Un’occasione, un luogo, uno chef ispiratore. L’occasione è la prima edizione di The Vegetarian Chance che si svolgerà a giugno, un festival per riflettere sulla dieta vegetariana sempre più seguita dalle persone in tutto il mondo. Una giornata ricca di appuntamenti e un concorso per chef di cucina vegana. Il luogo – Monte Verità ad Ascona, in Svizzera – è già di per sé una dichiarazione di intenti, un manifesto. Ce ne parla Pietro Leemann, lo chef svizzero tra gli organizzatori del Festival, un’icona dell’alta cucina vegetariana: il suo Joia a Milano è stato il primo (finora unico) ristorante vegetariano in Europa ad ottenere la stella Michelin.
Perché un Festival internazionale di Cultura e Cucina Vegetariana?
Il mondo sta cambiando: le persone vogliono mangiare più sano e quindi più vegetariano. C’è grande domanda ma relativamente poca offerta di alta qualità. Abbiamo quindi pensato a un concorso che promuova la cultura alimentare vegetariana dei cuochi in primis, ma anche dei consumatori. I cuochi saranno stimolati a cucinare di più piatti vegetariani e potranno così soddisfare la crescente richiesta. La cucina vegetariana è ormai universalmente riconosciuta essere la migliore sotto tutti i punti di vista. Ne spiegheremo i motivi durante il Festival con una serie di conferenze sulla cultura del cibo. Solo la conoscenza aiuta a mangiar bene.
La prima giornata del Festival si svolgerà al Monte Verità ad Ascona, Svizzera. Perché questo luogo?
Il percorso vegetariano europeo è simbolicamente iniziato qui dove, a inizio 1900, si riunì un gruppo di idealisti per creare una società su nuovi presupposti. Il percorso vegetariano europeo è simbolicamente iniziato al Monte Verità. Pensiero e cultura innovativi si sono incontrati su questa collina sopra il lago Maggiore dove negli anni sono venuti Bakunin, Krishnamurti, premi Nobel, pensatori dello spirito, della filosofia, della politica… Si tratta dunque di un posto straordinario per partire con questo progetto.
Il concorso è riservato a chef europei che fanno cucina vegana. Come mai l’ambito è più ristretto, rispetto al tema del Festival?
La cucina vegana è più purista, richiede uno sforzo creativo maggiore. E nel cucinare bisogna riflettere e calibrare ogni elemento del piatto. È questo il senso di tutto il concorso.
Nel 1985 lei diventa vegetariano. Come è nata questa scelta?
La mia indole è sempre stata vegetariana. Si è trattato di un processo graduale dato che non va bene passare improvvisamente da una dieta all'altra. Sono convinto che chi compie un percorso d'introspezione e di riflessione a un certo punto diventa vegetariano in modo naturale. La differenza tra vegetariano e non vegetariano è che il primo ha fatto una scelta, mentre il secondo, il più delle volte, mangia per inerzia senza una riflessione vera.
Ha passato due anni tra Cina e Giappone. Come l'hanno influenzata le cucine orientali?
Ero reduce da esperienze di grande qualità con Girardet, Marchesi, al Corviglia di St Moritz, ma nonostante la "nouvelle cuisine" in voga in quegli anni non trovavo un vero cambiamento nella cucina occidentale. Decisi dunque di intraprendere una ricerca filosofica e gastronomica in Oriente. Lì ho messo le basi, culturali e tecniche, della mia cucina: in India ho ricevuto ispirazione filosofica, in Cina e Giappone quella gastronomica.
È necessario condividere una visione ‘spirituale’ del mondo per essere vegetariani?
Certamente. L'alimentazione è veicolo di salute, protezione dell'ambiente, rispetto per gli animali. I vegetariani non sono necessariamente spiritualisti, ma chi si trasforma in vegetariano tendenzialmente lo diventa. La scelta alimentare determina il proprio stato fisico, ma anche psichico e spirituale.
Quali sono gli errori da non commettere quando «si cucina vegetariano»?
Cucinare verdure fuori stagione, cucinarle troppo a lungo o troppo in anticipo, condirle esageratamente, cuocerle tutte insieme invece di separarle. Infine è importantissimo non rovinare il bellissimo colore dei vegetali.