La difficoltà a reperire personale di sala e di cucina è senza dubbio uno dei temi più caldi dell’estate 2021, che accomuna la maggior parte dei ristoranti fine dining e non solo. Potremmo definirlo il “paradosso della pandemia”: se da un lato si sono registrate 22 mila imprese in meno, con una perdita di 514 mila posti di lavoro nei settori “alloggio e ristorazione”, come da Rapporto Fipe 2020, dall’altro le giovani leve temono di dedicarsi a un mestiere che avvertono come “precario”, dopo un balletto invernale di aperture e chiusure dei ristoranti, regolato dall’andamento del contagio.
Il risultato? Molti chef attualmente stanno facendo fatica a comporre la propria brigata: mancano i lavoratori stagionali, ma anche le figure portanti dello staff. Tra i giovani, c’è chi ha abbandonato la gastronomia in favore di un’altra attività, percepita come più “sicura” in questo momento storico, ma c’è anche chi, durante il confinamento, ha riscoperto il valore del tempo da trascorrere con la propria famiglia. E ha messo in discussione uno stile di vita (e un sistema) poco sostenibile, spesso fatto di turni di lavoro massacranti.
Insomma, la passione non basta. Abbiamo chiesto a chef e ristoratori di raccontarci cosa sta accadendo nella propria attività, quali sono le figure professionali che stanno cercando, oltre a una riflessione su questo fenomeno paradossale che sta allontanando molti giovani da un mestiere bellissimo, quello dell’accoglienza, che tuttavia richiede tanta dedizione.
Carlo Cracco a Davide Oldani scommettono sulla formazione
“Da tempo stiamo cercando di portare avanti l’associazione Maestro Martino con l’idea di crescere, e stiamo notando che c’è ancora più bisogno di ragazzi che credono in questo lavoro: la pandemia ha giocato un brutto scherzo e per le prossime aperture mancano ragazzi in sala e in cucina. È un dato significativo, e per questo motivo è sempre più importante focalizzarsi sulla valorizzazione di questo lavoro e formare ragazzi che credono in questo lavoro e nella professionalità”, ha dichiarato lo chef Carlo Cracco alla presentazione del nuovo polo di Villa Terzaghi, a Robecco sul Naviglio, dedicato allo studio e alla promozione di tipicità lombarde come panettone e polenta, ma anche alla formazione dei giovani, con tanto di ristorante didattico.
Scommettere sulla formazione delle giovani leve e sull’educazione alla “sostenibilità umana”, ma anche sull’adeguamento del codice Ateco alle necessità di chi lavora nei ristoranti, è la ricetta di Davide Oldani per superare la crisi e tornare a dare valore al mestiere. Lo chef due stelle del D’O, proprio a Cornaredo, è impegnato come mentore dell’Istituto professionale statale per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera Olmo, e da poco ha inaugurato il Ristorante Didattico. “Bisogna offrire ai ragazzi un’esistenza sostenibile. Per farlo, credo sia necessario adeguare il codice Ateco e la legislazione ai tempi moderni, affinché si crei un’opportunità di detassazione del ristorante. Questo è un aspetto fondamentale, perché occorre aumentare il numero di dipendenti per garantire al team un lavoro e una vita dignitosa, in modo da evitare che il personale affronti turni pesanti di tante ore. In Italia la situazione è migliorata, ma in Francia il processo che vira verso questa direzione è iniziato anni fa. I ragazzi devono capire che è possibile essere cuochi e, allo stesso tempo, dedicarsi agli hobby e alla propria famiglia”, ha spiegato recentemente a FineDiningLovers.
Politiche del lavoro: le riflessioni di Paolo Marchi e Cristina Bowerman
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” recita l'articolo 1 della Costituzione. E sarà proprio il lavoro il tema attorno cui ruoterà la prossima edizione di Identità Golose, in programma dal 25 al 27 settembre 2021. “I clienti sono tornati volentieri al ristorante, ma torneranno i presupposti economici per avere cuochi in cucina pagati e camerieri in sala? Nel nostro ristorante a Milano, per esempio, facciamo tanti coperti al giorno, ma siamo sotto organico, quindi non possiamo prendere più clienti se abbiamo poco personale che serve. Il tema dunque sarà come tornare a fare economia”, ha raccontato il mese scorso Paolo Marchi a Marco Montemagno, nel corso dei Food Talks di Fine Dining Lovers. “Prima della pandemia c’erano decine di cuochi che erano disposti ad andare a lavorare gratis nelle grandi cucine spagnole, scandinave, peruviane, perché lo potevano scrivere nel cv. Ma lo facevano perché sapevano che dopo 3-4 anni trovavano i soldi per aprire il proprio ristorante, grazie anche alle banche che elargivano prestiti, o alla famiglia, ma adesso la catena si è rotta: la gente non soffre più per avere un futuro incerto”, ha aggiunto.
Anche Cristina Bowerman, una stella Michelin al Glass Hostaria di Roma e Presidente dell’Associazione Ambasciatori del Gusto, nella stessa occasione, ha affrontato il tema caldo delle politiche del lavoro. “Le statistiche fatte prima dell’apertura dicono che la gente voleva tornare al ristorante. Alcune persone dello staff le ho perse, molti hanno cambiato campo o mestiere, altri sono partiti per la stagione estiva, sapendo che dopo avranno diritto alla disoccupazione: è accaduto pure lo scorso anno. Sono in cerca di personale, sto facendo fatica, e sono tanti i colleghi che fanno fatica; anche nel Regno Unito c’è carenza di personale specializzato, molti sono andati a Dubai, perché ci sono state occasioni appetitose. Le persone si fanno i conti: prendo 100 euro in meno come se andassi a lavorare con il sussidio di disoccupazione. Questo è un grande problema, perché indica una demotivazione della classe che dovrebbe sostenere la ristorazione, che è un pilastro dell’economia”, ha concluso la chef durante i Food Talks.
“Nel frattempo sono riuscita a trovare due cuochi, ma resto sguarnita in sala: sto cercando ancora un cameriere”, ci ha aggiornato Bowerman. Aspiranti camerieri a Roma, fatevi sotto.
Riccardo Bassetti e Ivano Ricchebono: il nodo degli stagionali
Sottolinea, invece, l’aspetto psicologico della crisi che colpisce i giovani del settore lo chef Riccardo Bassetti, stella Michelin del ristorante La Tavola, all’interno dell’hotel Il Porticciolo a Laveno Mombello, sul Lago Maggiore. “Nel nostro caso, siamo l’unico ristorante stellato nella zona e, quindi, anche quest’anno, a differenza di molti colleghi, non abbiamo avuto difficoltà a reperire cuochi e camerieri. Accanto alle tante conferme che abbiamo avuto, abbiamo ricevuto una notevole quantità di curricula, tra i quali sono stati selezionati i più meritevoli. Nell’ultimo periodo, tuttavia, ho notato che si è generata una situazione di insicurezza psicologica nei ragazzi: tre tirocinanti, che avrebbero dovuto iniziare da noi ad aprile, sono rimasti nel proprio ristorante, perché avevano un contratto che forniva loro più garanzie. A contorno di tutto, mi sento di dire che la figura del cameriere non è ancora così ambita come quella del cuoco e quindi il Covid-19 ha aggravato una situazione che, in realtà, era già critica l’anno scorso”.
Anche Ivano Ricchebono, chef del ristorante stellato The Cook a Genova, non ha avuto particolari problemi con la sua brigata storica, ma racconta delle difficoltà riscontrate nel reperire lavoratori stagionali per il Diana Gourmet, il ristorante per cui presta la sua consulenza, all’interno del Grand Hotel di Alassio. “La carenza di lavoratori nel settore non ci ha causato problemi, poiché abbiamo un ristorante con pochi coperti e abbiamo la fortuna di avere un personale di sala che lavora da noi da tanti anni e che non ci ha lasciato nemmeno in quest’anno strano. Quando è successo che qualche cameriere o cuoco lasciasse il The Cook, abbiamo sempre trovato il sostituto in poco tempo. Rispetto agli altri ristoranti, credo che la carenza di personale sia principalmente dovuta al fatto che tanti ragazzi hanno trovato situazioni più sicure, dal punto di vista economico”, racconta. “Il Diana Grand Hotel, invece, abbiamo trovato più difficoltà a reperire camerieri per l'apertura estiva. Rispetto a un tempo, non tutti i ragazzi hanno ancora voglia di ‘fare la stagione’, sempre per un discorso di sicurezza lavorativa. Forse, anche gli alberghieri potrebbero e dovrebbero incentivare di più questo movimento”, conclude.
Federico Belluco e Fabio Sgrò: le difficoltà dei nuovi inizi
Se i ristoranti stellati consolidati hanno avuto, seppur limitatamente, qualche certezza, diversa è la situazione di chi ha avuto il coraggio di rinnovare completamente brigata e locale o inaugurare una nuova attività nel pieno della pandemia. Significative le parole dello chef Federico Belluco, da poco approdato al Ristorante Makorè di Ferrara, completamente rinnovato. “Spesso ci capita di vivere i ristoranti come dei sogni ad occhi aperti e non come delle vere e proprie attività che nascono per produrre utile. La ristorazione in Italia non è sostenibile e la gente se n’è accorta, anche grazie alla pandemia. Sul finire dell’emergenza pandemica, ho avuto la possibilità di iniziare un nuovo entusiasmante progetto nel cuore di Ferrara, ma continuo ad avere difficoltà nel reperire ragazze e ragazzi per le brigate, sia in sala che in cucina. Il nostro lavoro, se fatto a certi livelli, richiede tanto, tanto impegno e sacrifici, molta dedizione, ma spesso il lato economico non è commisurato. Resta inteso che andrebbero indossati anche i panni degli imprenditori per capire che non sempre, anzi quasi mai, è facile far quadrare i conti. Volete sapere perché la pandemia ha scoperchiato il vaso di Pandora? Perché si ha avuto il tempo per pensare alle cose. Nella frenesia dell’agire fai le cose e basta, poi un bel giorno il mondo si ferma, ripensi a tutto, e le tue priorità cambiano.
Lo chef sta cercando diverse figure. “Sono mesi che cerco un pastry chef senza successo: è un ruolo difficile da coprire quello del pasticciere da ristorazione, perché potrebbe benissimo portare a casa la stessa cifra lavorando in una pasticceria tradizionale con orari più ‘umani’. Non trovo un capo partita agli antipasti, non trovo un aiuto in sala. Il nostro è un lavoro per giovani ormai, perché ad un certo punto della tua vita non sei più disposto a fare certi sacrifici. Nonostante sia dell’esperienza che non si può fare a meno”.
Lo chef Fabio Sgrò, alla regia della cucina della Rocca di Arignano, una struttura medievale completamente ristrutturata e appena inaugurata, tra il Monferrato e le colline torinesi, riscontra lo stesso problema: “Siamo partiti da nemmeno un mese e l’attività sta andando molto bene, ma aspetto a mettere l’acceleratore, siamo sotto staff sia in sala sia in cucina: avrei bisogno di due cuochi in più, oltre che di camerieri”, racconta. “Sono stato costretto a tenere chiuso nei giorni infrasettimanali, nonostante avessi molte richieste, perché siamo sotto organico: abbiamo appena inaugurato, ma preferiamo rifiutare le prenotazioni, piuttosto che dare un servizio poco curato. Vogliamo mantenere uno standard alto, siamo alla ricerca di due figure di camerieri, con prospettive di crescita, che ci aiuteranno anche negli eventi”, aggiunge Luca Veronelli, imprenditore che ha avviato il progetto di recupero e di ospitalità assieme a Elsa Panini.
Stefano Sforza e Michela Reginato: la ricerca nelle città
Stefano Sforza è lo chef alla regia del ristorante Opera di Torino, una delle più interessanti realtà fine dining del panorama sabaudo e non solo. La sua è un’analisi lucida che spiega chiaramente i motivi che (anche prima della pandemia) hanno portato alla crisi del settore. “Il cambiamento del mondo della ristorazione nell’ultimo anno ha stravolto le nostre vite. E chiaramente chi si è trovato senza un lavoro, e prima faceva il cuoco, ha cercato altro per sopravvivere. Si tratta di un lavoro di passione e di sacrifici, devi essere pronto anche a lavorare tante ore al giorno e a impegnarti, avere costanza giornalmente per portare a casa i servizi e poter lavorare sempre meglio. Le nuove generazioni forse non sono ancora pronte per andare in quella direzione: il mito dello chef tra qualche anno finirà, il boom degli ultimi anni del settore ha portato molti ragazzi a iscriversi all’istituto alberghiero, ma molti di loro - una volta che sono entrati in una cucina - hanno capito che non era un mestiere che faceva per loro. Un’altra ragione per cui non si trova personale sono i contratti: per un’azienda assumere comporta molte spese e un anno di stop per un ristorante significa perdere tanti soldi, quindi devi chiedere un sacrificio maggiore a chi viene a lavorare per te e magari non tutti accettano una proposta da 1.200 -1.300 euro per lavorare 15 ore al giorno. In realtà il mondo della ristorazione è sempre stato così, non è una crisi “nuova”, purtroppo è uno stile di vita”.
L’esempio, Sforza, lo ha in casa. “Chi ha scoperto di avere anche una vita privata – oltre al lavoro di chef – ha deciso di cambiare lavoro: mio fratello, per esempio, ha fatto il cuoco per 9 anni, ha avuto soldi per sopravvivere fino a febbraio con il ristorante chiuso. Poi, terminata la scorta economica, ha cercato altro da fare, e oggi fa il gommista. Già prima della pandemia funzionava così: devi avere tanta passione e sopportare tutto, stringendo i denti; chi fa questo lavoro solo per lo stipendio non va da nessuna parte, oggi”. Torinesi in cerca di lavoro, siate sul pezzo: “al momento sto vagliando un paio di curriculum, assumeremo ancora una persona in cucina; in brigata siamo in tre adesso, ma in genere - a pieno regime - siamo in cinque. Per l’inverno cercheremo sicuramente un altro cuoco”.
“Effettivamente una crisi la stiamo vivendo”, aggiunge Michela Reginato, anima di Cocciuto, nota catena di pizzerie a Milano. “Stiamo facendo ricerca di personale per aumentare l’organico, all’inizio abbiamo fatto fatica a trovare personale in sala, ma poi siamo riusciti a coprire l’organico mancante. Oggi, per una pizzeria, aldilà del pizzaiolo, è più difficile trovare alcune figure di cucina, mentre i ragazzi di sala li abbiamo trovati tutti”, racconta. E aggiunge: “Penso che le chiusure forzate degli esercizi abbiano costretto chi non aveva un contratto a tempo indeterminato a chiudere i rapporti, perché, per aver accesso agli ammortizzatori sociali, i contratti che si chiudevano dovevano rimanere tali, e le persone che sono rimaste senza lavoro si sono spostate nei territori d’origine, anche perché i costi della vita a Milano sono elevati. Alla riapertura probabilmente molti hanno preferito accettare lavori stagionali pagati di più, anche se concentrati solo in tre-quattro mesi. Immagino che a settembre ci sarà un’offerta di lavoro più ampia rispetto a quella che abbiamo potuto raccogliere sino ad ora”. E noi, per il futuro della gastronomia e dei giovani, ce lo auguriamo.