Era il 1985 quando Stefano Bartolini ha aperto La Buca sul Porto Canale di Cesenatico. Trent'anni dopo, il ristorante ha conquistato una stella Michelin, e la famiglia Bartolini ha aperto due osterie (l'Osteria del Gran Fritto a Cesenatico e quella a Milano Marittima) e un altro locale, la Terrazza Bartolini. Una storia solida di amore per la cucina, intuito imprenditoriale e continuità familiare, che ora sta portando avanti Andrea, figlio di Stefano.
Andrea è laureato in architettura, una formazione che non è stata un ostacolo né un'alternativa al lavoro nella ristorazione, bensì un naturale complemento all'attività di famiglia, contributo indispensabile nella costruzione tanto dei locali quanto dei piatti.
Abbiamo incontrato Andrea Bartolini in occasione dell'aperitivo natalizio che ha preparato da Atelier, il salone di bellezza di Dario Diodovich dentro uno splendido palazzo storico di via Torquato Tasso a Milano.
Com'è cominciata la sua passione per l'architettura?
Dal primo incontro con l'architetto che ha progettato la casa dei miei genitori, Fiorenzo Valbonesi. Ma un altro incontro che mi ha segnato è quello con Bruno Renna, il maître de La Frasca di Milano Marittima: sono stati le mie due icone. Mi sono laureato in architettura ma ho sempre continuato a lavorare nel ristorante. E devo ringraziare i miei genitori che mi hanno sempre lasciato libero di decidere il mio percorso, che alla fine è andato naturalmente a coincidere con quello di famiglia. Quando ho deciso che sarei entrato in azienda mio padre aveva le lacrime agli occhi.
Lei non ha avuto una formazione canonica di cucina, ma solo una "sul campo".
Come realizzo un edificio così posso progettare un'idea di locale o addirittura un piatto. Penso ai fratelli Roca: da loro tutto è progettato, compresa la linea di pasticceria. Io do una linea di impostazione del piatto, spesso partendo dall'ispirazione visuale, con immagini e fotografie. Poi faccio un briefing - sempre un lavoro di squadra, come in architettura - con l'executive chef Gregorio Grippo a cui lascio massima libertà, e infine sui piatti che crea affino ulteriormente le mie idee.
La Buca nel 2013 ha conquistato una stella Michelin. Qual è l'idea alla base della cucina?
L'essenzialità. Negli ambienti, in cucina, nell'imprenditoria: la applico a tutto. Parlando di piatti, da noi non troverai uno stile o una mano riconoscibile ma un'idea. Ci concentriamo sempre su un solo ingrediente e tutto quello che viene intorno non deve prevaricare. Da noi, ovviamente, il protagonista è il pesce dell'Adriatico. Il mare per i Bartolini è tutto. Il mio contributo è sul cuore del piatto, non tanto lo stile o la parte estetica quanto la composizione, il taglio architettonico.
Qual è il piatto più rappresentativo che avete costruito?
Gli Spaghetti al sugo di granseola. La cuociamo classica, poi usiamo un torchio per estrarre la polpa che riduciamo a distillato mentre la pasta viene cotta nel succo. Un ingrediente solo in varie sfaccettature: la polpa con il suo profumo dolce, il carapace tostato, tutti contrasti presentano in diversi momenti.
E come lavorate, invece, alle due Osterie e alla Terrazza?
Facciamo quella che chiamo "cucina da peschereccio". Storicamente i marinai che pescavano dal porti di Cesenatico venivano da altre città, e quindi si fermavano a mangiare sulle barche. Cuocevano su piccole griglie o facevano il risotto nei pentolini. Utilizzavano pesci non vendibili al mercato come la saraghina. Ed è a quelle ricette che ci rifacciamo: tradizione pura, poca filosofia.
Ma quella della Buca e quella delle Osterie non sono cucine di livelli diversi per me. Anzi, è importantissimo nobilitare i nostri prodotti e il nostro territorio: quando abbiamo cominciato noi i sardoncini romagnoli non li voleva nessuno, li tiravano nella schiena alla gente. Perché le acciughe del Cantabrico sì e i nostri pesci no?
Chi la ispira in modo particolare?
Niko Romito, sicuramente, che lavora in modo similare ma spaziando su tutto il territorio abruzzese mentre noi ci focalizziamo sul mare. Ma anche trattorie come Osteria Bottega o Amerigo, luoghi dove mia mamma mi portava da piccolo, e dove ricette complesse diventano basi fondamentali. Penso alle tagliatelle al ragù: per noi non vanno scomposte in diversi ingredienti, sono un ingrediente. Il ragù diventa un'idea e la tagliatella perfetta diventa l'essenzialità.
E il vino in questa costruzione dove trova posto?
Io sono per tenere i mondi separati, ho un'idea più romantica che il semplice abbinamento di un vino al piatto. Non ho una carta democratica: i vini che mi piacciono, punto. Amo gli champagne e mi diverto a scegliere piccole aziende.
Progetti futuri?
Un locale a Bologna con un concetto democratico di cucina - di pesce, alla portata di tutti - e una situazione informale. Aprirà entro la prima metà del 2016.