Una legge sugli home restaurant: finalmente arrivano delle norme precise per regolamentare un fenomeno che solo nel 2014, in Italia, ha fatturato 7,2 milioni euro.
Più volte abbiamo parlato del fenomeno del social eating e della differenza con gli home restaurant. Il social eating è un'attività amatoriale che prevede l'organizzazione di cene e pranzi casalinghi con conoscenti e amici, mentre gli home restaurant sono, come dice la parola stessa, dei veri e propri ristoranti casalinghi, dove chef di professione e non si cimentano in cucina offrendo ogni volta un menu diverso. Ogni “ospite” partecipa pagando una quota - spesso su una piattaforma online come Gnammo - che in alcuni casi si limita a coprire i costi sostenuti dal padrone di casa, mentre in altri casi fa diventare l'home restaurant una vera attività commerciale.
COSA DICE LA LEGGE SUGLI HOME RESTAURANT
La burocrazia italiana fino a questo momento non aveva i mezzi per regolamentare gli home restaurant, ma la legge approvata alla Camera (326 i voti favorevoli per la Ddl AC-3258) mette un punto ben preciso sulla questione con delle regole molto più stringenti per chiunque voglia intraprendere il percorso di cuoco casalingo.
La prima grande differenza è fra attività saltuaria e non: la legge prevede che gli home restaurant siano delle attività saltuarie con una fatturazione annua di massimo 5.000 euro e con un massimo di 500 coperti per anno solare. Per continuare la propria attività saltuaria il cuoco dovrà affidarsi alle piattaforme digitali per far sì anche che il pagamento sia tracciabile e l'evasione scongiurata. Oltre a questo sarà necessario presentare una dichiarazione telematica di inizio attività commerciale (chiamata SCIA) a cui va aggiunta anche la certificazione igienico sanitaria (HACCP) e un’assicurazione sulla casa per coprire eventuali rischi.
Altra limitazione? La location. L'attività di home restaurant non potrà svolgersi più in case vacanze o affittate tramite AirBnb. L’articolo 5 è infatti molto chiaro: le cene non si potranno tenere in unità immobiliari a uso abitativo in cui siano già esercitati attività turistiche o “attività in locazione per periodi di durata inferiori a 30 giorni”.
Cambia qualcosa se a cena vengono invitati parenti o amici? Si, in quel caso si parla di social eating, e la cena non rientra nella definizione di home restaurant.
LE REAZIONI
Da una parte Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) e Fiepet esultano, dichiarando che l’evasione fiscale viene finalmente arginata. Spesso si era parlato di concorrenza sleale, ai danni dei ristoratori professionisti, ma il Fipe aveva più volte sottolineato anche i forti rischi per la salute di attività di questo tipo, che non prevedono certificazioni igienico sanitarie e controlli di nessun tipo sugli alimenti. Marcello Fiore - Direttore Generale della Fipe - all'indomani dell'approvazione alla Camera della legge sugli home restaurant ha dichiarato: "La crescente diffusione degli home restaurant in Italia, complici la crisi e il contributo dei social network, se non contrastata immediatamente, rischia di costituire un canale parallelo di offerta organizzato, ma non controllato da molteplici punti di vista''.
Non tutti sono ovviamente d’accordo: c’è chi trova troppo restrittiva una legge che non tiene conto delle evidenti differenze che esistono fra ristoranti veri e propri e home restaurant. Come dichiarato qui da Giambattista Scivoletto – amministratore del sito www.bed-and-breakfast.it: “Vengono imposti tanti e tali controlli e limiti che avremo inevitabilmente alla rinuncia di tantissimi aspiranti cuochi casalinghi, quelli che più avrebbero portato lustro e ed esperienza al settore dell’accoglienza culinaria domestica”.
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