Dei tanti incontri interessanti fatti a Identità Golose 2017, uno ci ha fatto viaggiare più lontano degli altri: quello con Kobus Van Der Merwe, che dal palco del congresso milanese ci ha portati fino a Paternoster, in Sud Africa.
Qui, in questa misconosciuta baia sulla West Coast, lo chef ha portato il foraging, 14.000 km più a Sud delle latitudini scandinave normalmente viene praticato. “Volevo dare una rappresentazione veritiera del luogo in cui si trova il ristorante. È assurdo guidare due ore fuori da Cape Town, arrivare in questa bellissima baia e poi mangiare fish and chips, qualcosa che non ci rappresenta per nulla. Per tantissimo tempo in Sud Africa abbiamo avuto un complesso di inferiorità, importavamo ogni tipo di prodotto”.

Van Der Merwe ha iniziato a cucinare solo 7 anni fa, a 30 anni, abbandonando un lavoro da web editor per il magazine Eat Out e senza aver avuto una formazione culinaria canonica. Ha cominciato aiutando i genitori nella loro bottega-bistrot, poi sei mesi fa ha aperto il ristorante Wolfgat, un minuscolo cottage - appena 20 coperti - in cui propone una tasting experience del Sudafrica dalla durata di 3 ore. Con il weldkos (le piante indigene commestibili) e le alghe, i frutti di mare e gli arbusti, Kobus crea piatti minimalisti ed essenziali, in cui porta i sapori di un ambiente dalla bellezza selvaggia e complessa.

La riscoperta del Sud Africa
Prima di Van Der Merwe un concetto come quello di cucina sudafricana essenzialmente non esisteva. E non esiste tuttora. “Stiamo cominciando a crearci un’identità, ma il concetto di cucina sudafricana è difficile da incasellare, abbiamo 11 lingue ufficiali e così tante tribù indigene”. Per sviluppare il menu del suo Wolfgat lo chef ha dovuto lavorare insieme a storici della cucina e botanici, facendo molta ricerca e sperimentazione. “Alcune tradizioni e alcuni prodotti erano stati documentati, ma mai testati in laboratorio” racconta “In alcuni casi siamo riusciti a dimostrare che tutta quella 'roba selvatica' era estremamente nutriente, soprattutto considerando che cresce senza acqua e pesticidi”.
E anche se un vero e proprio movimento gastronomico non esiste ancora, lui è ottimista: “È un momento eccitante in cui vivere in Sud Africa, la consapevolezza cresce e io spero che il mio lavoro sia di aiuto ad altre persone”.

Giorno per giorno, stagione per stagione
La filosofia di Van Der Merwe è totalmente non-industriale. “Non ho macchine fancy come il paco jet. Non c’è niente di sbagliato nell’utilizzarli, ma io voglio interferire pochissimo con i prodotti, tenerli il più puri possibili senza cuocerli o manipolarli. Non avrebbe senso raccogliere erbe straordinarie per poi trasformarle in una salsa".
Un approccio minimalista che non è sempre facile. “Viviamo in una sorta di semi deserto con estati molto asciutte, in cui non cresce quasi nulla. L’inverno è completamente l’opposto: molta pioggia, la natura risponde miracolosamente e regala verdure e fiori di ogni tipo. Alla fine è proprio questo contrasto a rendere il mio lavoro interessante".