Il nome di Claudio Sadler è considerato un sinonimo di alta cucina italiana, non solo tra gli appassionati di fine dining. Lo chef, nato a Sesto San Giovanni, ha esordito a Pavia e poi si è affermato con la sua cucina a Milano, riscuotendo grande consenso sia a livello nazionale che internazionale.
Oltre al suo ristorante Sadler, 1 stella Michelin nel capoluogo lombardo, lo chef Sadler è impegnato su più fronti con decine di progetti, dalla sua trattoria contemporanea alla presidenza dell'associazione Le Soste, che porta avanti seguendo i propri elevati standard. Ecco cos'ha raccontato a Fine Dining Lovers Claudio Sadler, dagli esordi, ai recenti riconoscimenti fino al suo sguardo sul futuro.
È nato a Sesto San Giovanni e per la sua prima attività di chef e ristoratore scelse Pavia. Perchè non Milano?
Fu più una casualità, è possibile che io sia attratto dal Naviglio, che è il corso d'acqua che non ho lasciato neanche quando mi sono trasferito nella metropoli e dove il mio ristorante si trova ancora oggi. Ebbi l'occasione di aprire un ristorantino a Pavia e la colsi, avevo ventisette anni. Nacque allora la Locanda Vecchia Pavia. Ho sempre ambito alla mia indipendenza e la città mi sembrava meno imponente e complicata di Milano. Dopo tre anni lasciai così il mio socio Oreste Corradi, oggi titolare della Locanda Vecchia Pavia al Mulino, una stella Michelin, con cui ho ancora un ottimo rapporto di amicizia. Mi trasferii a Milano.
È con il nuovo ristorante milanese che arrivò la prima stella Michelin?
Sì, ci volle qualche anno. Nel 1986 aprii l'Osteria di Porta Cicca in Ripa di Porta Ticinese. Nel 1991 conquistai la prima stella Michelin. Con il tempo però l'esigenza di un locale più grande e funzionale si faceva sempre più evidente. Decisi così, pur non abbandonando i Navigli, di spostarmi in via Troilo, dove rimasi fino al 2007, portando a casa nel 2002 la seconda stella Michelin, conservata fino al 2017.
Poi un ennesimo spostamento, sempre una questione di spazio?
Sempre una questione di spazio, sempre il Naviglio. Per il ristorante Sadler trovai in quest'ultima sede di via Ascanio Sforza 77 tutto ciò che andavo cercando. E non soltanto per il ristorante gourmet. Da tempo stavo pensando ad una trattoria moderna, ad un indirizzo più informale in cui proporre un'altra sfaccettatura delle mia cucina. Qui c'era lo spazio per entrambe le realtà, cortile compreso.
Con Chic'n Quick, la sua trattoria moderna, fu il precursore di tutta una serie di chef stellati che dieci anni dopo avrebbero proposto formule di ristorazione più semplici nei propri bistrot...
Sono persino più di dieci anni. Prima di Chic'n Quick, nel 1999 aprii Wine & Food in via Monte Bianco. Si trattava di una trattoria con servizio di cucina di qualità, prezzi convenienti ed una cantina non indifferente. In quel periodo c'era ancora una netta distinzione: o il ristorante, con le dovute cerimonie e relativo conto, o la trattoria spartana. In questo senso, sì, mi sento il precursore di una certa tendenza che poi si è diffusa in maniera esponenziale a Milano e in Italia.
Una serie di evoluzioni che non riguardano solamente indirizzi ed ambienti, ma anche la cucina. Con quale principio compone un menu oggi?
Il nostro menu cambia periodicamente. Noi lavoriamo a due comparti e ragioniamo molto sulle richieste di un mercato che, specialmente negli ultimi anni, è particolarmente esigente. Abbiamo quindi un menu alla carta ed una serie di menu degustazione: il Menu Creativo, la nostra offerta più attuale, curiosa e priva di vincoli, che dal lunedì al mercoledì è presentata ad un prezzo conveniente; e il Menu della Tradizione. L'ultimo menu è di prodotto, ora abbiamo il Menu del Tartufo, che si alterna stagionalmente ad un Menu di Pesce. Inoltre abbiamo una serie di cene speciali: cene a quattro mani, abbinamenti di vini preziosi e rari, cene con un focus su un prodotto in particolare. Una tipologia di iniziative che incuriosisce il cliente, lo invoglia ad uscire di casa e venire a trovarci, e che viene proposta anche nella trattoria.
In tutto questo però, tra varie consulenze, ci fu anche tempo per delle importanti esperienze in Asia. Che ricordo ne conserva?
Un ricordo meraviglioso, specialmente in Giappone, dove ho trascorso alcuni dei momenti più belli della mia vita. L'insegna Sadler arrivò a Tokyo nel 2003, il mio contratto prevedeva una presenza di 25/28 giorni in un anno ma passavo là molto più tempo, mi piaceva davvero, sia dal punto di vista professionale che umano. Stiamo parlando di una delle città in cui si mangia meglio al mondo: la cura nipponica che viene messa nell'allevare, nel coltivare, nel commercializzare e nel cucinare i prodotti è senza pari. In quegli anni inoltre si trovavano nella metropoli i più grandi nomi della ristorazione francese, come Alain Ducasse, Pierre Gagnaire, Joël Robuchon, ma anche italiana, da Ezio Santin ad Enoteca Pinchiorri. Poi la Cina dal 2008: lì fu soprattutto il lato umano a colpirmi. Nel ristorante c'erano ottanta posti a sedere e ben centoventi dipendenti. Trovai ragazzi di grande talento e con una grande fame di apprendere. Nel periodo di formazione dovemmo insegnare cosa fossero forchetta e coltello, come versare il vino, qualche nozione di inglese. In breve tempo alcuni di loro diventarono veri professionisti.
Ha preso parte anche a diversi programmi tv. Che rapporto ha con il piccolo schermo?
La tv è un elemento che, se usato correttamente, può cambiare il corso di una carriera. Non svelo nulla di strano se dico che colleghi e amici come Carlo Cracco o Antonino Cannavacciuolo hanno cambiato completamente la propria dimensione grazie alla loro esposizione mediatica. A me fare televisione piace, ho partecipato a molteplici programmi, da I Menu di Benedetta a Cotto e Mangiato, mi sono sempre divertito.
Per lei anche tante soddisfazioni tra cariche e riconoscimenti. La vita associativa è qualcosa in cui crede?
Ci credo e molto. Fui tra i fondatori di JRE, ricoprendo il ruolo di vicepresidente fino a quando non decisi di abbandonare. Oggi sono presidente de Le Soste ed è una cosa che mi inorgoglisce. Fin da quando ero ragazzino il sogno era quello di poter un giorno entrare nell'associazione che raggruppava i migliori ristoranti d'Italia e ricoprire da sei anni la massima carica è una responsabilità notevole. La mia intenzione, in qualsiasi fronte io operi, è sempre quella di valorizzare la figura dello chef, del suo lavoro, del grande impegno che sta dietro.
Alla fine del 2018 le è stato anche assegnato dal Comune di Milano l'Ambrogino d'Oro...
Mi è stato consegnato dal sindaco Beppe Sala, persona deliziosa che stimo molto. Dopo trentacinque anni di lavoro a Milano e per Milano, Fiera compresa, per me è stata la gratificazione di tutta una vita. Certo, i miei progetti non si fermano ed ho alcune novità importanti che mi aspettano nel 2020.
Segui FineDiningLovers anche su Facebook