Un anno fa, l’Italia entrava in lockdown. L’emergenza sanitaria costringeva alla chiusura bar e ristoranti, mentre il Covid cambiava (per sempre?) il profilo della società e l’alfabeto gastronomico. La pandemia ha inevitabilmente generato una grossa crisi economica, soprattutto per il settore dell’ospitalità e del food. È stato un anno durissimo per i pubblici esercizi, tra aperture a singhiozzo e chiusure con la sola possibilità di asporto e delivery. Tanti i problemi che hanno messo in grande difficoltà imprenditori, ristoratori, chef e bartender, che hanno affidato ad appelli e petizioni di associazioni di categoria la propria voce, tra manifestazioni e richieste di aiuto alle istituzioni.
Qual è il bilancio a un anno dall’inizio della pandemia? Lo abbiamo chiesto ad alcuni protagonisti del settore.
Il mondo della ristorazione e dell'ospitalità ad un anno dall'inizio della pandemia
Famiglia Cerea - Da Vittorio, Brusaporto (Bergamo)
La famiglia Cerea del ristorante tre stelle Michelin Da Vittorio a Brusaporto, è stata impegnata in prima linea nell'ultimo anno di guerra al Covid. Chicco e Bobo Cerea si sono dati da fare per cucinare come volontari per l'ospedale da campo allestito a Bergamo nei mesi più duri del 2020. Allo stesso tempo, hanno implementato il servizio di delivery Da Vittorio at Home e lanciato nuovi progetti.
"Il 2020 è stato un anno difficile, non solo perché la pandemia ha messo seriamente in crisi il sistema ristorazione italiano ma anche perché la nostra Bergamo, soprattutto nella prima fase, è stata la città più colpita dal Covid-19. Ci siamo sentiti affranti e impotenti davanti al virus: è per questo che, nel nostro piccolo, sia con il servizio di mensa per il personale dell'ospedale da campo allestito dagli Alpini che con la distribuzione delle derrate alimentari in eccedenza alle famiglie in stato di bisogno, abbiamo voluto testimoniare la nostra vicinanza alla comunità bergamasca che ci ha sempre sostenuto. Era un atto doveroso da parte nostra. Ci sono tante novità che bollono in pentola nel nostro 2021, a partire dall'avventura di DaV Mare allo Splendido Mare di Portofino, quindi siamo fiduciosi che ci sarà una lenta ma inesorabile ripresa. E speriamo che presto, molto presto, si possa tornare a quella normalità che tutti desideriamo".
Andrea Berton - Ristorante Berton, Milano
Andrea Berton, chef e patron dell’omonimo ristorante di Milano, nell’ultimo anno ha sofferto anche per la mancanza di clientela straniera che rappresentava il 40% del suo pubblico. Ecco il suo bilancio, da cui traspare una speranza: nelle settimane in cui il suo ristorante è stato aperto, ha registrato il full booked. Non ha scommesso nel delivery, ma è stato il primo in Italia a mettere in vendita i restaurant bond.
“La situazione non è molto cambiata: eravamo chiusi a marzo 2020 e lo siamo pure a marzo 2021. Questo è molto penalizzante per il settore, perché comunque abbiamo avuto pochi ristori o sostegni economici nei mesi di chiusura del 2020. Adesso stiamo aspettando di capire se ci saranno dei ristori come dicono, perché altrimenti la situazione si sta aggravando molto. Con il nuovo presidente del consiglio Draghi sembrerebbe ci siano dei sostegni, ma attualmente non si sa ancora nulla di preciso: non sappiamo se ci saranno degli aiuti economici per la chiusura e per la perdita di fatturato e per le difficoltà che stiamo vivendo. Noi stiamo soffrendo, stiamo andando avanti con le nostre gambe senza aiuti da parte del governo, o anzi pochissimi aiuti da parte del governo che ci sono arrivati nel 2020, ma in percentuale molto bassa (è come dare 5 euro a qualcuno per fare un regalino). Se non arrivano dei sostegni vedo dura che non soffrano le aziende del settore: siamo chiusi, non ci sono incassi e questo non consente alle aziende di coprire i costi e anche di guadagnare. Abbiamo perso un anno e stiamo ancora perdendo dei mesi del 2021. Dall'altra parte la fortuna è che comunque i clienti rispondono bene, perché nelle settimane in cui siamo stati aperti il ristorante ha lavorato molto bene, è sempre stato al completo, con un pubblico italiano, milanese o lombardo, senza stranieri. Noi ormai è da mesi che non vediamo pubblico estero al ristorante: cosa strana perché in epoca pre Covid i clienti erano al 40% stranieri. Avevamo molti clienti business da tutto il mondo: una fetta di pubblico importante che non c’è più, di fatto. E non ci sarà fino a quando la situazione non tornerà alla semi-normalità. Dovrebbero trovare delle soluzioni alternative alle chiusure, visto che ci dobbiamo convivere, soprattutto per alcune attività commerciali come i ristoranti fine dining simili al mio: non si può omologare e trattare tutti allo stesso - bar e ristoranti - ma dovrebbero fare dei controlli e chi rispetta i protocolli deve lavorare. Questo è il momento di prendere delle decisioni e di suddividere in categorie il settore chi rispetta dovrebbe poter tenere aperto a pranzo e a cena, è un’ingiustizia, per chi ha investito in sicurezza, non poter lavorare”.
Max Mascia - chef del ristorante San Domenico, Imola
Nel 2020, il San Domenico di Imola, il ristorante due stelle Michelin più longevo d’Italia, ha spento cinquanta candeline. Come ha reagito? Lo chef Max Mascia si è impegnato in prima persona nel delivery, scegliendo di consegnare personalmente a domicilio anche il menu del cinquantesimo anniversario, con celebri piatti iconici, a partire dall’Uovo in raviolo. Ecco le sue considerazioni.
“Il bilancio parla chiaro, per noi il 2020 ha rappresentato un tuffo a ritroso abbastanza importante. Le perdite si aggirano attorno al 22-23%, e siamo tra i fortunati che almeno da fine maggio a metà ottobre hanno potuto lavorare a pieno ritmo, visto che rispettavamo già da prima le misure del distanziamento. Dopo aver riaperto a metà maggio con un calo del 60% rispetto ai primi 4 mesi del 2019, c’è stato un deciso recupero fino ad un -10% di metà ottobre. Le chiusure di novembre e quella dal 23 dicembre ci hanno tagliato le gambe. Comprendiamo gli inaspettati eventi di marzo 2020, ma da metà maggio in poi soprattutto in estate si è fatto troppo poco per non dire nulla sui temi di prevenzione e soprattutto controllo delle regole, e così coi primi freddi quello che tutti sapevano è riaccaduto. Il 2021 non è iniziato meglio, ad oggi sono più i giorni di chiusura obbligatoria che quelli in cui abbiamo potuto lavorare. Comprendiamo ancora una volta che sia necessario, ma chiediamo a gran voce controlli sulle regole appena ci sarà la riapertura, ma anche ristori adeguati al lavoro perso. Credo che per tornare ai livelli del 2019 ci vorranno 3-4 anni, sono comunque ottimista sul fatto che, appena si potrà uscire, i ristoranti saranno di nuovo pieni!”.
Claudio Sadler - Ristorante Sadler, Milano
Presidente dell’associazione Le Soste e decano del fine dining meneghino, lo chef Claudio Sadler, stella Michelin nel ristorante che porta il suo nome a Milano, nell’ultimo anno si è dato molto da fare con il delivery, animando la cucina del suo bistrot Chic & Quick. Ecco che cosa ci ha raccontato.
“Di fatto siamo bloccati da un anno, il nostro settore è stato estremamente penalizzato: c’è tanta gente in grandissima difficoltà. Certo, lo siamo tutti, ma c’è chi sta peggio, senza possibilità di lavorare, perché ci sono situazioni in cui non si ha nemmeno la possibilità di fare delivery e asporto perché il ristorante è localizzato male. Ma anche chi fa catering, ricordiamolo, è bloccato da un anno. Ci hanno costretto ad accedere a un credito in tempi decenti, ma in realtà è un debito, non è un bonus: tutta la categoria si è impoverita e con un anno di stop è difficile recuperare. Abbiamo pensato tutti che durasse meno tempo il Covid, e invece questa tortura è lunga… Ci sono problemi economici ma anche psicologici, la resistenza ha un limite: molti colleghi hanno chiuso, e tra questi ci sono tre o quattro ristoranti dell’associazione Le Soste che non riapriranno più. I bonus, gli aiuti a fondo perduto, sono stati bassi: con la mancata attività di mesi portanti come dicembre o come Pasqua e le festività, ci siamo trovati a perdere un fatturato molto alto. Personalmente io ho perso più del 60% del fatturato nell’ultimo anno, a fronte di un incentivo molto basso. Noi ci siamo sobbarcati di un peso molto grosso, capisco che è giusto, ma il nostro comparto è stato davvero colpito. Speriamo che gli annunci non ufficializzati di Draghi degli ultimi giorni, con gli aiuti a fondo perduto calcolati sull’anno 2020 rispetto al 2019, diventino realtà. Poi, dovremo restituire tutto alle banche, con calma. Ho lanciato da poco un videomessaggio: il mio filmato è un appello per essere aiutati in maniera molto concreta. Fronte delivery? Per me è stato un aiuto importante, perché nei momenti delle festività abbiamo lavorato molto bene, ma anche in quel caso non è una costante di tutti i giorni. Nel mese di Natale ci siamo impegnati al massimo, ma abbiamo ricavato solo il 30% rispetto al solito. Anche quando eravamo in zona gialla non ci siamo mai fermati: a mezzogiorno la trattoria era sempre aperta, mentre lo stellato l'ho tenuto aperto solo sabato e domenica. Senza area gialla lavori attorno al 25-30%, ma niente di più”.
Paolo Griffa - chef del ristorante Petit Royal, Courmayeur
Paolo Griffa, giovane stella Michelin del Petit Royal, oasi gourmet all’interno del Grand Hotel Royal & Golf di Courmayeur, rappresenta un punto di vista interessante nel mondo dell’ospitalità: la scorsa estate, nei giorni di calo dei turisti e dei viaggiatori, il suo ristorante - una destinazione top per i palati gourmand - ha trainato l’intera struttura. Ecco che cosa ci ha raccontato, in una lunga testimonianza.
“In Italia il ristorante all'interno di hotel viene visto ancora con diffidenza, mentre all'estero i migliori ristoranti sono sempre dentro agli hotel. In particolare, il nostro tipo di ristorante si incastona in un contesto molto particolare: Courmayeur viene vista da sempre come una meta di vacanza per persone altospendenti, quindi di conseguenza la ristorazione doveva essere cara e accontentare i canoni richiesti. Noi invece abbiamo optato per una ristorazione differente che si distinguesse nel panorama valdostano, dando una forte connotazione di ricerca sui prodotti territoriali più di nicchia e uno stile di cucina riconoscibile e diverso. Questo, inizialmente, è stato un pò penalizzante perché abbiamo avuto bisogno di farci conoscere, ma successivamente è stato un punto di forza, dal momento che così abbiamo ampliato il nostro bacino di utenza, non più solo alle persone in villeggiatura. A Courmayeur, in epoca pre Covid, molti nostri clienti arrivavano da Ginevra, Chamonix e Megeve (località più vicine di Milano e Torino come percorrenza) ma anche valdostani e tante persone che venivano da noi solo per cena, per poi tornare indietro. Oppure persone che, con la scusa di venire a cena, si ritagliavano periodi di riposo fermandosi poi a Courmayeur. Quest’anno è stato altalenante, soprattutto per noi che apriamo nella stagione estiva e in quella invernale. Un anno fa abbiamo perso due mesi di attività con il primo lockdown, ma in estate per fortuna abbiamo recuperato: non c’è stato un giorno che il ristorante non fosse pieno, grazie alle tantissime seconde case a Courmayeur. Abbiamo infatti pensato: perché non riaprire in anticipo, a novembre? L’inverno per noi è il momento più importante, quest’anno poi c’era neve, si poteva sciare, ma proprio quando abbiamo deciso, hanno chiuso nuovamente tutto, tagliandoci le gambe. È un’incognita continua, non più sostenibile: noi siamo solo un comparto dell’hotel, una struttura importante composta da tanti comparti che devono funzionare. Siamo finalmente riusciti ad aprire a febbraio, ma oggi dobbiamo nuovamente chiudere”.
Franco Pepe - Pepe in Grani, Caiazzo (Caserta)
Franco Pepe, maestro della pizza di Pepe in Grani a Caiazzo, sin dalle prime ore della pandemia si è adoperato per portare conforto ai meno fortunati con opere di volontariato, senza spegnere mai il forno della sua pizzeria, tempio dell'arte bianca famoso in tutto il mondo. Intanto, ha maturato il nuovo progetto Proxima, format di pizzeria replicabile. Ecco cosa ci ha raccontato.
"L’anno scorso in questi giorni affrontavamo qualcosa che mai era accaduto prima. E mai avremmo pensato di essere quasi nelle stesse condizioni dopo un anno. Abbiamo capito che ci sono tante incertezze dal punto di vista scientifico e a tutela della salute, ma ci siamo anche accorti che noi ristoratori siamo un po’ gli invisibili della società, siamo stati tra le categorie più penalizzate e non abbiamo modo di comunicare con le istituzioni. Per me, tutte le associazioni di categoria hanno fallito: noi siamo solo certi di una cosa, che con il nostro lavoro e con la nostra professionalità, nelle finestre di apertura, i clienti ci hanno premiato e abbiamo lavorato tanto, il pubblico ha riconosciuto gli sforzi fatti per lavorare in sicurezza. Sono sicuro del mio saper fare, quindi so che nel momento in cui rivedremo un po’ di luce, ripartiremo come prima. Certo, andremo avanti, ma con tante delusioni dentro. Possibili soluzioni? La ripartenza sarà basata sul nostro senso di responsabilità e professionalità. E spero nel tempo di trovare sulla mia strada degli interlocutori giusti che possano rappresentare me di fronte alle istituzioni. In questo momento serviva l’appoggio delle associazioni di categoria per dare una sicurezza a noi, o almeno un conforto, ma questo non è accaduto. Certo, è una situazione difficilissima: ripeto, solo professionalità e senso di responsabilità ci possono guidare. Io non voglio i soldi dello Stato: voglio lavorare, anche di meno, ma con continuità".
Mattia Pastori - bartender Nonsolococktail
Tra le categorie che più hanno sofferto, i bartender e in generale il mondo dei bar e dei cocktail bar, hanno più volte lanciato messaggi di sos. Ecco la testimonianza del pluripremiato bartender Mattia Pastori, titolare di Nonsolococktail, realtà vocata alla consulenza e alla formazione nel settore.
“Per il mondo del food & beverage è stato un anno particolare: è un settore di servizio, che si basa sul contatto con le persone. Il settore, dunque, si è dovuto reinventare, ed è stata dura. Prima del Covid, quello che era il cibo da asporto è sempre stato visto come un prodotto poco ricercato, quindi chi è riuscito a reinventarsi sotto quel punto di vista, sicuramente ha trovato uno slancio maggiore. Come Nonsolococktail, devo dire che tutta l’attività di formazione è stata penalizzata: è importante fare il corso in presenza, e risulta difficile portare avanti un corso senza la parte pratica, che in questo lavoro è fondamentale. Nello stesso tempo ho trovato un nuovo slancio per quanto riguarda la parte di conoscenza, con uno studio di quelle che possono essere gli argomenti precisi e, allo stesso tempo, mettere in pratica - in autonomia - le nozioni apprese. Da qui la nascita di quella che è la Web Academy di Nonsolococktail, che si propone come un sistema di formazione continuo per i bartender, per tenerli aggiornati e attenti da questo punto di vista. Sì, ci siamo fermati, ma quando ripartiremo dovremo essere molto più aggiornati per fare la differenza nel mercato. Nel mondo attuale, malgrado la chiusura dei locali, in molti ci stanno chiamando per delle consulenze, per un riposizionamento di quello che può essere la strategia: dalla drink list all’interno della propria azienda alla proposta beverage in generale con i vini al bicchiere, ai servizio, che è l’aspetto più importante. Insomma, anche i locali che sono chiusi e sono fermi, stanno cercando di tenersi attivi con la formazione. La difficoltà è quella di riuscire a tenere la fiamma a livello di ricordi di questi locali per i nostri clienti: a livello digitale stiamo facendo sì che il consumatore non si dimentichi di noi in questo periodo in cui non possiamo dare tutto. Ultima novità che ci riguarda dell’anno appena trascorso è il nostro approccio verso il mondo verso il consumatore: abbiamo fondato il primo digital bar. Andiamo a produrre cocktail destinati a un pubblico appassionato di questo mondo che apprezza queste creazioni. Nei prossimi mesi lanceremo delle box experience che parleranno di un determinato prodotto: da un liquore a un distillato. La formazione sarà sempre più legata al consumo e un concept, un’idea specifica”.
Filippo Saporito - La Leggenda dei Frati di Firenze, Presidente JRE Italia
Abbiamo raccolto la testimonianza anche di Filippo Saporito, chef e patron de La Leggenda dei Frati di Firenze e Presidente dell’associazione Jeunes Restaurateurs d’Europe Italia, che da sempre sostiene la formazione dei giovani e ha da poco avviato una collaborazione con l’Istituto Pellegrino Artusi di Recoaro Terme.
“Il bilancio va sostanzialmente diviso in due. Da una parte il fatto strettamente economico di aver vissuto, e continuare a vivere, un momento complicatissimo per il quale tutti noi non possiamo darci colpe specifiche. Se per altre cause drammatiche dal punto di vista economico, come un terremoto o un evento finanziario particolare, potevi in qualche modo cercare una scusa nel fatto che fosse capitato proprio a te, questa pandemia ci ha portato di fronte al fatto che siamo veramente tutti, in questa terra, connessi in qualche modo. L’altra constatazione, come le grandi crisi insegnano, è stata il fatto che tutti ci siamo messi in discussione e abbiamo pensato e realizzato progetti che prima non avremmo mai immaginato”.
Luca Marchini - chef e patron Ristorante L’Erba del Re, Modena
Chef e patron Ristorante una stella Michelin L’Erba del Re di Modena, Luca Marchini ha dovuto rivedere tutte le sue attività - dalla trattoria al ristorante gourmet, passando per la scuola di cucina - e riorganizzarsi con un nuovo shop online. Ecco che cosa ci ha raccontato.
“È un anno in cui abbiamo sofferto tanto, in cui abbiamo rischiato: la spada di Damocle delle chiusure, della mancanza di liquidità e delle incertezze ci ha portato a cambiare la nostra visione. Personalmente, mi ha obbligato a essere ancora più imprenditore piuttosto che chef, e questo per riuscire a gestire la situazione. E poi la necessità di fornire tutta la chiarezza possibile alla mia brigata, tentando di rassicurarla, per quanto in mio potere. È stato un anno difficile e la lotta è tutt’altro che finita. Ci siamo trovati a essere gestiti invece che gestire le nostre attività come imprenditori. Qualcuno ha deciso per noi, ci ha dettato tempi e modi. Certamente sono speranzoso che tutto possa finire, attualmente il rimanere a galla è quello che ci dà soddisfazione. Lo vedo anche negli occhi dei miei ragazzi, leggo speranza, desiderio di fare e tornare alla normalità. Ma oggi la normalità non esiste ancora”.
Luigi Pomata - chef e patron del Ristorante Luigi Pomata, Cagliari
Ci ha appena raccontato la sua esperienza di riapertura serale nell’unica zona bianca d’Italia, la Sardegna. Luigi Pomata, chef e patron del ristorante omonimo di Cagliari, nell’ultimo anno si è dato da fare tra dirette Instagram e delivery, ma non ha ancora riaperto tutte le attività, come il bistrot. Ecco le sue valutazioni personali relative all’ultimo anno.
“Purtroppo il bilancio di quest’anno è stato negativo, tra aperture, chiusure e decisioni che sono state prese al nostro posto, verso le quali non abbiamo potuto fare nulla. È stato un fallimento non solo economico, ma soprattutto sociale, perché insieme a noi ha chiuso anche tutta quella parte di indotto a cui siamo legati. Questi ultimi dodici mesi ci hanno costretto a scelte drastiche e difficili, nel mio caso come il non rinnovare alcuni contratti e tenere le attività chiuse puntando solo su una. Ci siamo salvati grazie a qualche mese di lavoro estivo, un pochino con il delivery e ora la zona bianca ci sta facendo respirare ma non si sa quanto durerà. Abbiamo dato il massimo, ci siamo rimboccati le maniche e continueremo a farlo, ma servono aiuti e sostegni concreti”.
Sabina Yausheva, bartender, Roma
Sabina Yausheva, giovane e talentuosa bartender che vi abbiamo segnalato tra gli under 30 da tenere d’occhio, ci racconta come è andato il suo anno di Covid. Dodici mesi difficili dal punto di vista lavorativo, che tuttavia le danno dato il tempo di dedicarsi alle sue passioni personali, dalle lingue al fai-da-te, e di ricaricarsi con nuove energie.
“Per me è stato un anno di riscoperte, per quanto al lavoro sia stato disastroso. Ad aprile era scaduto il mio contratto all’Hotel de la Ville - Rocco Forte Hotel di Roma, ma la compagnia - Roccoforte, appunto - ci ha supportato tantissimo, anticipando la cassa integrazione; ci ha donato dei bonus per la spesa del valore di 300 euro, e comunque avevamo dalla nostra parte anche delle associazioni sindacali che supportavano economicamente chi rientrava in determinati parametri. In più, durante il lockdown, sono stati messi a disposizione dei bonus per chi lavorava nel settore del turismo a tempo determinato: sono riuscita a prendere un contributo di 2 mila euro, ed è stato un grande aiuto. Dall’altro lato, ho trovato del tempo per poter fare tutte quelle cose che durante un anno normale non riuscivo mai a fare, come approfondire le lingue: sono un’appassionata del mondo della Corea, e mi sono iscritta a un corso di coreano che sto ancora seguendo. Mi piace anche tanto il fai-da-te, ho rinnovato la casa e ho realizzato quadri e oggetti, ho avuto la possibilità di trascorrere tanto tempo con il mio compagno e con la mia famiglia. Per quanto riguarda il lavoro vero e proprio, in effetti, è - ed è stata - dura: siamo rientrati qualche giorno fa in albergo per fare degli extra, ma purtroppo l’occupazione delle camere è bassa, i costi sono molto alti, e giustamente il proprietario aspetta a prendere delle decisioni importanti. La situazione è stazionaria per l’intero settore: le aperture di tutte le strutture ricettive sono slittate da febbraio all’estate”.
Guglielmo Miriello, bar manager di Ceresio 7, Milano
Guglielmo Miriello, bar manager al Ceresio 7, uno degli indirizzi più amati e frequentati dai milanesi, ci regala un punto di vista schietto e sincero. Una lunga testimonianza in cui fa il punto su un anno difficile, che tuttavia lascia qualche speranza per l'entusiasmo delle persone alle riaperture cicliche che ci sono state.
"Il bilancio è disastroso. È stato un anno difficile: sembrava di essere in ripresa, e invece a marzo 2021 siamo di nuovo ripiombati nella ennesima chiusura. Capisco l’emergenza sanitaria, ed è giusto avere delle misure di prevenzione, ma - mentre i ristoranti e i bar sono chiusi - è successo di tutto e di più, come gli assembramenti in Darsena e sui Navigli. Le forze dell’ordine e le istituzioni avrebbero dovuto prevenire una situazione di quel tipo: si genera una condizione contraddittoria. Ci sono locali che non rispettano le regole, è vero, e questo atteggiamento fa male al settore del food & beverage. Ma non sono tutti così. Ceresio 7 ha da subito implementato le misure di sicurezza, con un protocollo rigido a tutela degli ospiti e dello staff, che abbiamo sempre rispettato con attenzione; è un peccato che sia mancato sul territorio un controllo più attento e diramato per alcune realtà che non hanno seguito le regole. Penso che le autorità avrebbero dovuto controllare meglio e suddividere le attività per tipologia. Noi, come Ceresio 7, non rientriamo nel decreto ristori perché fatturiamo oltre i 5 milioni di euro: è vero che fatturiamo tanto, ma abbiamo anche tante spese. La nostra azienda ha anticipato la cassa integrazione ai dipendenti, si è fatta carico della situazione e ha tutelato i propri dipendenti. Tutte le aziende vanno comunque aiutate. Non è colpa dello Stato, certo, ma speriamo che con il nuovo governo Draghi qualcosa cambi e vada in aiuto alla categoria. Se non si possono aiutare le aziende con degli sostegni economici, quanto meno credo che andrebbero azzerate le tasse e l’iva, considerando che il 2020 è stato un anno fantasma per l’imprenditoria.
La gente vuole ripartire, e sono sicuro che ci riprenderemo: la voglia di tornare alla normalità è forte. Questo periodo ha dato alle persone un modo di ritrovare se stessi, ha destabilizzato a livello economico, ma al tempo stesso ha dato nuove opportunità, sia in termini di business - perché sono inevitabilmente cresciuti nuovi segmenti di mercato - sia in termini personal. Il mio augurio è che tutto possa passare presto, con il buon senso delle persone, ma anche con l’aumento dei vaccinati e il rispetto dei protocolli di sicurezza. Il settore della ristorazione e dell’hospitality soffre: tutti gli on/off che abbiamo avuto sono difficili da gestire e da programmare. Questo comporta anche maggiori sprechi perché quando devi riaprire, dopo che sei stato chiuso un mese e mezzo, è difficile. Cambia tutto, ovviamente, a seconda dei ristoranti e della tipologia: fine dining, street bar ecc. Devi essere sempre pronto al 100%, ma questo diventa difficile quando apri e chiudi in continuazione delle attività. Dopo la chiusura a dicembre, abbiamo riaperto Ceresio 7 a febbraio: è stato un mese bellissimo, complice il clima bello, poi abbiamo dovuto chiudere. Non discuto l’emergenza sanitaria, metto davanti la necessità e la salute delle persone, ma credo che si potrebbe gestire in maniera diversa tutta questa situazione. Noi comunque non ci siamo mai fermati con lo studio di nuovi progetti e aperture all’estero come Ceresio 7, in programma per l’estate".