Conosce le micro stagionalità e suggerisce il frutto o l’ortaggio giusto al momento giusto, ma è anche in grado di creare blend ad hoc per ricette che vedono protagonista in maniera assoluta il prodotto. Il sommelier della frutta riesce a selezionare il meglio degli ingredienti ortofrutticoli cogliendoli nel momento di massima espressione. Il suo è un lavoro che richiede una profonda cultura della terra, della natura, delle aree geografiche e delle stagioni. A differenza del sommelier del vino o dell’enologo, sebbene la conoscenza del terroir sia pressoché la medesima, quello del sommelier di frutta e ortaggi è un mestiere non ancora codificato con percorsi di studio appositi che rilasciano titoli specifici. Tuttavia, può rappresentare una professionalità molto richiesta, capace di fare la differenza nel mondo della ristorazione.
Come si diventa sommelier della frutta? Lo abbiamo domandato a Sergio Fessia, 61 anni, originario di Bra, selezionatore di prodotti ortofrutticoli, tra i primi a essersi definito “sommelier della frutta”, appunto. “Ho iniziato a lavorare con i miei genitori a 15 anni: il mondo è cambiato, ma i parametri di selezione sono sempre uguali”, racconta.
Ecco che cosa ha raccontato Sergio Fessia a Fine Dining Lovers.
Perché si definisce sommelier della frutta?
Ho deciso di adottare questa definizione in relazione alle consulenze che faccio agli amici chef, perché mi sono reso conto che manca la cultura sulla frutta, sul capire quando e quali prodotti consumare in un determinato periodo. Un Barolo di 10-12 anni, per esempio, in quel momento preciso è il top, prima è troppo giovane, dopo invece è troppo tardi per degustarlo al meglio. Il sommelier conosce la parabola del vino e riesce a farti assaggiare i nettari al massimo della loro espressione, come tutte le cose vive. Così, analogamente, ho iniziato a fare questo tipo di lavoro con i frutti. Chi fa il mio mestiere, per esempio, sa che la banana viene raccolta verde e ha una maturazione di 6 giorni: prima è troppo verde, allappa, poi però è troppo matura e diventa stucchevole al palato. La fragola di una certa zona, in un determinato momento, è al top del gusto: la fragola Matera, che è lucana, in questo momento è la migliore sul mercato per almeno due o tre settimane, fino alla fine di maggio. Le verdure si comportano allo stesso modo: la cipolla di Tropea “giusta”, per esempio, si trova ora, a fine maggio, mentre a settembre siamo troppo avanti e a novembre non è pronta.
In cosa consiste il suo lavoro quotidiano?
Il sommelier della frutta deve indicare in ogni momento qual è il miglior prodotto da usare, oppure indicare quando il prodotto è al top, al massimo dell’espressione. Ma non faccio solo questo per vivere, il mio primo lavoro è come selezionatore di prodotti ortofrutticoli per Eataly, in Italia, Francia e Monaco di Baviera. Seleziono solo produttori e merci che arrivano dall’Italia: sostanzialmente mi occupo della scelta del produttore, ma anche e soprattutto del prodotto. Il sommelier della frutta lo faccio come consulenza ad amici chef: da Giampiero Vivalda dell’Antica Corona Reale (due stelle Michelin a Cervere, Cuneo, per cui ha selezionato i blend di frutta per i sorbetti, ndr) a Matteo Baronetto del ristorante Del Cambio (una stella Michelin a Torino, ndr). Gli chef di solito mi chiamano e parliamo delle verdure e dei prodotti che sono al top in un determinato momento. Per esempio, io do suggerimenti come “aspetta ancora un mese per mettere in carta i piselli, perché è presto”.
Ma c’è un ente che certifica la professionalità o un percorso canonico istituzionale?
Al momento no: quello di “sommelier della frutta” è un titolo che ci siamo dati noi. Non esistono corsi, qualifiche o diplomi, ma parliamo sempre di gusti, retrogusti, stagionalità, giusta maturazione, proprio come un sommelier del vino… Non so quanti siamo in Italia ad avere queste competenze, ma senza dubbio un esperto come me potrebbe anche insegnare certe nozioni, per diffondere questi saperi. Non sempre gli chef conoscono la stagionalità: in Italia abbiamo delle verdure così incredibili che, conoscendo i picchi di gusto e la stagionalità, si possono creare dei piatti incredibili. Tempo fa, a un evento internazionale con attori e personaggi dello spettacolo, sono stato invitato a portare delle carote colorate di Avezzano (viola, gialle, rosse): dopo averle assaggiate, Sharon Stone è tornata con le amiche per chiederne ancora, voleva assolutamente che le spedissi quelle carote in America. In Italia abbiamo la possibilità di interpretare le verdure in modo unico, abbiamo anche dei paradisi che sono baciati da Dio.
A proposito, chi sono secondo lei i migliori interpreti di vegetali in Italia e quali sono le terre più fertili?
Secondo me Niko Romito è il più grande interprete delle verdure che abbiamo in Italia e nel mondo: fa magie con un cavolo o una foglia di cima di rapa. Allo stesso modo, Enrico Crippa fa molta ricerca e combinazione di elementi crudi. Per quanto riguarda i territori, quello più incredibile è Punta Campanella, in Costiera Amalfitana, dove chef Iaccarino di Don Alfonso 1890 ha l’orto: per me è il territorio numero al mondo per gli ortaggi, qui sono ottime le ciliegie, le albicocche, ma anche i pomodori, le melanzane e i peperoni. Poi, a seguire, il Ponente ligure, la zona dell’Imperiese al confine con la Francia: qui, per esempio, sono incredibili i pomodori cuore di bue di Diano Marina. Un’altra area pazzesca è il Foggiano, dal Gargano in giù: qui ci sono finocchi molto croccanti, puntarelle invernali, ma è molto buona anche l’uva da tavola bianca di Adelfia, prodotta più a Sud.
Quali sono le qualità che bisogna avere o sviluppare per fare al meglio il sommelier della frutta?
La conoscenza, il naso e il gusto ben sviluppati. E poi è necessario girare, capire che gli anni non sono tutti uguali: come nel vino, l’annata ‘96 del Barolo è incredibile e il ‘97 invece è stato troppo caldo. Per la verdura e la frutta è uguale: se si arriva al top si capisce che un anno è diverso dall’altro, ci vuole molta passione ed esperienza.
Qual è la difficoltà più grande che riscontra facendo questo lavoro?
Vedere che tra chi produce in un certo modo l’età media è molto alta e ci sono pochissimi giovani che coltivano, perché tendenzialmente le persone appartenenti alla nuove generazione di quarantenni vogliono fare gli imprenditori agricoli, non i semplici contadini che si sporcano le mani. Quindi ci si trova a confrontarsi spesso con persone che non hanno il know-how per capire certi consigli e le dritte per produrre al top.
Che consiglio darebbe a chi, magari ispirato da lei, decidesse di diventare sommelier della frutta?
Bisogna fare un percorso molto lungo di conoscenza delle produzioni e dei produttori italiani e farsi un bagaglio ad hoc: un paniere di agricoltori che possa determinare questa differenza. Per esempio, l’asparago rosa di Mezzago non lo conoscono tutti, mentre negli anni ‘80 e ‘90 Veronelli voleva solo quella varietà di asparago, caratterizzato da un retrogusto erbaceo come quello verde, ma con la cremosità dell’asparago bianco: noi italiani, a differenza di altri popoli come i francesi, non siamo sempre bravi a valorizzare risorse e prodotti di alta gamma come questi.
Qual è (se c’è) il pregiudizio più comune relativo al suo lavoro?
Frasi come “alla fine è una semplice mela, è una ciliegia, è una carota” sono all’ordine del giorno: si banalizza! Chi è esperto di aragoste sembra avere un certo valore, mentre chi è esperto di frutta e verdura sembra svolga una professione di serie b, ma in realtà gli ortaggi possono dare le stesse soddisfazione dei prodotti più costosi.