“L’idea del progetto è nata a marzo dell'anno scorso, quando noi ristoratori eravamo di nuovo chiusi. Un momento difficile, in cui tutti abbiamo pensato: che faccio nella vita, cambio lavoro?”. Se un fiore può nascere sull’asfalto, anche un bella idea può balenare nei momenti più complicati. È quello che dimostra Viviana Varese, chef patron di ViVa, il ristorante stellato all’ultimo piano di Eataly Smeraldo a Milano, che ora torna sulle scene con Io sono Viva, dolci e gelati, gelateria artigianale con pasticceria appena inaugurata all’interno del rinnovato Mercato Comunale in piazzale Lagosta, in zona Isola: una nuova avventura capace di intrecciare la cultura del cibo con l’attività sociale.
Il progetto, che alla chef di origini campane è valso il riconoscimento internazionale di “Champion of change” assegnatole la scorsa estate da World’s 50 Best Restaurants che l’ha scelta fra i tre “eroi non celebrati” nel mondo della ristorazione, testimonia il suo impegno sul fronte dell’inclusione: lo spazio, di 24 metri quadrati, è gestito da una squadra di sole donne formata in collaborazione con Cadmi - Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano, il primo centro antiviolenza aperto in Italia, che da 36 anni aiuta chi ha vissuto violenza fisica, psicologica, sessuale, economica o stalking. L’obiettivo? Ridare a queste donne dignità e indipendenza economica attraverso il lavoro, ma anche sostenere il Cadmi, cui verrà devoluto 1 euro per ogni chilo di gelato venduto.
Ecco che cosa ci ha raccontato la chef sul suo impegno sociale, sul ruolo di imprenditrice e sul progetto Io sono Viva, dolci e gelati: uno spazio gastronomico, ma anche un inno alla vita, alla rinascita, alla gioia e alla condivisione.

Come è nata l'idea di aprire Io sono Viva, dolci e gelati?
Lo scorso anno, a marzo, quando eravamo chiusi per la pandemia. In quel frangente la ristorazione era il settore più penalizzato. Mi sono interrogata se fosse il caso di cambiare mestiere, ma per me è impensabile l’idea di dedicarmi ad altro, perché lavorare col cibo è quello che so fare. Avevo già pensato di produrre il gelato, perché si presta al delivery, a differenza dei miei piatti, che con la consegna a domicilio si rovinano. Il gelato, invece, è un cibo democratico e facilmente trasportabile. Poi io lavoro tanto con Roboqbo e con la frutta secca: l’idea era quella di produrre un gelato di alta qualità, partendo dall’ingrediente, da basi fatte in casa da me. Certo, non sono una gelateria, ma ho cercato di creare un buon prodotto, concentrandomi su gusti semplici e classici, che tutti hanno voglia di mangiare. L'idea era quella di avere piccole gelaterie con un basso affitto, in modo da non sbagliare con gli investimenti (gli affitti sono ancora molto alti a Milano).
E invece la collaborazione con Cadmi - Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano come è nata?
Una mattina ho ascoltato una trasmissione radiofonica dove si parlava della Comunità di Sant’Egidio che ha accolto molte donne in pandemia, ma a Milano non è presente. Così, mi sono informata sulle realtà cittadine e mi hanno consigliato il Cadmi. Ed è nata la collaborazione: abbiamo fatto un po' di incontri su Zoom, concentrandoci anche sull’uso delle parole, stando attenta ad adoperare locuzioni come “vittima di violenza”, che è un'espressione forte. Cerchiamo sempre di proteggere e tutelare le donne del Cadmi che lavorano con noi.
È la prima volta che scommetti su una gelateria-pasticceria: su quali prodotti vuole puntare?
Noi facciamo pasticceria alla maniera nostra: con una buona materia prima, partendo dall’ingrediente. Non abbiamo la velleità di fare dell’arte dolce stellata, vogliamo essere una buona pasticceria di quartiere alla portata di tutti. Per il momento abbiamo 4 gusti, poi amplieremo a 12, appena arrivano le carapine, proponendo i classici. Sul fronte della produzione ci stiamo scoprendo giorno dopo giorno, abbiamo 20 referenze: le monoporzioni sono quelle più gettonate, a partire dalla crostatina con la fragola; non mancano mignon come i bignè, declinati in quattro gusti diversi, i croissant con la crema di pistacchio di Bronte fatta in casa da noi, le brioche fresche, preparate ogni giorno. Ho scommesso poi sul maritozzo, che piace molto, proposto in tre varianti: crema pasticcera e panna montata, fragola semicandita e fragole fresche, cacao e caffè amaro. Le torte da 15 persone, invece, vanno ordinate.

Come ha formato lo staff di Io sono Viva, dolci e gelati?
I miei pasticcieri insegnano alle donne coinvolte nel progetto le nozioni di base, dall’uso del sac à poche alle decorazioni. Sono molto volenterose, ne ho assunte 6 attraverso Cadmi, che ha selezionato persone con storie non troppo difficili alle spalle. Mi hanno affidato donne che avevano voglia di tornare a lavorare, sia giovani under 30 sia over 30. C’è anche una collaboratrice di 49 anni: il problema delle donne adulte che non trovano lavoro è ancora molto presente nella società. Le basi dei prodotti vengono preparate nel laboratorio di ViVa, il resto viene finito al mercato. Nello staff c’è una ragazza del Kazakistan che aveva già lavorato un po’ nel mondo della pasticceria, ma è un’eccezione. Le donne coinvolte sono quasi tutte straniere, ho analizzato anche due cv di italiane che devo ancora conoscere.
Qual è stato l’approccio delle donne coinvolte? Come hanno affrontato l’esperienza?
Il progetto è loro: è molto importante che vada bene perché, se funziona, daranno opportunità di lavoro anche ad altre persone. Hanno affrontato questa attività con tanto amore, con serietà e senso di responsabilità. Abbiamo venduto, solo nella giornata di sabato scorso, 2700 euro di monoporzioni: un bel risultato di cui andare fiere. Certo, il sabato è il giorno in cui si lavora di più, la città si deve ancora svegliare, ma tra un mese ci aspettiamo molta più affluenza nel nuovo mercato.
Nel frattempo ha già annunciato anche l'apertura di un’altra gelateria a Milano...
Sì, aprirò in via Kramer, dove inizialmente avevo previsto di inaugurare il progetto Io sono Viva, dolci e gelati. Nel frattempo, però, mi hanno chiesto se volevo un corner nel mercato di piazzale Lagosta, quindi ho pensato di cominciare da lì: ho firmato il contratto il 20 gennaio e in 11 giorni abbiamo allestito lo spazio. Anche in via Kramer, comunque, lavorerò con le donne del Cadmi, avrò tre persone. Poi ci saranno sempre un paio di lavoratrici che ciclicamente andranno in produzione, nel laboratorio di ViVa, in modo da far capire loro come nasce la pasticceria, in ogni sua fase. In via Kramer ci concentreremo soprattutto su gelato e granite, con una piccola parte dedicata alla pasticceria con monoporzioni e maritozzi, oltre a un angolo per il caffè self service. Si tratta di una location di 25 metri quadrati, è un take away: sto aspettando il permesso per occupare il suolo pubblico, perché l’intenzione è quella di mettere dei tavolini fuori. La gente ormai anche in inverno vuole stare all'aperto, la pandemia ha cambiato la concezione dello spazio interno e esterno.

Lei è stata nominata “Champion of change” per World’s 50 Best: quanto la cucina può influire sulla sfera sociale? A che punto siamo in Italia nel percorso che porterà al cambiamento?
Grazie al progetto di Io sono Viva, dolci e gelati ho vinto il premio “Champion of change”: mi hanno donato 25 mila euro che userò per pagare i primi mesi di stipendio delle ragazze. L'economia non è solo soldi, ma anche la tranquillità delle persone, delle loro famiglie: il commerciante viene spesso visto male, come “colui che guadagna”, ma la manodopera è ciò che mi è costato sempre di più; noi ci accontentiamo di guadagnare dopo, reinvestiamo sempre quello che guadagniamo. Inoltre, da imprenditrice dico che oggi il problema è che manca la manodopera: devo andarla a cercare negli ambiti “più difficili”, tra le donne, tra i rifugiati, tra le persone che vengono in Italia. Se un imprenditore non lo capisce, non ha capito nulla: bisogna investire nella formazione di queste persone, e non è solo una questione etica.
Quanto la cucina si presta all’ergoterapia, ossia alla terapia attraverso il lavoro per superare i traumi?
Oggi, nella mia attività, sviluppo soprattutto la parte creativa e imprenditoriale, ma quando cucinavo e basta ritenevo quel lavoro la mia meditazione quotidiana: ti concentri nell'atto di fare. Creare serve tantissimo, penso sia davvero una forma di meditazione, perché devi essere attenta a come posare una fragola, a come decori, a come impiatti. Devi essere veloce: il lavoro fisico è una grande palestra mentale.

L’inclusione è un tema molto caldo: che consiglio darebbe a una donna che fatica a inserirsi nel lavoro, magari perché trova ristoranti che assumono solo uomini?
A una donna che non trova spazio, consiglierei di cercare altri posti, di andare a trovare luoghi dove ci sono brave persone che non si fanno problemi: è sempre importante incontrare le persone giuste.