Sono due mondi paralleli che si osservano e si corteggiano. E che spesso si incontrano per collaborazioni d’eccezione. Cucina e pizza: due universi che viaggiano sempre più allo stesso ritmo, con sfumature fine dining che oggi sono ancora più nette e marcate.
Quello degli chef con la pizza è un legame quanto mai attuale, un binomio forte che è sempre più una tendenza. Se da un lato aumentano gli stellati che scommettono sui lievitati, anche per progetti pop-up, dall’altro i grandi maestri pizzaioli sono riusciti a elevare ai massimi livelli l’esperienza in pizzeria, con una sala curata, ma anche con l’ideazione di ricette che presuppongono una grande ricerca sui topping e sull’impasto.
Il disco di pasta lievitata, così, diventa una tela bianca al centro di sperimentazioni e creatività.
Come sta interagendo la cucina d'autore con il mondo della pizza? Scopritelo qui di seguito.
Da Franco Pepe a Massimiliano Prete, duetti stellati e serate a quattro mani
Serate a quattro mani, inediti duetti culinari, improvvisazioni gourmet: ecco la ricetta delle speciali cene che vedono protagonisti importanti chef e pizzaioli, per originali e sorprendenti passi a due gastronomici.
Il maestro Franco Pepe, nella sua Pepe in Grani a Caiazzo, è stato il primo a proporre un format unico: Authentica, la pizzeria più piccola del mondo, un luogo intimo ed esclusivo, destinato a otto persone, a tu per tu con il maestro, con il suo racconto e la sua pizza. Qui ha organizzato Authentica Stellata, un ciclo di rendez-vous che vede intervenire astri Michelin della scena nazionale e internazionale, per interagire in diretta con il maestro e creare qualcosa di unico. “Authentica Stellata è un grande corso di aggiornamento e formazione per noi, oltre a essere un grande piacere e una grande esperienza”, dice Pepe. Causa Covid, al momento, le serate a quattro mani sono state sospese, ma qualcosa si sta muovendo. “Pochi giorni fa mi ha chiamato lo chef Andrea Aprea per fissare una nuova data a settembre - racconta Pepe - questi appuntamenti hanno funzionato e sicuramente ci sarà un seguito”. Le serate a quattro mani riprenderanno presto, dunque, i primi segnali sono arrivati proprio dagli chef. “È un’iniziativa che è piaciuta tantissimo”, commenta Pepe.
Il legame chef e pizza rappresenta il futuro di questo settore? “Ero a Milano nei giorni scorsi e ho sentito parlare Cracco che ha lavorato sulla pizza: ci sono tanti chef che iniziano a dialogare con il prodotto pizza, ma mi arrivano anche tante proposte per location importanti, dove prima c’era solo la cucina stellata e ora si chiede la pizza di qualità, per esempio negli hotel 5 stelle lusso”, risponde Pepe. Così, i suoi lievitati quest’anno sono arrivati al San Montano Resort di Ischia - “dove facciamo la pizza solo per gli ospiti”, precisa - e tra poco saranno presenti anche al San Barbato Resort in Basilicata, dove i proprietari hanno coinvolto il maestro assieme a Don Alfonso 1890, mitico due stelle Michelin campano. E a proposito di collaborazioni con chef, tra le ultime creazioni entrate in carta da Pepe in Grani c’è la Pastiera Fritta, un cono di pasta fritto pensato da suo figlio Stefano, dedicato al compianto maestro pasticciere Alfonso Pepe e ispirato alla tipica torta napoletana, con una ricetta del bistellato Nino Costanzo del Danì Maison di Ischia.
Le serate a quattro mani sono uno strumento molto diretto non solo per fare interagire liberamente artisti della cucina e maestri lievitisti, ma anche per avvicinare al fine dining più persone appartenenti a scenari diversi: un pubblico variegato ed eterogeneo, che spazia dal frequentatore del ristorante stellato all’habitué della pizzeria.
Se i fratelli Salvo con gli appuntamenti di Chef in Cucina lo scorso autunno sono riusciti a portare nella loro corte partenopea personaggi del calibro di Chicco e Bobo Cerea, Massimiliano Prete, maestro pizzaiolo di Sestogusto a Torino, il 9 luglio entrerà con la sua pizza gastronomica in un luogo storico della città sabauda, il Ristorante Del Cambio. Figli della grande tradizione della pizza, unita alla precisione della pasticceria, all’evoluzione dell’alta cucina e alla ricerca sulla lievitazione, i suoi prodotti saranno i protagonisti della serata, in abbinamento alle bollicine Ruinart, con topping a sorpresa, ideati a quattro mani assieme allo chef stellato Matteo Baronetto. Farciture ispirate dalla stagione e realizzate con quanto la “dispensa” di Del Cambio fornirà per l’occasione. Per l’entrée, una pizza in “pinzimonio” realizzata con impasto FaCroc® (reinterpretazione della tradizionale focaccia romana imbottita, con alta percentuale di farina macinata a pietra di tipo 2 e 1 con germe di grano), da intingere in succo di pomodoro e olio aromatizzato. A chiudere il sipario, invece, il lievitato dolce accompagnato da un dessert della tradizione come il Bonet, in versione crema spalmabile.
Collaborazioni d’eccezione: le firme di Gaggan e Camanini sulla pizza di Pappalardo
“Portare l’alta cucina sulla pizza è un modo per diversificare il nostro target di clientela, ma anche per far viaggiare con il palato un pubblico che è sempre più informato ed esigente”, spiega Antonio Pappalardo della Cascina dei Sapori di Rezzato (Brescia), che tra maggio e giugno ha inserito in carta una pizza speciale firmata dallo stellato Riccardo Camanini del Lido 84 di Gardone Riviera, il One To Watch 2019 per The World’s 50 Best Restaurants. Un lievitato con impasto di farro monococco farcito con asparagi selvatici del Bosco Palli del Monferrato, Bagòss estivo del territorio e Ras el hanout, un mix di spezie magrebino.
E ora il pizzaiolo prosegue il suo percorso di limited edition con una ricetta di Gaggan Anand, lo chef indiano che ha conquistato con il ristorante che porta il suo nome a Bangkok il quarto posto della World's 50 Best Restaurants, oltre a risultare dal 2015 al 2018 per quattro volte consecutive in vetta degli Asia’s 50 Best Restaurant, e a ottenere il riconoscimento delle due stelle Michelin.
La pizza di Gaggan si potrà assaggiare sino a metà luglio. L’impasto? “Un blend farina di tipo 1 e integrale, in modo da ottenere un sapore delicato e leggero in termini di masticazione”, spiega Pappalardo, che per la farcitura ha collaborato direttamente con Gaggan. “Mi ha detto come immaginava la pizza, elencando i prodotti per il topping: io ho dovuto trovare il giusto equilibrio. Il mio lavoro è stato capire come una pizza potesse accogliere tutti gli ingredienti che mi aveva dato lo chef, e come trattarli”, racconta. Ed ecco un lievitato con patate, Gorgonzola dolce versato sulla pizza al momento del servizio, peperoncino fresco, olio al rosmarino, pesche, acciughe e pinoli. In carta è presentata in pieno stile Gaggan, con le emoticons a indicarne gli ingredienti, proprio come fa lo chef indiano nel suo menu.
Ma come sono nate queste collaborazioni? “Con Camanini c’è un rapporto di amicizia, in primis: era nata la cooperazione per un altro progetto sulla pizza del territorio, che prevedeva l’uso dell’asparago selvatico del Bosco Palli che si raccoglie solo 15 giorni l’anno. Così, dal momento che durante il lockdown avevo comunque a disposizione il raro ortaggio, abbiamo pensato di creare una pizza ad hoc. Gaggan, poi, ha visto la collaborazione con Camanini, e dopo un suo like a un post, gli ho chiesto: perché non facciamo una pizza insieme? Ha accettato, e devo dire che il risultato è piaciuto molto”.
Perché questo è l’obiettivo finale, come ricorda Pappalardo: “Le collaborazioni servono a dare qualcosa in più al cliente: la pizza non deve essere fine a se stessa, se la gente viene e il prodotto piace, ho raggiunto il mio obiettivo. La proponiamo a 20 euro, e non è tanto se pensi che il prodotto è firmato dal miglior chef d’Asia”, conclude il pizzaiolo.
E ci insegna che la pizza può anche essere uno strumento per rendere più democratica e accessibile l’alta cucina, senza perdere il contatto con la realtà.
La pizzeria come format temporaneo per la ripartenza: il caso di RetroPizza a Roma
Con la ripartenza delle attività post emergenza, qualcosa è cambiato. Alessandro Miocchi e Giuseppe Lo Iudice di RetroBottega a Roma, per esempio, hanno deciso di riaprire il ristorante con un temporary format che rivoluziona l’idea di fine dining e che, allo stesso tempo, ruota attorno alla pizza. È nato così RetroPizza, un progetto che mantiene il medesimo approccio sostenibile di RetroBottega, senza alterare la natura green del locale e l’aspetto etico che regola i rapporti con i fornitori.
“È stata una scelta temporanea, per sostenere il ristorante e tutte le tre facce di RetroBottega - RetroVino e RetroPasta”, spiega Miocchi. “L’idea? Fare un passo indietro, conservare un’identità definita ed essere accessibile a tutti: la pizza poteva essere un messaggio chiaro, diretto, molto popolare, e anche un modo per avvicinare un nuovo pubblico. Il passo che ha reso possibile quello che c’è adesso, una scelta sostenibile dal punto di vista etico, economico e culturale”, prosegue.
Un approccio che mantiene le stesse materie prime, gli stessi ingredienti cult di RetroBottega, con una selezione di pizze che riprendono i signature dish del ristorante, con tanto di sezione dedicata. “Nel menu Nostalgia di RetroBottega ci sono sempre tre o quattro pizze che vanno in questa direzione, spesso realizzate con erbe spontanee e prodotti selvatici: appena c’è un raccolto interessante, le inserisco sulla pizza e creiamo delle special a tiratura limitata”, spiega Miocchi. Così, anche il Piccione finisce sulla pizza. “Lo cuciniamo dal primo giorno di apertura, cinque anni fa, e ora ci è venuto spontaneo farcire la pizza così. Cambiano i vegetali di accompagnamento, ma il piccione resta una costante”.
E sulla pizza finisce pure quella commistione tra carne e verdura che caratterizza il menu di RetroBottega. Ed ecco la pizza Green Butchery, che si distingue per “un approccio carnoso sul vegetale”: la verdura è protagonista, viene arrostita, marinata o brasata, mentre la carne è concepita come condimento o contorno, proprio come si farebbe in un piatto. “Prima c’era un menu che usava questo linguaggio e ora lo abbiamo portato su una pizza che parla così: ho raccolto delle gemme di abete che abbiamo messo sotto aceto e poi con gli scarti ho affumicato la pizza, mentre con le gemme marinate ho farcito la pizza, aggiungendo speck di vacca vecchia stagionato in casa con bacche di ginepro e aghi di ginepro”, spiega Miocchi.
Lo chef, appassionato di pane e lievitazione, ha curato personalmente l’impasto, mettendo a punto una ricetta ad hoc, che tenesse conto dell’utilizzo di un forno statico. Come sta andando l’operazione? “Stiamo vedendo molti clienti nuovi, e ci fa piacere, considerando che manca il 60% di turisti, oltre al 40% di italiani che viaggiano per affari o per piacere”, risponde lo chef. “La pizza è una chiave divertente, non troppo impegnativa: anche chi vuole mangiare la Margherita, al 90% cambia idea leggendo il menu: già dalla spiegazione si crea una micro esperienza sulla pizza. Gli impasti sono molto delicati, ci vuole una grande sensibilità per gestirli, ma la scelta del topping è come cucinare un piatto, ed è qualcosa che ci viene facile sulla pizza”.
Quando gli chef stellati lavorano in tandem con i pizzaioli: Dry e Palazzo Petrucci
Come abbiamo visto, il legame tra chef e pizza è sempre più forte, ma ci sono anche casi ormai “storici” e situazioni d’eccezione, in cui lo scambio tra lo stellato e il lievitista è una costante del modus operandi.
A Napoli, per esempio, la proprietà di Palazzo Petrucci, ristorante una stella Michelin, sigla anche Palazzo Petrucci Pizzeria. La cucina di entrambe le location è supervisionata dallo chef Lino Scarallo, in un confronto continuo con il giovane e promettente pizzaiolo Davide Ruotolo. “Io porto un’idea che può essere basic e lo chef la elabora: per esempio, lo scorso anno ho dato l’input dei fagiolini e da lì ha creato una pizza ad hoc, che ruotava attorno a questo sapore”, racconta il giovane lievitista. “Talvolta lo chef fa un piatto e gli chiedo se è possibile ‘spostarlo’ sulla pizza. A quel punto mi guarda, ride, e facciamo le prove: è nata così la pizza con fiordilatte, speck d’anatra croccante, stracciata di bufala e albicocca semisecca condita con limone e olio”, continua.
“Portare lo studio della cucina in pizzeria per noi è importante”, sottolinea a sua volta lo chef Scarallo. “Spesso ci sono impasti troppo carichi, bisogna ragionare come se fosse un piatto, perché la pizza è un piatto, dove l’elemento fondamentale è l’impasto, ma bisogna dare equilibrio a tutto ciò che c’è sopra”.
Così, il lavoro che vede fianco a fianco chef e pizzaiolo qui si traduce in due punti fondamentali: da un lato lavorare sulle ricette, dall’altro studiare gli ingredienti, in modo da stabilire la migliore tipologia di cottura dei prodotti usati per il topping, “che non devono subire cotture elevate, meglio ancora se usati a freddo”, precisa Scarallo. “Davide prepara un impasto impeccabile, io gli do le dritte sugli abbinamenti e su come standardizzare la ricetta: il concetto è importante, perché spesso ci si dimentica di lavorare sulla grammatura degli ingredienti. Per creare un equilibrio perfetto sulla pizza, è necessario dare un peso specifico di ogni prodotto usato”, conclude.
Applicare la stessa metodologia della cucina alla pizza, dunque, è la chiave di lettura di Palazzo Petrucci, che dopo il Covid ha puntato ancora di più sui lievitati, aprendo Il Malandrino - una sala con terrazza che si trova nella stessa struttura del ristorante, prima destinata agli eventi - dove si servono tapas, pizza e cocktail.
Foto Marco Scarpa
A proposito di bere miscelato, c’è chi ha fatto del connubio cocktail e pizza la propria firma, anticipando i tempi. Stiamo parlando di Dry Milano, che tra i soci vede lo chef stellato Andrea Berton. Nella location di via Solferino la pizza è firmata da Lorenzo Sirabella, giovane e valido pizzaiolo originario di Ischia, vincitore di tanti riconoscimenti (come vi abbiamo raccontato qui).
Come lavorano chef e pizzaioli al Dry Milano? “Noi ogni tre mesi cambiamo la carta food: io porto le mie idee allo chef, propongo circa dieci pizze e lo chef ne sceglie cinque o sei da inserire in menu. Usiamo solo prodotti stagionali e trasformati da noi, è tutto rigorosamente artigianale, dalla pizza ai dessert fatti in casa. L’impostazione della cucina c’è: la pizzeria non si ferma solo all’impasto, ma va anche a creare ricette equilibrate e saporite, si studia la disposizione degli ingredienti sulla pizza e la loro corretta quantità”, spiega Sirabella.
Allo stesso tempo, chef Berton crede molto nella pizza, un prodotto che ama sin da ragazzino, quando andava nelle pizzerie a fare gli stage, per imparare l’arte dei lievitati. “Forse nel 2012 sono stato uno dei primi chef a prendersi questo ‘rischio’, scommettendo sulla pizza. Era un’idea che avevo in testa da molti anni, è sempre stato un mio pallino: non avevo la presunzione di fare le pizze come i maestri pizzaioli napoletani, ma l’idea di fare una pizza che rispecchiasse la nostra filosofia, con abbinamento cocktail, mi piaceva. Oggi abbiamo due grandi professionisti di qualità che lavorano per noi e che ci aiutano in questo, Timur Isayev nella location di Vittorio Veneto e Lorenzo Sirabella in via Solferino”, spiega. “Sono due grandi pizzaioli che hanno una visione da cuochi, e questo è importante: oggi il pizzaiolo è culturalmente informato, è preparato, è una figura di qualità e per questo la pizza oggi è sempre più importante”.
Tra le caratteristiche che rendono speciale l’arte di un pizzaiolo chef Berton identifica l’apertura mentale: “Oggi quasi tutti i pizzaioli conosciuti hanno un approccio non chiuso, non legato esclusivamente al lievitato fine a se stesso, e questo ha cambiato l’immaginario della pizza in Italia, che oggi è un prodotto della tradizione, ma solo di qualità”.
È come se una pizza di qualità - intesa in maniera contemporanea - creasse un ponte tra la ristorazione stellata e proposte più accessibili, come conclude Sirabella: “La pizza può parlare davvero a tutti, con prodotti super eccellenti che non costringono a spendere troppo: il nostro è un bell’incontro tra la pizzeria storica e il ristorante. Si crea una sorta di terza categoria, perché si può venire in pizzeria mangiando ingredienti di grande qualità, in un range di prezzi più basso, ma con la stessa cura nella selezione dei prodotti e la stessa qualità di un ristorante che fa cucina d’autore, con un pasto completo solo con una pizza”.
La pizzeria come investimento: Fra Diavolo e Luciano Monosilio
Infine, ci sono chef che scelgono il mondo dei lievitati come investimento. È il caso di Luciano Monosilio, socio delle pizzerie Fra Diavolo, un brand presente soprattutto in Liguria e approdato anche a Milano e a Torino.
“Ho fatto un investimento a livello economico - spiega lo chef - perché il marchio era già esistente e aveva un’identità molto forte, con un suo format”.
“Siamo cinque soci, io mi sono lanciato in questo progetto perché la pizzeria produce più utili e ha margini migliori, dal punto di vista economico è sicuramente un buon investimento”, prosegue.
Il rapporto tra chef e pizzaioli? “Talvolta nascono belle collaborazioni che avvengono ad alti livelli, sono importanti momenti di incontro e di scambio, perché il cuoco e il pizzaiolo fanno due lavori diversi”, risponde. “È come quando si incontrano Maradona e Pelé: ognuno ha il suo stile, hanno costi e approcci diversi, ma lo scambio c’è, perché si parla sempre di campioni”, conclude. E quando si uniscono due campioni, non può che nascere qualcosa di buono.