Una storia di famiglia quella de La Grotta Azzurra, iniziata nel 1982. Già da bambino Cristian Marasco era attratto da quel bancone che a diciassette anni è diventato la sua postazione di lavoro. Da allora tante soddisfazioni e altrettanto lavoro: diversi riconoscimenti vinti, altre due pizzerie e una ricerca continua, incessante sugli impasti.
Abbiamo incontrato il pizzaiolo Cristian Marasco nel suo ristorante pizzeria di Merate, in provincia di Lecco. Ecco cosa c'ha raccontato a Fine Dining Lovers dei suoi esordi, delle sue passioni e dei suoi sette differenti impasti (che potrebbero presto diventare di più).
La sua pizzeria La Grotta Azzurra, a Merate, è ormai un'istituzione locale e non solo. Quando nasce questo locale di famiglia?
Era il 1982 quando i miei genitori decisero di portare un angolo di Campania in questa cittadina in provincia di Lecco. Quando La Grotta Azzurra aprì i battenti gran parte della clientela era composta da persone emigrate dal Sud alla ricerca dei sapori della propria terra. Non era infatti così facile trovare in zona, tra le tante trattorie della tradizione, un locale che non solo faceva pizza, ma piatti di pesce e tipici della dieta mediterranea. Con il tempo il pubblico si allargò poi notevolmente ed ora è sempre una gioia quando i clienti vengono a trovarci da Milano o altre città.
E lei come si è avvicini al mondo dell'arte bianca?
Ero il peggior incubo dei pizzaioli, da piccolo volevo stare dietro il bancone. Il pezzetto d'impasto con cui mi facevano giocare per me era la una sorta di pallina magica... Strano ma vero, la mia prima occasione lavorativa si presentò a tredici anni. Una sera uno dei pizzaioli si fece male e non c'era il tempo pratico per trovare un sostituto. Io, come sempre, mi trovavo a La Grotta Azzurra e mi permisi di offrirmi. Così feci il mio primo sabato in pizzeria.
Fu in quell'episodio che capì che quella sarebbe stata la sua strada?
Mi è sempre stato piuttosto chiaro. Chiaramente andai avanti con la scuola dell'obbligo ma, una volta terminata, fui chiaro con mio padre: voglio lavorare, voglio fare il pizzaiolo. In quel momento c'era già un pizzaiolo che mandava avanti il locale di famiglia, mi affiancai a lui con il ruolo di aiutante, finchè non arrivò l'occasione succedergli. Avevo diciassette anni.
Giovanissimo portò a casa anche dei riconoscimenti importanti. La fortuna del principiante?
Sempre a quell'età decisi di partecipare alla mia prima gara, era un campionato europeo. Ero giovane e, in tutta onestà, molto attratto dall'idea di passare tre giorni a Madonna di Campiglio. Prima della competizione iniziai a confrontarmi con mio padre su quale pizza preparare, volevo fare bella figura. Così vide la luce la Lombarda, con formaggi regionali e polenta, che mi portò alla vittoria. Al mio ritorno organizzaro un'enorme festa a sorpresa che ricordo ancora oggi con gioia. Era come Natale: mamma, papà, mio fratello, i nonni, gli amici...
A proposito di parenti: la vostra attività nel mondo della ristorazione nasce come famigliare e tale rimane ancora oggi...
Assolutamente, la pizza è il mio regno ma il successo del nome La Grotta Azzurra è dovuto anche a mio fratello, che qui lavora come chef, delle nostre mogli che stanno in sala. Di mia sorella che si occupa del nostro ristorante pizzeria sul lago, a Garlate. Per noi non è solo una questione di lavoro, è la nostra vita.
C'è anche una terza pizzeria. Come si divide con tre locali da seguire?
Sì, abbiamo un locale anche a Bonate Sopra, in provincia di Bergamo. Tutti e tre gli indirizzi, per quanto riguarda la pizza e la cucina, hanno la stessa offerta. Solo il ristorante di Garlate, data la sua posizione di passaggio e sulle sponde del lago, si presta anche ad un servizio di bar ed è sempre gettonato per l'aperitivo. Io di base lavoro a Merate ma mi sposto con frequenza perchè la supervisione sia costante. È fondamentale che tutto, dal servizio alle mie pizze, esca sempre al meglio, indipendentemente dalla nostra presenza in quel preciso momento.
Come si è evoluta la pizza de La Grotta Azzurra dopo il suo arrivo dietro al bancone?
La mia famiglia è di origine campana, la nostra in origine era una pizza napoletana. Per la ricetta si andava ad occhio: metti due pugni di questo, aggiungi un pizzico di quello... Io sono andato a lavorare su questo aspetto, calibrando dosi precise: non era sufficiente metterci le mani ma anche la testa. Accantonai la classica napoletana e cominciai a fare la mia pizza senza cornicione, nè troppo alta nè troppo bassa. Introdussi il lievito madre. Oggi sono quindici anni che lo uso e dieci che impiego impasti biologici.
L'impasto è un po' il suo chiodo fisso. Quanti ne propone ai suoi clienti?
Al mio impasto classico, lievitato 96 ore, si affiancano altre sei tipologie: il 100% integrale, quello ai cereali, quello di kamut, quello di farro monococco, Ci sono poi la pizza napoletana e l'ultima nata, la pizza contemporanea, nata da una farina millesimata biologica siciliana. Mi piace l'idea di accontentare il cliente e con sette impasti ed una quantità notevole di topping, credo di poter arrivare ad un'ampia fetta di pubblico. Ma non mi fermo, voglio sempre migliorarmi e sto già pensando al prossimo.
Quindi la stessa cura viene impiegata nella selezione della materiale prima per il topping?
Sì, lavoriamo che diversi prodotti IGP e Presidi Slow Food. Anche la nostra mozzarella, che consumiamo a ritmo di 300/400 kg alla settimana, viene realizzata da una piccola azienda pugliese esclusivamente per noi.