Entrambe hanno vissuto negli Stati Uniti. Entrambe hanno una laurea che non ha niente a che fare con la cucina. Entrambe lavorano con il proprio compagno. E si potrebbe continuare.
Le somiglianze tra i percorsi - di vita e di professione - di Alice Delcourt e Cristina Bowerman hanno dello straordinario. Anche se le hanno portate in luoghi molto diversi: chef dell'Erba Brusca, "ristorante con orto" a Milano, la prima; chef e imprenditrice dietro le insegne capitoline di Glass Hostaria (una stella Michelin) e Romeo la seconda.

Le abbiamo incontrate a Identità Expo S.Pellegrino, dove sabato 8 agosto sono state protagoniste di una cena a quattro mani che aveva la multiculturalità come cifra stilistica, a cominciare dall'antipasto della Bowerman, un Gazpacho incontra il ceviche che incontra la ‘nduja. Nel primo - Risotto con melanzane affumicate, limoni sotto sale, menta e sesamo - si trovavano le suggestioni mediorientali predilette dalla collega, mentre era netta l'ispirazione asiatica del secondo, il Calamaro ripieno di ricotta speziata, salsa ai ricci di mare, bonito, salicornia e arancia. E con il dessert, Panna cotta al basilico, albicocche in osmosi, crumble al mais tostato e cremoso al limone, la Delcourt ci riportava in Italia.
Quella che era cominciata come un'intervista "canonica" si è trasformata in una lunga - e decisamente atipica - chiacchierata, dove si parlava di estrattori a freddo e passaporti statunitensi, si scoprivano somiglianze (tante) e differenze (poche), ma soprattutto si apriva un bello spaccato su cosa vuol dire, nell'Italia del 2015, essere una chef donna.
Partiamo da Cristina, che è appena tornata da Los Angeles, dove sta facendo consulenza per un nuovo progetto. Ci vuole raccontare in cosa consiste?
Cristina: Negli Stati Uniti mangiano tutti dalle macchinette - ma vedo che anche qui iniziano ad essere dappertutto. Una start-up di Los Angeles mi ha contattato per fare panini e piattini salutari e bilanciati in collaborazione con una nutrizionista. Una delle linee guida è quella crudista, una cucina che mi affascina tantissimo: l'unico problema è che ha ancora un approccio elitario. E infatti ho provato a creare piatti che non costassero più di 8-10 dollari, come l'Avocado in un dressing di miso, lime e yuzu, amaranto soffiato.
Alice: In America si può trovare un fast food più sano rispetto a qui, ma per necessità: tutti mangiano camminando, sui mezzi di trasporto, senza mai sedersi a tavola. Non c'è un orario.
Come sposate, nella vostra cucina, tutte queste nuove esigenze - e tendenze - salutistiche?
Alice: Penso che le cose siano peggiorate da quando il cibo è diventato moda. Vedi queste donne che devono essere sempre magre, bellissime, curatissime, e però dimostrare di mangiare sempre.
Cristina: Il cibo è solo una parte del problema. C'è un'ossessione nei confronti della bellezza e della magrezza, dell'immagine, che è inquietante. Riguardo al cibo, però, penso che sia auspicabile un approccio più salutare in generale, che per me vuol dire stare lontani dai cibi preconfezionati.
Alice: Esatto, meno ingredienti ci sono meglio è. E poi per me è importantissimo far capire che le verdure non sono solo un contorno. Io mangio tutto, anche la carne, ma è assurdo che le persone considerino verdure i piselli serviti insieme alle polpette.
Cristina: Da sei mesi ho inserito in carta un menù vegetariano e lo faccio pagare 25 euro in più di quello di carne. Così anche i non vegetariani si incuriosiscono e finiscono per ordinarlo.
Entrambe avete fatto studi ed esperienze lavorative molto diverse prima di dedicarvi alla cucina. Quando e come è arrivata la decisione definitiva?
Cristina: Il cambio di carriera è stato difficile, una scelta lunga e travagliata. Dopo essermi laureata in Giurisprudenza mi sono trasferita negli Stati Uniti: viaggiavo, guadagnavo bene. Sapevo che dedicandomi alla cucina avrei dovuto rinunciare a ogni cosa, e per i primi due anni non avrei guadagnato niente. Ai sacrifici comunque ero abituata, prima di laurearmi ho fatto di tutto, da vendere creme solari a preparare cappuccini.
Alice: Io ho studiato Scienze Politiche negli USA, dove sono cresciuta, poi ho fatto una sorta di Erasmus a Firenze, dove ho anche vissuto dopo la laurea. Non sapevo bene cosa fare della mia vita, ma sapevo che volevo stare in Italia: ho fatto anche io di tutto, dall'organizzatrice di eventi alla guida di trekking. Il cibo mi è sempre interessato, ma ho capito che mi piaceva cucinare in modo professionale lavorando su una barca a vela. È stato strano all'inizio: quando cominci percorsi così diversi da quello che hai studiato non ti sembra neanche possibile riuscirci.
Cristina: Io ho preso una laurea in Culinary Arts a Austin. Ho pensato: se comincio come lavapiatti, lavapiatti rimango, perché ho cominciato tardi e perché sono donna. Se entro dalla porta principale con una laurea in mano ho più possibilità. Ma questa è stata una mia decisione, non direi mai che una donna lo debba fare per forza: oggi poi la situazione è molto diversa.
Direste che la parità in cucina è stata finalmente raggiunta?
Cristina: Questo no. La situazione non è paritaria, perché è un campo professionale che fino a poco tempo fa è stato completamente dominato da uomini. Ma lo stesso vale anche al contrario, in molti settori: fino a poco tempo fa l'infermiere era solo infermiera. Ma sono solo sicura che le cose cambieranno, dobbiamo solo aspettare.
Alice: Essere donna rende anche più difficile gestire le persone in cucina. Mi metto sempre in discussione e chiedo sempre scusa, anche quando non dovrei, una cosa che secondo me è tutta femminile. Sto ancora imparando a impormi ed essere decisa. All'inizio volevo essere amica di tutta la brigata, poi ho capito che non si può: devi sapere quando tracciare la linea.
Cristina: Io all'inizio urlavo molto di più, ora ho capito che non ne vale la pena. Non serve a farsi ascoltare: il rispetto te lo guadagni con l'esempio. Ora uso il sistema dei premi e delle punizioni. Ti vedo in cucina con i jeans? Dieci euro di multa, li metto in una cassa comune e si compra qualcosa per la cucina. Non dici parolacce? Ti regalo una cassa di birra.

Entrambe lavorate con il vostro compagno, che sta in sala e si occupa della parte organizzativa e gestionale. Rende le cose più facili o più difficili?
Cristina: Aprire un ristorante insieme a Fabio (Spada, NdR) è stata una decisione consapevole, era l'unico modo per vederci. E comunque copriamo due settori così diversi che praticamente non ci vediamo mai comunque.
Alice: Danilo (Ingannamorte, NdR) aveva già aperto Erba Brusca quando sono arrivata in cucina, quindi il nostro rapporto è nato così, ed è bello. Gli faccio sempre assaggiare un piatto nuovo: essendo sommelier mi dà pareri indispensabili sul bilanciamento dei sapori. Poi io non ho un palato italiano e ci sono differenze culturali di gusto tra me e i miei clienti. È lui che mi sprona quando non mi viene il piatto, che mi aiuta a non perdere la calma e ad aspettare. Fondamentalmente posso dire che sono molto fortunata, perché ha tanta pazienza!
Cristina: Le parole che hai detto tu, dall'inizio alla fine, posso applicarle a me e Fabio. Io gli faccio assaggiare ogni piatto nuovo, la mia cucina cresce insieme a lui. L'unico problema è quando viene in cucina a dirmi che ha fame durante il servizio. A te non capita mai?
Alice: Sempre. Ma ormai ha capito che è inutile, al massimo chiede timidamente se è rimasto un pezzettino di pane, una fettina di salame.
Cristina: Io non lo permetterei! Le prime volte l'ho sgridato così tanto che ora non ha nemmeno il coraggio di chiederlo, e se ha fame va a mangiare nel ristorante a fianco. [ridono, NdR]

Ma la voglia di cucinare a casa rimane?
Alice: A casa cucina Danilo, è bravissimo. Io mai - forse perché a casa ho una cucina inesistente, non c'è dentro niente, prima della nascita dei bambini non avevo nemmeno le posate: pane, burro e acciughe e birra è il nostro dinner of champions. Un giorno qualcuno mi sponsorizzerà una cucina bellissima, chissà.
Cristina: Io cucino molto quando sono al mare. O per Natale. E non ti dico le padelle che sporco! Mio figlio comunque ha sviluppato l'interesse per la cucina, è curiosissimo, quando lo portiamo con noi a provare un ristorante fa commenti davanti a tutti: "Mamma, questi spaghetti alle vongole non sono buoni come quelli dell'altro giorno!".
Alice ha due gemelli di 14 mesi, Cristina un bambino di 7 anni. Come si conciliano le esigenze del lavoro e della famiglia?
Cristina: Io ho lavorato fino alla sera prima di partorire e la mia maternità è durata 48 ore. Ora ho una persona fissa che vive con me, altrimenti è impossibile pagare una baby sitter, se consideri le ore che facciamo noi.
Alice: Noi abbiamo affittato un monolocale in affitto proprio di fianco al ristorante che fa da nursery. Mi sono presa i cinque mesi di maternità, ma non me li sono goduti, il lavoro mi mancava. Anzi, sembrava un sogno rispetto alla fatica di non dormire e tenere dietro a due bambini! E comunque è difficile - non che sia l'unico lavoro che ha orari terribili, ovviamente - ma non mi chiedo mai se ne valga la pena o meno. Se hai una passione così ne vale sempre la pena.