"Lo chef deve essere una spugna, assorbire tutto e filtrarlo al cliente. Se fai il cuoco devi essere contemporaneo, e non perderti niente di quello che la tua epoca può darti".
Antonia Klugmann si ritrova perfettamente nella definizione di Italian Contemporary Chef, la sezione di Identità Expo S.Pellegrino a cui ha partecipato preparando due pranzi, uno ieri lunedì 18 maggio e uno oggi martedì 19. Per lei uno chef non solo può, ma deve essere contemporaneo. "Se c'è uno che l'ha capito perfettamente è Massimo Bottura, che sa come comunicare la propria contemporaneità".
A Expo Milano 2015 Antonia ha portato il suo Friuli Venezia Giulia, quello in cui è nata e in cui lavora: a dicembre 2014 (dopo sei anni di lavoro per costruirlo, insieme al compagno Romano De Feo) ha aperto L'Argine a Vencò a Dolegna del Collio, in provincia di Gorizia.
Il suo menù comincia con Trota confit, agrodolce e agretti, un piatto che ha in carta anche al ristorante; si prosegue con i Cannelloni verdi all’aglio orsino e baccalà mantecato, un "compromesso" tra il nonno pugliese e le origini friulane, e poi con il Musetto, rabarbaro e sambuco. "Il musetto è una salsiccia tipica friulana fatta, appunto, con il muso del maiale" spiega Antonia "Amo i tagli di carne meno nobili, il fegato, i nervetti. Mentre non cucinerei mai un filetto o una bistecca: sono carni inutili e poco significative per me". Per finire, un Gelato alla camomilla e meringa al limone: miele, limone e camomilla sono in assoluto i suoi gusti preferiti.
Quali sono le idee, l'ispirazione alla base del suo menù per Identità Expo?
I miei piatti sono un prodotto di chi sono, mai una forzatura. Esiste sempre un'esatta corrispondenza tra me e la mia cucina: uso moltissimi prodotti poveri e l'elemento vegetale è preponderante.
Potrebbe mai lavorare in città, in un ambiente per così dire "metropolitano"?
Assolutamente no. Sono poco adatta alla città, ho bisogno di un rapporto diretto con i produttori e con la terra. I ragazzi che lavorano in cucina con me dedicano due ore al giorno alla raccolta di cibo spontaneo e curiamo un orto. Ho scelto accuratamente il terreno su cui sorge il ristorante, lo volevo ricco e incontaminato, vicino al bosco.
Il suo primo ristorante, però, l'ha aperto molto giovane, a 26 anni.
Sì, anche se in realtà ho cominciato a cucinare tardi, a 22 anni. Tutti mi dicevano che ero troppo vecchia e per giunta donna: non sarei mai diventata chef. Ora è tutto diverso, i giovani vedono quella dello chef come una carriera appetibile.
E lei perché ha deciso di cominciare?
Studiavo giurisprudenza ma ho deciso di lasciare l'università. Quello che mi attraeva era l'aspetto creativo della cucina. Non avevo capito che il diritto di essere creativo va conquistato con anni di sacrifici. In realtà, paradossalmente, sono diventata chef non cucinando: ho avuto un incidente e sono stata ferma un anno, durante il quale ho iniziato a coltivare un orto. Quella è stata la mia ispirazione principale.
Tornando ai suoi inizi da chef, pensa che lavorare in cucina sia più difficile per le donne?
Il peggior limite delle donne sono loro stesse. Se decidi di fare la chef devi lavorare 18 ore al giorno e sacrificare la tua vita privata, e nella nostra società non è ancora socialmente accettabile che una donna si concentri solo su se stessa e sul suo lavoro. Questo è il problema, non la mancanza di meritocrazia, anzi: le cucine dei ristoranti sono uno dei pochi luoghi in Italia dove esistono sia meritocrazia che disciplina.
Lei pensa di aver sacrificato la sua, di vita privata?
No. E non perché il mio compagno è sommelier e lavora con me - anche se per me era indispensabile qualcuno che condividesse le mie passioni. No, fare la chef per me non è un sacrificio perché non voglio tempo libero il weekend per andare a fare shopping, non ho bisogno di rilassarmi la sera: piuttosto vorrei una giornata di 48 ore per cucinare ancora di più. Non torturo la mia femminilità nella divisa da cuoco: mi appartiene.
C'è qualche padiglione in particolare che è curiosa di visitare, qui a Expo Milano 2015?
Quelli dei paesi che vorrei visitare fisicamente: Cina, Thailandia, Malesia, Vietnam. Per ora ho potuto viaggiarli solo nella mente. Uso moderatamente ingredienti "esotici", come lo zenzero ad esempio, ma sono affascinatissima dalle tecniche e dagli strumenti. Anche a livello estetico: i wok o i coltelli giapponesi, ad esempio, prima che utili sono straordinariamente belli.
Nutrire il pianeta, energia per la vita: che ruolo abbiamo noi nel futuro dell'alimentazione?
Tornando al discorso sulle differenze di genere, non credo nella "donna che nutre", l'immagine della mamma che cucina il comfort food a casa per la famiglia. Mi auspico che tutti, sia uomini che donne, tornino a cucinare di più e a conoscere meglio i prodotti.
Qual è, tra i suoi piatti, quello che la rappresenta di più e che dobbiamo assaggiare per "capire" Antonia Klugmann?
La Polentina verde. È nata 8 anni fa, un giorno che nel giardino di casa ho visto che erano spuntate le violette selvatiche: era un'immagine bellissima, questa macchia bianca e blu in mezzo al verde, con il profumo di erba tagliata intorno. Ho pensato che dovevo farne un piatto: una polentina bianca mantecata con il burro al Silene, che la rende verdissima, con panna acida, viole e semi di papavero.