Alain Ducasse ha passato la maggior parte dei suoi 58 anni in cucina. Eppure dopo 21 stelle Michelin, 26 ristoranti, libri, siti, scuole e perfino un progetto con l’Agenzia Spaziale Europea, non ha alcuna intenzione di fermarsi. Lo chef francese è l’uomo che, più di ogni altro, ha influenzato la gastronomia internazionale. Anticipando mode, tracciando strade, formando generazioni di chef. E costruendo un vero e proprio impero della ristorazione, dove il talento si unisce in maniera inscindibile al business. Uno che – nonostante questo – dice: "I miei genitori non volevano che facessi lo chef. Chissà, forse avevano ragione”.
Fine Dining Lovers l’ha incontrato in occasione del decimo anniversario della Trattoria Toscana. Il ristorante di un lussuoso resort nella campagna maremmana, L’Andana, è l’unico del gruppo Ducasse in Italia. Una osteria contemporanea, dove si rivisitano le ricette della tradizione toscana: un format che ha convinto Ducasse al punto da esportarlo a Montecarlo.
Lei ha brasseries e ristoranti, pasticcerie e scuole di cucina. Il segreto del successo sta nella diversificazione?
Non direi di avere già raggiunto il successo: magari lo raggiungerò in futuro. Prima di tutto è necessario un buono staff. Poi, in ogni posto racconto una storia diversa: la visione è globale, l’espressione è locale. Sono glocal. Le parole chiave sono sempre locale e stagionale, concentrarsi sul territorio e su quello che può offrire.
Ci sono concetti di ristoranti che non ha ancora approfondito e le piacerebbe sviluppare?
Più che una nuova insegna di ristorante, per me in questo momento è importante la condivisione. Vorrei trasmettere tutto il sapere, il savoir faire, alla base della mia cucina. A tutte le latitudini si trovano giovani chef talentuosi: chi sa, dovrebbe trasmettere il più possibile. Il gesto di base è lo stesso dappertutto. Come nella musica, dove il solfeggio rimane immutato ed è il resto a cambiare. Questo sarebbe il mio più grande progetto.
Qual è, secondo lei, un giovane talento da far conoscere?
Dan Barber. Diventerà sempre più famoso. Lui è oltre il concetto di "locale": nel suo Blue Hill, un'ora e quaranta da New York, produce l'85% di quello che cucina. Adesso finalmente comincia ad essere conosciuto, perché non è uno che va alle feste e si fa notare. Dovrebbe già essere una star: è uno chef in grado di raccontare una storia e trasmettere un messaggio.
Cosa pensa della recente esplosione della cucina vegana e vegetariana?
Il 27 maggio 1987, al Louis XV di Monaco, ho proposto un menu totalmente vegetariano, il Menu du Jardin de Provence. 27 anni più tardi, passa come una novità. Le parole chiave della mia cucina, allora come oggi, sono vegetale, stagionale e locale. Molte verdure, cotte e crude, cereali, pesce sostenibile, meno proteine animali, meno grassi, meno sale, meno zucchero. Qualche giorno fa ero a New York, e in un’intervista mi hanno chiesto se l'interesse per le verdure in Francia è dovuto all'influenza nordica. Ho sorriso e non ho nemmeno risposto. In realtà non c'è un merito particolare: a Monaco, come in tutta l'area mediterranea, ci sono risorse fantastiche e non facciamo fatica a reperirle. Un territorio completamente diverso rispetto al Nord Europa!
Quali sono i suoi progetti futuri?
Tra due mesi a Parigi aprirò Alain Ducasse au Plaza Athénée: poissons, légumes et céréales. Ci saranno molte verdure, ma non solo quelle. E poi mi piacerebbe muovermi in città dove non sono ancora arrivato, come Pechino, Mumbai, India. Almeno per cominciare.
Ha piani di espandere il suo impero in Sud America? Si era parlato di un suo progetto di aprire un locale con Alex Atala.
Il progetto con Alex Atala doveva essere fatto prima dei Mondiali, a San Paolo, ma i tempi erano troppo corti. Sono stato a trovarlo, e poi sono andato al Mistura, in Perù, per capire il territorio: è molto diverso dal resto dall'America Latina. In più c'è la generazione di Virgilio, guidata dal carismatico Acurio: grandi prodotti e altrettanta cultura culinaria, con una vera storia dietro, lo rendono il paese più culinariamente avanzato dell’America Latina. È la terra più ricca di biodiversità, subito seguita dal Brasile, dove ci sono prodotti di mare e la terra, la natura è generosa e il clima aiuta. I prodotti più interessanti sono il pesce e le verdure dell’Amazzonia: Atala l'ha capito e ha iniziato a lavorarci. Vedo un grande futuro per questo paese.
Se lei lavorasse per l'Unione Europea, occupandosi di enogastronomia, su quali provvedimenti lavorerebbe?
Bisogna lasciar vivere le differenze, anzi coltivarle. L’UE dovrebbe lasciare la libertà di produrre nel modo in cui si vuole, e di continuare a fare la mozzarella di bufala o il formaggio a latte crudo. Libertà per ogni paese, anche il più piccolo, di preservare le proprie differenze: il contrario di quello che fa ora. Vorrebbero che tutti i formaggi fossero uguali, che tutto fosse piatto e omologato. Una visione globale, invece, non può prescindere dall'identità locale. Realtà come Slow Food dovrebbero esistere in tutto il mondo.