Pacato, determinato e consapevole. Classe 1985, di origini beneventane, Alessandro Buffolino è giovane ma ha le idee chiare. Dal 2016 è lo chef dell'Acanto, il ristorante che sorge all'interno dello storico Hotel Principe di Savoia di Milano, cinque stelle lusso della Dorchester Collection. Qui gestisce una brigata di tredici persone in cucina, che inlcude anche due pastry chef.
Tante le esperienze che lo hanno formato in Italia e all'estero, prima di intraprendere il percorso nell'elegante struttura ricettiva meneghina. Tra le più significative, il periodo trascorso in Francia a Eugenie Les Bains, al fianco del tre stelle Michelin Michel Guérard, considerato uno dei padri della cucina francese, dove Buffolino ha carpito la tecnica, soprattutto per la preparazione dei leggendari jus, ricavati dalla cottura della carne stessa.
A Roma, invece, ha contribuito alla conquista di un astro Michelin alla Terrazza dell'Hotel Eden, accanto allo chef Fabio Ciervo. "Per me è stato un passaggio importantissimo: alla Terrazza dell'Hotel Eden sono entrato da secondo chef e abbiamo affrontato un bel percorso, coronato dalla stella Michelin. Lì ho appreso la maggior parte delle conoscenze che applico ancora oggi all'Acanto".
Ecco cosa ha raccontato Alessandro Buffolino a Fine Dining Lovers.
Cosa significa cucinare per il ristorante di un hotel cinque stelle lusso?
Quando si lavora in grosse strutture come queste saper cucinare è un po’ scontato, mentre la gestione del personale è la parte più difficile e importante allo stesso tempo. Oggi tutti si vantano del fatto che iniziano a far lavorare meno la squadra, con i giusti giorni di riposo, ma nei posti dove ho lavorato io è sempre stato così: non è una novità per me. I miei ragazzi all'Acanto fanno otto-nove ore al giorno, massimo dieci come straordinario, ma nulla di più. Hanno due giorni di riposo a settimana: fare stare bene il personale è un aspetto fondamentale.
Quali sono i "privilegi" che si possono avere lavorando nell'hotellerie di alto livello?
Lavorare per un cinque stelle lusso significa avere tantissimi privilegi. Non si è limitati nella scelta della materia prima, che è la base in una struttura così: qui non esiste una seconda scelta, ma solo la prima qualità. Noi chef possiamo anche sbagliare a cucinare, ma il prodotto non può essere di basso livello. Inoltre, non abbiamo problemi di personale, il che significa che siamo in grado di far fronte tranquillamente a una mole di lavoro non indifferente. Questi due fattori rappresentano la base per poter riuscire. Non dimentico, poi, la fortuna che abbiamo qui per la scelta dei piatti: non ci sono limiti, sono dei costi che vengono sostenuti ogni volta che nasce una nuova ricetta e si studia la migliore presentazione.
Secondo lei qual è la principale differenza tra cucinare in un ristorante non legato a strutture ricettive e in quello di un hotel?
L'unico ristorante dove ho lavorato che non è legato a nessuna struttura è quello di Michel Guérard, ma parliamo di un livello altissimo, un tre stelle Michelin riconosciuto a livello internazionale, dove comunque sono a disposizione delle camere per gli ospiti. Ci sono pochissime differenze, in realtà, in base alla mia esperienza: forse lì si fa qualche ora di lavoro in più, ma è anche giusto così, perché si va per apprendere, quindi più ore si passano in cucina e più si impara.
Come avviene l’ideazione del menu in un hotel cinque stelle lusso, che spesso deve far fronte a una clientela diversa, esigente, internazionale?
Non ci poniamo questo problema: cambiamo la carta in base alla stagione, ma non la costruiamo a seconda della clientela che abbiamo. Il menu è creato assecondando il mio stile di cucina, non ho veti. Allo stesso tempo è vero che abbiamo dei clienti molto particolari al Principe di Savoia, dove c'è una tradizione e una storia di cento anni alle spalle. E forse proprio per questa ragione ci sono clienti esigenti, importanti, del mondo dello spettacolo, della finanza, della politica, ma in realtà non danno problemi, perché si tratta di persone che mangiano in modo molto semplice: preferiscono un pesce alla griglia con verdure bollite o una pasta al pomodoro, sia gli italiani sia gli stranieri.
Quali sono i criteri per far fronte a una clientela internazionale?
Penso che il cliente internazionale quando viene nel nostro Paese voglia un’unica cosa: mangiare italiano. Non abbiamo problemi, quindi: assaggiano uno Spaghetto aglio, olio, peperoncino e polpo, o una Pasta mista "come un cacciucco" (tra i signature dish dello chef, ndr), oppure una variazione di carne, o del tonno siciliano, e sono felici. Poi ci sono anche richieste particolari, ma mai domande che possono mettere in difficoltà una cucina. Lo straniero che viene a Milano spesso sceglie il risotto, per tradizione. Nella carta dei primi, infatti, un risotto non può mai mancare, assieme a una pasta lunga, una pasta corta e una pasta ripiena.
Qual è la richiesta più strana che le ha fatto un cliente dell’hotel?
Ce ne sono tante, che abbiamo costantemente: c’è chi chiede un hamburger o un filetto di carne della carta per darlo da mangiare al cane in camera, c’è il personaggio famoso che prima di andare in televisione vuole solo determinati cibi, c'è chi chiede un abbinamento strano che magari siamo poco abituati a vedere, ma - ripeto - non sono mai richieste che possano mettere in difficoltà una cucina come la nostra. Siamo in un cinque stelle lusso, ospitiamo clienti particolari, ma abbiamo tutti i mezzi per poter accontentarli.
Qual è la caratteristica principale che bisogna avere per riuscire nel suo lavoro?
La formula magica non esiste e io stesso continuo ad apprendere e a crescere giorno per giorno: c’è un’evoluzione di ognuno di noi in tutto quello che si fa. Tutto si evolve e dobbiamo stare attenti al cambiamento. Basti pensare che il 50% di ciò che usiamo oggi in cucina cinque anni fa non c’era. La gestione del personale, la relazione con gli altri è l’aspetto fondamentale - a livello di cucina, ma anche con la sala. Io cerco di valorizzare ugualmente le persone che non vengono mai nominate da nessuno: dagli steward ai lavapiatti, che danno un grande contributo e sono una parte importante della macchina.
Che consiglio darebbe a un giovane che vuole diventare chef in un hotel di lusso?
Di andare all’estero per fare esperienza: è importante viaggiare tanto per capire cosa vuol dire lavorare in un cinque stelle lusso. Lo si apprende molto bene fuori dall’Italia, per esempio in una città come Londra, dove si fanno cento coperti di alto livello a pranzo, in un'ora. Spesso, se si lavora solo nel nostro Paese, alcuni aspetti non si capiscono: la differenza tra il pranzo e la cena è fondamentale. Milano è la città più europea d'Italia, il cliente a mezzogiorno ha molta più fretta, e questo va capito: noi facciamo tanti coperti a pranzo, ma non con il business lunch, perché le persone scelgono i piatti della carta per fare bella figura a un appuntamento di lavoro. Allo stesso tempo, però, hanno poco tempo e devono mangiare in trenta minuti: un giovane deve avere assolutamente questo tipo di consapevolezza per un giusto approccio.