Tra le prime categorie a pagare il conto della pandemia Covid-19 è sicuramente quella dei ristoratori, bar e hotellerie. Sono stati i primi a vedere i locali svuotarsi e tra i primi a dover chiudere, per scelta o per senso di responsabilità, per impedire la diffusione del virus.
Le prime ripercussioni sulla categoria si sono viste in Italia e sebbene molti ristoratori abbiano organizzato prontamente attività alternative di servizi alternativi di consegna a domicilio, l'impatto economico è già evidente.
La situazione non è diversa nel resto del mondo. Dall'inizio di marzo a oggi, dalla Francia agli Stati Uniti, la stragrande maggioranza dei ristoranti, dei bistrot e dei bar ha infatti tirato giù le serrande.
Per questo motivo gli chef e i ristoratori stanno cominciando a chiedere ai rispettivi governi un aiuto reale e concreto per sostenere l'intera comunità che vive grazie ai ristoranti: chi lavora in cucina e in sala, ma anche i fornitori e tutte le loro famiglie.
Ecco le petizioni e gli appelli lanciati dagli chef nel mondo.
Stati Uniti
L'associazione American Chefs ha superato le 290.000 firme su Change.org - in meno di 24 ore hanno raggiunto quota 100 mila - per fare pressione sul Governo affinché dia un sostegno concreto all'industria della gastronomia.
L'appello, diretto ai governatori, ai sindaci e ai legislatori, chiede un impegno con i leader del settore locale e con le associazioni di ristoratori per stendere un piano che sia rapido e significativo, finalizzato a dare reale opportunità di sopravvivenza. La richiesta, nel dettaglio, è di fornire prestazioni di emergenza per i tutti i lavoratori che sono stati licenziati o che hanno visto una riduzione significativa del loro stipendio.
La rinuncia all'imposta sui salari, la soppressione dell'affitto e della riduzione dei prestiti per i lavoratori. Tra le richieste ci sono l'autorizzazione a offrire il servizio di consegna a domicilio per prodotti, preparazioni così come birra, vino e cocktail in bottiglia e dunque di avere una certa libertà di movimento ma anche il permesso di poter usare temporaneamente gli spazi del ristorante come negozio di alimentari e bevande offrendo un'alternativa ai supermercati sovraffollati in modo da poter pagare lo stesso il personale di sala e sostenere i vari fornitori.
La petizione è firmata da alcuni grandi nomi dell'industria della ristorazione americana tra cui: Will Guidara, David Kinch, Patrick O’Connell, Chris Shepherd, Nancy Silverton e Alice Waters.
Regno Unito
A differenza di Italia, Francia e Spagna che hanno reagito velocemente al virus Covid-19 chiudendo subito i locali pubblici, la Gran Bretagna ha tentennato più a lungo arrivando a questa soluzione solo intorno al 20 marzo.
Questo ha lasciato il settore della ristorazione in una situazione complicata e confusa, tra chi sceglieva di restare aperto e chi non voleva mettere a rischio clientela e personale. Così lo chef londinese Jeremy Chan del ristorante Ikoyi ha avviato una petizione per sollecitare il governo del Regno Unito a ordinare ufficialmente la chiusura di tutti i ristoranti e bar. Così è stato. L'annuncio di Boris Johnson è arrivato proprio il 23 marzo e prevede, sul modello italiano, la chiusura di bar, ristoranti e tutti i locali pubblici per evitare assembramenti. I cittadini britannici potranno uscire di casa solo per motivi di reale necessità.
Francia
È di domenica 22 marzo la lettera rivolta al Presidente della Repubblica Macron, scritta e firmata da chef, produttori e fornitori in cui si chiede espressamente che venga dichiarato lo stato di calamità naturale sanitaria per salvare le loro imprese dalla crisi per il Covid-19. Ecco alcuni stralci della lettera:
"Signor Presidente della Repubblica,
Noi, piccole, medie e grandi imprese francesi, siamo in stato di emergenza sanitaria. Ma per sopravvivere, abbiamo bisogno di un decreto di catastrofe naturale sanitaria. È la nostra unica via d’uscita, per tutti, perché una simile misura responsabilizzerebbe le assicurazioni. Consapevoli che lo Stato francese non potrà sopportare da solo le perdite abissali che subiamo giorno dopo giorno; e per quanto tempo ancora? Vi lanciamo questo appello affinché anche le assicurazioni partecipino allo sforzo bellico. Perché, come lei ha sottolineato, la Francia è in guerra.
Sarebbe giusto che le assicurazioni francesi (220 miliardi di euro di fatturato nel 2018) e le loro riassicurazioni (234 miliardi di euro di fatturato nello stesso anno) fossero le sole a non mostrarsi solidali? Confinati, dobbiamo, allo stesso tempo, pensare al futuro. Progettiamo e proteggiamo i nostri dipendenti, i nostri artigiani, i nostri fornitori. Attentati, Gilet gialli, scioperi: commercianti, abbiamo assunto. Ma chi si rialzerà una volta finita questa guerra? Sarà fatale per molti di noi..."
A firmare la lettera i grandi nomi della gastronomia francese tra cui: Pierre Augé, Bertrand Buy, Yves Camdeborde, Hélène Darroze, Alain Ducasse, Sylvain Erhardt, Philippe Etchebest, Eric Fréchon, Pierre Gagnaire, Stéphane Jégo, Stéphanie Le Quellec, Cyril Lignac, Grégory and Marchand, Alessandra Montagne, Eric Roy, Michel Sarran, la Confederazione delle piccole e medie imprese, il Collegio culinario di Francia (per piccoli produttori e artigiani) e il Refugee food festival.