Carlo Maria Recchia potrebbe essere un ottimo spot elettorale per un politico di qualsiasi schieramento. E non solo perché è alto, biondo e giovanissimo. Ma anche perché, a soli 22 anni, ha riscoperto un cereale dimenticato e l’ha trasformato in un piccolo - ma funzionante - business.
Il mais corvino aveva iniziato a scomparire nel nostro paese già dal 1700. Colpa delle superstizioni intorno al suo colore nero, ma soprattutto delle varietà più produttive che venivano importate dall’America. Grazie a Carlo è tornato in commercio e ora lo usano chef come Andrea Aprea del Vun o realtà come Peck.
Il suo viaggio per riscoprirlo è partito da molto lontano: lui era al liceo e i semi al Polo Nord. Noi di Fine Dining Lovers ce lo siamo fatti raccontare.
Dedicarsi all’agricoltura è una scelta curiosa per un ragazzo della sua età. Come ha cominciato?
Ero appassionato fin da bambino, ma se, come nel mio caso, non si ha alle spalle una famiglia con un’azienda o dei terreni, ci sono troppe barriere di ingresso. Quando sono andato all’agrario - anche se i miei genitori erano contrari - mi si è aperto un mondo. Ho iniziato a studiare e visitare le aziende. Poi ho scoperto il mais corvino.
Perché ha scelto di lavorare proprio con il mais?
Perché ormai a livello mondiale è diventato una commodity, molto più delle altre sementi. C’è un monopolio del mais che è andato a scapito di tutte le varietà locali. Così quando ho iniziato a leggere del mais corvino, e scoperto che la sua storia andava indietro fino al 3500 ac, ho deciso di provare a riportarlo in Italia. Ho ordinato 40 semi che erano conservati alla banca del germoplasma delle Isole Svalbard. A quel punto li ho provati a piante nell’orto della mia vicina di casa a Formigara, in provincia di Cremona: sono cresciuti, ed è stato l’inizio di tutto.
Quali prodotti ha iniziato a commercializzare?
Ho iniziato con un succo di mais la cui preparazione risale ai tempi dei Maya. Pensavo che un energy drink agricolo sarebbe stata la rivoluzione, ma non avevo messo in conto le difficoltà di produrlo e commercializzarlo. Non ha funzionato. La pietra filosofale è stata la farina macinata a pietra: banale ma di successo.
Oggi faccio una birra di mais corvino, Crow, insieme al birrificio Brew Fist. Cerco sempre di trovare gli artigiani migliori per sviluppare ogni nuovo prodotto. Lavoro con il panificio Grazioli di Milano, con cui faccio pane e grissini, ho creato una linea di biscotti adatti a tutte le intolleranze - no zucchero, no uova, no glutine, no lattosio - e a breve svilupperò una linea di pasta.
Cos’ha di speciale il mais corvino?
Ha il doppio di proteine e il 20% di carboidrati in meno del mais normale, nonché 20 volte più antiossidanti, praticamente la stessa quantità del mirtillo. Quella dei grani antichi non è solo una moda: apportano incredibili benefici nutrizionali al nostro corpo.
Che consigli darebbe a un giovane che vuole intraprendere una strada simile alla sua?
Bisogna cercare sempre di differenziarsi: conta il prodotto, ma anche il marketing che si riesce a creare. L’agricoltura è in crisi ma sono convinto che possa ripartire, cominciando proprio dalle produzioni locali dimenticate. Il difficile è partire. Io non sono stato aiutato da nessuno: mi sono pagato i primi terreni, in quarta superiore, con piccoli lavoretti, e tutti i primi margini di guadagno li ho sempre reinvestiti. Ho cominciato da un orto, ora ho 100.000 mq di terreno.