta e mio padre Giovanni, che mi hanno trasmesso i valori cardine della professione quali dignità e serietà, ho avuto la fortuna di incontrarne più di uno. C’è chi mi ha insegnato a guardare sempre avanti come Carmine Lamorte, da sempre riferimento nel mondo del bar sul “mio” lago e non solo; chi mi ha insegnato che darsi il giusto tono è corretto solo se avvalorato da radicate competenze è stato Ilvano Santini, uomo dell’ospitalità. Anni dopo ho avuto la fortuna di incontrare un vero e proprio maestro di vita, di cultura e di esperienze che si chiama Giuseppe Deregibus, prima cliente e poi amico. Perché la meraviglia del bar e che i maestri il puoi trovare anche dall’altro lato del bancone.
Quali sono state le sue prime esperienze di rilievo?
Dopo gli studi ho affrontato una serie di esperienze che mi hanno portato dal lago all’estero, a Ginevra e poi a Leeds. Una volta rientrato in Italia ho lavorato per realtà dell’ospitalità di lusso come il Cipriani Venezia, il Cristallo di Cortina, il Baglioni Hotel Carlton di Milano, dove mi è stato affidato il ruolo di supervisore dell’intero dipartimento Food & Beverage.
Un percorso durante cui ha raccolto diversi riconoscimenti.
Per quanto il mio ruolo si sia negli anni avvicinato alla gestione, lo studio e la ricerca legati al bartending, mi hanno permesso di ottenere buoni risultati personali e professionali. Nel 2008 mi sono aggiudicato il Concorso Nazionale AIBES nella categoria Angelo Zola. Nel 2011, oltre al terzo posto raggiunto all’IBA Calvados Nouvelle Vogue International Trophy, ho ricevuto il Premio Cavalierato Giovanile per il Turismo, patrocinato dalla Presidenza della Repubblica. L’anno successivo ho ottenuto il titolo internazionale Disaronno The Mixing Star nella finalissima di Berlino. Dopo un’ultima esperienza all’estero, nel Principato di Monaco, ho ricevuto il Premio Personaggio dell'Anno 2014 per la rivista Italia a Tavola e oggi ricopro il ruolo di bars & beverage manager per il concept retail food & beverage The Stage Milano, di proprietà del marchio Replay, con cui ho avuto altri numerosi riconoscimenti.
Che ambiente si respira al The Stage Milano e all’Octavius Bar, situato all’interno della struttura?
Vi è un concetto di accoglienza che io promuovo e che va oltre le mode e la tendenza. Il cocktail è un momento, un’esperienza che si offre al proprio ospite. La tecnica crea l'equilibrio, le sensazioni l'unicità del ricordo. I grandi bar sono quei luoghi dove varcando la soglia dell’ingresso, la sensazione nitida è quella di respirare l’anima del luogo stesso ed è quello che mi piace trasmettere al The Stage e all’Octavius Bar.
Ci sono distillati o superalcolici che ama utilizzare più di altri?
Mi piace approcciarmi a prodotti nuovi che verosimilmente abbiano al contempo una storia alle spalle. Negli ultimi anni mi sono interessato al Baijiu e alle sue complessità, così distante dai sapori occidentali ma così vicino a quella voglia di scoperta che i nostri ospiti dimostrano al bar. Recentemente ho invece iniziato ad avvicinarmi all’Awamori, il più tradizionale e ad oggi il più sottovalutato dei distillati giapponesi. Rimanendo in Europa potrei citare il Calvados e i distillati di frutta in genere, che possono esprimere sfaccettature molto gradevoli nella miscelazione. Se ne sono accorti anche i nostri clienti.
Un cocktail che la rappresenta particolarmente?
Il mio drink per la convivialità è il Milano Torino, facile, immediato, buono. Il marriage tra bitter e vermouth è unico, sempre vincente. Qualche volta bevo un amaro al seltz oppure semplicemente agitato; è come un cocktail con due ingredienti: il prodotto e la mano del barman.