L’emergenza sanitaria, e la conseguente crisi della ristorazione, ha scatenato una serie di reazioni a catena. Uno dei temi più caldi legati all’attualità del settore è quello della condivisione e del supporto reciproco tra chef: dalla coesione tra ristoratori sono nati progetti collettivi come i brunch di quartiere e i delivery corali dei nuovi distretti gastronomici. E ora spunta il co-cooking, la condivisione della cucina, che appare come l’ultima frontiera per superare la crisi e le difficoltà economiche del momento.
In Italia, il primo, celebre, caso di co-cooking, che è balzato alle cronache, è quello del duo costituito da Filippo La Mantia e Giancarlo Morelli. L’oste e cuoco siciliano, come ci ha raccontato, dopo aver chiuso il suo ristorante a Milano a fine 2020, ha deciso di proseguire l’attività di delivery. Per farlo, si è stabilito nella cucina dell’amico e collega Morelli al Bulk Restaurant, all’interno dell’Hotel Viu Milan.
Qui i due cuochi condividono spazi e spese, aiutandosi reciprocamente: dopo aver superato i dovuti passaggi burocratici, l’operazione di co-working ha consentito temporaneamente a La Mantia di non interrompere completamente la sua attività, e a Morelli di alleggerire le spese di uno spazio altrimenti operativo solo al 50 per cento.
Che il co-cooking sia davvero l’ultima frontiera della professione, una nuova modalità per affrontare il futuro? Di sicuro, è una modalità operativa che consente di dividere le spese e portare avanti il lavoro in un momento così difficile per il settore.
Una cucina per due: la storia di Alain Locatelli e Andrea Prayer
La Mantia e Morelli non sono soli. Il co-cooking è sempre più spesso adottato da giovani chef e pasticcieri. E può nascere anche per produzioni stagionali: è quanto accaduto a Alain Locatelli e Andrea Prayer, rispettivamente 33 e 32 anni, due perfetti sconosciuti fino a qualche mese fa, ora amici e compagni di lavoro.
“Ho chiuso la mia boulangeria in zona Bicocca a marzo 2020, in concomitanza con il Covid. Avevo già deciso di tirare giù la saracinesca e cercare un’altra location, in realtà, perché l’affitto era troppo caro e la zona non mi convinceva, considerata una periferia con poco passaggio”, racconta Locatelli, esperto lievitista di scuola franco-svizzera. Originario di Bergamo, è famoso per panettoni, pane e viennoiserie impeccabili.
“Stavo cercando altre location per traslocare, sempre a Milano, ma non ci sono riuscito: ho trovato solo spazi di 30 metri quadrati, non sufficienti per un negozio con laboratorio, oppure ampie superfici da 600 metri quadrati”, continua. “L’anno scorso, non riuscendo a trovare il locale delle giuste dimensioni in un quartiere non periferico, a un prezzo accessibile, mi ero preparato per andare, anzi per tornare, a lavorare all’estero, ma il Covid ha bloccato tutto. Credo si sia creato un circolo vizioso sui costi della città, con richieste di affitti che non riesci a permetterti: Milano è bellissima, si è aperta ancora di più negli ultimi anni, è diventata sempre più internazionale. Ma tuttora non riesco a trovare la location giusta per riaprire la mia attività: è una città troppo cara”.
Nel frattempo, Andrea Prayer, pasticciere con una laurea in lingue e letterature straniere all’attivo, assieme alla compagna e socia Francesca Cavazza, interior designer, l’11 luglio 2020 inaugurava in via Caminadella 5 il Nowhere Cafè: una caffetteria contemporanea di ispirazione australiana, specializzata sugli specialty coffee. “Qui paghiamo l’affitto da novembre 2019, a gennaio 2020 abbiamo iniziato i lavori, poi a marzo ci siamo bloccati per il Covid. Prima della pandemia, avevamo in programma di aprire ad aprile 2020, ma il tutto è slittato di tre mesi. Abbiamo inaugurato in condizioni assurde, non avremmo mai pensato di trovarci per esempio senza studenti, perché qui siamo vicini all’Università Cattolica, e puntavamo soprattutto sulla clientela giovane. Avevamo intenzione di organizzare degustazioni di caffè, eventi culturali, dalla letteratura al cinema alla musica”, racconta Prayer. “Ci siamo conosciuti qui io e Alain: siccome sapevo che lui era molto bravo nei pezzi per la colazione e sui grandi lievitati, a Natale gli ho chiesto una collaborazione per creare un panettone con i nostri specialty coffee, e venderlo ai miei clienti”.
“Da amante del caffè quale sono, mi sono precipitato nel suo locale, l’ho conosciuto prima come cliente. Poi come professionista”, conferma Locatelli. “Per preparare i lievitati, a dicembre, mi sono appoggiato al laboratorio di famiglia a Bergamo. Visto che l’esperienza con i panettoni a Natale era stata positiva, all’inizio di marzo 2021, Andrea mi ha chiesto: perché non replichiamo con le colombe? Così, mi ha dato la possibilità di usare la sua cucina e di produrre lì i miei lievitati, e non solo quelli destinati al Nowhere Cafè. Ho preso una piccola impastatrice che non occupa molto spazio, e ho iniziato”.
Cucina e sharing economy: il co-cooking per uscire dalla crisi
L’accordo economico? “Una sorta di cambio merce: io non pago l’affitto e le spese di elettricità, in cambio do il mio prodotto ad Andrea, destinato alla vendita del Nowhere Cafè”, risponde Locatelli. E aggiunge: “Dato il momento difficile, è sicuramente una forma di aiuto, anche a livello psicologico: anziché stare a casa e non poter lavorare, condivido un ambiente dove posso portare avanti i miei progetti”.
Com’è condividere gli spazi? “Adesso Alain ci prepara le colombe in vasocottura e in cambio gli lascio gli spazi molto volentieri: al mattino lui impasta e io sono al bancone, a servire dolci e caffè solo per l’asporto, visto che siamo in zona rossa. Probabilmente riusciamo a condividere gli spazi proprio perché al momento possiamo usare la parte della sala come magazzino, abbiamo allestito la vetrina con la cassa sulla porta di ingresso e la macchinetta del caffè piccola, per il take away. A volte, al mattino, Alain mi aiuta a preparare i cappuccini, è molto bravo”, racconta Prayer.
Ma il co-cooking può rappresentare davvero una soluzione per uscire dalla crisi? "Quest’anno è molto più complicato trovare una location per la mia attività, perché tutti mi chiedono fideiussioni importanti: gli affitti a Milano non sono per niente scesi dopo il Covid. Per chi vuole aprire è un grande problema: il rischio è che diventi una città dormitorio, dove è tutto standardizzato, aperta solo ai grandi marchi. E che la micro impresa di famiglia, che caratterizza l’economia italiana dal dopoguerra, scompaia", commenta il lievitista.
Dopo la Pasqua? “Spero di trovare una location mia", risponde Locatelli, "ma di sicuro la condivisione degli spazi in questo momento è importante: è un'idea bella, ci aiutiamo entrambi, siamo tutti e due giovani, e ci facciamo compagnia”. Come direbbero gli inglesi, sharing is caring.