È l’alimento che accompagna il pasto dall’inizio alla fine, in diverse forme e declinazioni. Grissini, prodotti sfogliati, filoni, impasti bianchi, integrali, ai cereali: il cestino del pane può assumere tante sfumature variegate. E oggi, più che mai, torna a essere protagonista e a riconquistare una meritata popolarità.
Sarà che l’interesse per la lievitazione è sempre più forte, sarà che gli chef stellati negli ultimi anni hanno iniziato a curare ancora di più gli impasti e la proposta, sarà che importanti guide di settore come quella del Gambero Rosso hanno istituito un premio ad hoc, di fatto il cestino del pane è sempre più al centro di sperimentazioni e oggetto di novità. Un cibo che riacquista dignità e valore, un vero trend in continua crescita.
Cestino del pane e chef stellati
Foto Davide Dutto
Tra i primi ad aver scommesso sul lievito, non possiamo non menzionare Niko Romito, chef tre stelle Michelin del Reale a Castel di Sangro, che dal 2013 ha inserito il pane come portata nel menu degustazione. Un prodotto che lo chef ha studiato in ogni dettaglio nel suo laboratorio. Dopo che aveva raggiunto una sua “maturità”, con uno sviluppo perfetto dell’impasto, una mollica alla giusta umidità e una crosta croccante, il cuoco abruzzese ha deciso di renderlo protagonista assoluto, al centro della tavola. Romito ha una vera e propria devozione nei confronti dei lievitati, cui ha dedicato un ampio spazio a Castel di Sangro, il Laboratorio Pane.
Foto Davide Dutto
Tra le giovani leve del fine dining che credono fortemente nel pane, invece, c’è Michelangelo Mammoliti, due stelle Michelin a La Madernassa di Guarene, nelle Langhe, che ha recuperato il rapporto più profondo con questo alimento primordiale, materia viva in continuo divenire. “Ho un legame viscerale e familiare con il pane, che mi accompagna fin da piccolo. Quando ho iniziato a lavorare nel ristorante di mio nonno, le prime nozioni che mi ha insegnato sono state proprio quelle sul pane”, racconta. L’arte della panificazione di Mammoliti si è sviluppta in Francia, a Parigi, durante il periodo di lavoro con il tristellato Yannick Alléno. È lì che ha conosciuto Fréderic Lalos, il miglior panificatore di Francia e punto di riferimento indiscusso nel settore, con cui è entrato subito in empatia. “Gli dissi semplicemente che sarei stato onorato di poter imparare da lui a fare il pane. E accettò. La mattina alle 3 ero già al forno, e alle 6.30 ripartivo per andare al ristorante”. Oggi lo chef definisce il suo cestino del pane “cosmopolita”, con tante influenze e ben sette tipologie differenti: di semola, lo sfogliato, il babà al chorizo e Parmigiano, la carta musica, la focaccia con le olive, il pane al miso, il limone alla marocchina e il danish bread coi cereali. E non mancano il pharta o l’indiano naan, a seconda delle portate, oltre alla versione gluten free, con un impasto a base di castagne e grano saraceno.
Foto Davide Dutto
Questi sono solo alcuni esempi, l’apice di un fenomeno (e di un interesse) che sta conquistando il fine dining. Tra le novità in arrivo, poi, quella di Massimo Bottura dell’Osteria Francescana, che ha rilevato da poco uno spazio vicino al suo ristorante tre stelle Michelin a Modena. “L’idea è quella di creare un forno, in modo da avere una nostra produzione”, ha raccontato pochi giorni fa durante una diretta social con La Cucina Italiana. Ora, non ci resta che aspettare gli sviluppi della nuova realtà con grande curiosità.
Il nuovo carrello del pane di Cracco
Foto courtesy Cracco
C’è poi chi ha rivoluzionato completamente l’idea di cestino del pane, restituendo non solo valore e dignità ai prodotti lievitati, ma trasformandoli in un momento quasi teatrale, in una liturgia da portare al tavolo: è Marco Pedron, pastry chef di Cracco in Galleria a Milano, responsabile dell’arte bianca, che per la riapertura ha concepito una novità assoluta, il carrello del pane. “Il pane viene affettato al momento, in modo che si possa sentire il suono ‘rock’ della crosta, che ci riporta a una dimensione genuina e rustica: la tendenza è quella di avere prodotti caserecci, filoni di grandi dimensioni così com’era il pane di campagna di una volta”, racconta Pedron. "Fondamentale, per questa operazione, il coinvolgimento della sala: l'idea è stata sviluppata assieme ad Alessandro Troccoli, maître e general manager del ristorante: è colui che ha recepito il messaggio e ha capito che questa era la strada giusta da percorrere. L'impegno della sala è indispensabile, ha la responsabilità di gestire il carrello del pane durante il servizio: per questo è importante avere il supporto anche del sommelier Gianluca Sanso, che è in grado si spiegare il pane proprio come il vino. Il suo storytelling è eccezionale, scende in profondità come quando racconta un nettare".
Foto courtesy Cracco
Il pastry-chef non si è soffermato solo sullo studio di una modalità inedita per servire il pane, ma ha ragionato anche su una nuova concezione del pane, dall’animo vintage e rivoluzionaria allo stesso tempo. Aboliti panini e rosette, ecco forme allungate e importanti. “Deve essere pane, deve fare briciole e sporcare, come è giusto che sia: devi sentire il rock ‘n roll quando si taglia, vedere il tagliere che si riga, osservare la fetta; il pane deve ingolosire, è espressione di un rapporto atavico e primordiale con il cibo”, spiega. “Proprio il pane è stata la prima cosa cui abbiamo dedicato tempo per lo studio durante il lockdown”.
E aggiunge: “Il pane gourmet ha una pezzatura da 550 grammi; mi chiedevano sempre il pane piccolo che però è anni ‘80, è carino quando fai un banchetto, ma quando proponi un pane da accompagnare al cibo, credo che debba essere inequivocabilmente buono, con la giusta crosta, il suo aroma, fragrante perché appena tagliato al tavolo”.
Foto courtesy Cracco
Per ogni pane, poi, Pedron ha usato un lievito specifico, con una diversa farina e un diverso impasto. Un filone è preparato con la farina di farro monococco e il lievito madre. Un altro è preparato con licoli (lievito madre a coltura liquida) e una farina studiata appositamente per il pane, orzo e semi di chia, “è un prodotto che fa focus sulla crosta grossa, in modo da avere la tenacia all’interno e la protezione esterna, piacevole, friabile, con una bella alveolatura”, precisa. Infine un terzo tipo, realizzato con farina evolutiva e un impasto a fermentazione spontanea di mela, sambuco e camomilla.
“Stiamo continuando a sperimentare, comunque, non ci fermiamo mai: abbiamo fatto prove con carote rosse e cannella, dentro viene viola, è bellissimo”, conclude il pastry chef. Il pane, l’alimento più antico del mondo, ha ancora tantissimo da raccontare, e diventa una nuova frontiera gourmet.