“La fermentazione è trendy” è un affermazione che suona quantomeno bizzarra: da quando un processo ossidativo anaerobico può essere definito trendy? Eppure, basta fermarci a pensare a quali sono stati gli ultimi Re Mida del mondo gastronomico per capire che è così. La pasta madre. Il kimchi. Il tempeh. Il natto, per i frequentatori più coraggiosi dei ristoranti giapponesi. Il kombucha.
Ai fermentati che fanno parte della nostra tradizione - birra, vino, formaggi, yogurt, solo per citarne alcuni - si aggiungono specialità sempre più esotiche. La necessità di fermentare per ridurre i batteri “cattivi”, e conservare i cibi il più a lungo possibile, è sparita, almeno nella società occidentale. Inoltre, tutti i cibi fermentati presentano un’acidità più o meno spiccata, parte imprescindibile della trasformazione chimica che subiscono, acidità sempre in equilibrio sul sottilissimo confine tra “Ehi, che sapore insolito e piacevole” e “Mi rifiuto di assaggiarne un’altra forchettata”. E allora perché i cibi fermentati ci piacciono tanto? Forse non è una mera questione fisico-sensoriale, ma qualcosa di più.
I CIBI FERMENTATI IN ASIA
In diverse culture asiatiche la fermentazione ha una rilevanza culturale molto forte, e una funzione aggregante sia a livello di comunità che all’interno della famiglia. Prendiamo il Khao Mak, ad esempio, un alcolico prodotto dalla fermentazione di riso glutinoso che è popolarissimo nel Sud Est asiatico e che “viene chiamato mother’s alcohol proprio perché legato alla produzione familiare”, spiega Gai Lai Mitwichan. Il giovane thailandese era uno dei protagonisti di un laboratorio sui fermented foods che si è tenuto durante Indigenous Terra Madre: un approfondimento sulla fermentazione visto dai quattro angoli del globo, nelle tante forme - e sapori, e aromi - che assume nelle cucine delle popolazioni indigene. Il Khao Mak viene preparato a partire da sticky rice fermentato e lievito, il quale svolge un ruolo fondamentale, essendo in grado di cambiare completamente il sapore dell’alcolico (un po' come, appunto, la pasta madre nel pane).
IL "CASO" COREA
Il paese dove i fermentati alcolici sono più popolari è sicuramente la Corea, che al lab presentava infatti diverse specialità. Con il nome di Makgeolli si indica un fermentato sempre di riso (ma anche, più raramente, di altre tipologie di cereali) e lievito, a volte con l’aggiunta di fiori o erbe medicinali.
Il fermentato coreano più famoso è però il kimchi: verdure miste (radicchio, aglio, cavolo ... ) sistemate in contenitori di ceramica e lasciate a fermentare in previsione di inverni di penuria vegetale. Il kimchi può essere fermentato da due settimane a un anno (l’acidità aumenta ovviamente in maniera esponenziale) ed è una vera bomba nutrizionale, con poche calorie e moltissime vitamine.
In generale la fermentazione - oltre al non indifferente vantaggio della conservazione - produce alimenti altamente nutrienti, riempiendoli di antiossidanti e altri probiotici “buoni”, ma soprattutto rendendoli più digeribili. Sempre sul palco di ITM è salita Alpana Borpatragohain, un’intraprendente signora indiana che ci ha parlato del Passion Tea prodotto dalla tribù dei Singhpo (la cui storia incrocia quella di di Robert Bruce, “the father of indian tea”). Le foglie di tè vengono fermentate in forma di “torte”, per un periodo variabile da pochi mesi e molti anni, sviluppando anche in questo caso straordinarie virtù nutritive (viene chiamato “the elisir of life”) e un sapore affumicato che non si dimentica facilmente: non è ancora praticamente commercializzato, ma c’è da scommettere che sugli scaffali dei nostri supermercati finirebbe molto in fretta.
A Shillong, dove si è svolto l’evento, la fermentazione non era solo un oggetto delle conferenze, ma anche una realtà che si poteva toccare con mano (nel senso letterale: qui non si mangia certo con le posate). Nel Nord Est dell’India i cibi fermentati sono una parte imprescindibile del tessuto gastronomico: sapori spesso molto “difficili” per un palato occidentale, ma anche affascinanti da scoprire nella loro varietà e differenza da tribù a tribù - 70 solo in questo territorio. Molto popolari i bamboo shoots fermentati, accompagnati solitamente da riso e vapore e maiale, che compaiono anche nella ricetta del Tungrymbai: fagioli di soia fermentati, pasta di sesamo nero e maiale a dadini (oltre ovviamente ad aglio, cipolla, curcuma, peperoncino e zenzero, elementi imprescindibili di ogni piatto tipico). Sul versante fermentato abbiamo anche il Tungtap, una via di mezzo tra una salsa e un chutney a base di pesce secco fermentato. Se riuscite a superare lo scoglio dell’odore, scoprirete sfumature di piccantezza e acidità che non pensavate potessero esistere.