È lui il vero René Redzepi italiano. Anzi questa definizione è di per sè imprecisa perchè, se Rezdepi ha portato il foraging alla ribalta nel mondo intorno al 2003, lui si occupa di raccolta, studio e cucina con le erbe spontanee da più di 29 anni nel suo ristorante stellato El Molin di Cavalese, in provincia di Trento.
Ha frequentato i laboratori gastronomici dei- cioè i luoghi dove vengono sperimentati i piatti prima di essere messi in carta - dei ristoranti di Ferran Adrià e Alain Ducasse, per poi tornarsene sulle sue montagne, di cui è visibilmente innamorato. Un amore conservato con timidezza e passione, dalle radici forti.
Sto parlando di Alessandro Gilmozzi, autore di una cucina italiana di montagna dal forte profumo di foresta e di bosco.
Gli ingredienti sono quasi completamente sconosciuti a noi cittadini e alla gente di mare ed ecco perché mangiare i piatti di Gilmozzi ci può arricchire tanto.
Perché non ti porta in tavola le solite cose scontate, ma ti prende per mano e ti porta su sentieri sconosciuti e sorprendenti.
Avete mai mangiato una gelato alla corteccia di betulla, un pane al fieno o delle gemme di pino mugo candite?
Bene, il vero talento di Gilmozzi è che rende questi ingredienti - sicuramente inusuali e poco “friendly” - confortevoli, curiosi e facili da mangiare.
Le affumicature decise non sono più il centro nevralgico della sua cucina, perché oggi Gilmozzi è "cresciuto" ed è passato dal fumo al profumo, in una sorte di astrazione mentale che l'ha portato dal fuoco all'essenza, dalla brace agli oli essenziali.
"Il senso più profondo del mio lavoro oggi è riuscire a mettere nel piatto i profumi delle erbe spontanee, delle gemme, degli alberi e dei fiori del bosco - spiega Gilmozzi, con il tono pacato che lo caratterizza -. Oggi voglio dare consistenza al profumo e renderlo percepibile al palato. Un profumo può sembrare qulcosa di volatile e inconsistente, ma nella mia cucina mantengo la leggerezza, l'eleganza e l'impalpabilità dei sentori del bosco rendendoli allo stesso tempo “masticabili” e appaganti per il palato".
Distillazione, affumicature, fermentazioni, ultrasuoni, utilizzo dell'Ocoo, ultrasuoni sono applicati da Gilmozzi a gemme, pezzi di corteccia, erbe spontanee e fiorì. Lo chef ha usato, in questi 29 anni di raccolta e attività, più di 260 ingredienti spontanei e autoctoni nei suoi piatti. Ecco perché parlare di foraging come "moda", lo fa, giustamente, sorridere sotto i baffi.
Autodidatta del bosco, è uno che - sotto la sua placida tranquillità - si sa emozionare. Il momento più bello dell'intervista è stato quando ha parlato della raccolta sotto la pioggia. "Qualche giorno fa sono uscito per raccogliere gli asparagi selvatici, profumatissimi in questo periodo - racconta Gilmozzi-. Ad un certo punto, si è messo a piovere. E' incredibile come la foresta sia ricca di silenzi imperturbabili anche quando piove. E' come entrare in una bolla magica dove il tempo si ferma e il contatto con la natura diventa totale".
Tra le sue icone, che bene rappresenta la sua filosofia, c'è Border Line, un piatto che racconta una nevicata sotto un albero. E' un omaggio al nonno, che, come lui, amava passeggiare in montagna. Si tratta di un sorbetto base acqua alla resina di cirmolo, poggiato su una crema di topinambur selvatico e arricchito da una resina di abete rosso (trattata prima ad altissima temperatua in modo che si sterilizzi e poi si abbattutta per trasformarla in polvere).
Partendo da qui, ecco i 6 piatti icona di Alessandro Gilmozzi de El Molin di Cavalese (Trento) che potrete assaggiare fino a sabato all'hub di cucina internazionale di Identità Golose in via Romagnosi 3 a Milano. (Per info e prenotazioni cliccate qui).
P.s. Dopo l'intervista lo chef Gilmozzi mi ha fatto assaggiare un fiore di Stevia selvatica che cresce vicino al ristorante. Un mix di dolcezza, sapore erbaceo e liquirizia, una bomba vegetale zuccherina senza spigoli e con mille sfumature. La perfezione della natura in mezzo centimetro quadrato. La filosofia di Gilmozzi è tutta qui. E scusate se è poco.
Uovo di montagna, ragù di caviali e geranio selvatico

Credit: OnStage Studio
Un piatto e due uova da galline livornesi allevate allo stato brado in Trentino trattate con due preparazioni diverse.
Il primo uovo di montagna viene "cotto" in azoto a una temperatura di meno 197 gradi: in pratica si congela, poi si fa decongelare e si passa al setaccio in modo da cambiarne completamente la texture, rendendolo una crema.
Il secondo uovo "diventa" una crème brulée: l'uovo viene cotto a 88 gradi per 20 minuti insieme al "lattefieno" (un tipo di latte particolare che proviene da mucche che mangiano solo di fieno montagna in Trentino Alto Adige).
Alla base del piatto c'è la prima crema di uovo, sovrastato dalla sapidità di 3 caviali diversi che rappresentano il territorio: di trota, salmerino e lucioperca. A contorno, degli "spuntoni" di crème brulée.
Per finire, il geranio selvatico che ricorda il sapore delle mele trentine e fiori di borragine. Per stemperare la sapidità dei caviali, una semisfera ghiacciata a base di succo mela e olio essenziale di cirmolo.
Spaghetto Kamut Felicetti all'abete, salmerino e fieno

credit: OnStage Studio
Il secondo piatto è uno spaghetto di Kamut Felicetti, prodotto a pochi passi dal ristorante El Molin, dalla masticabilità decisa e dal sapore intenso. Viene condito con un mix di burro, pesto di abete (fatto con le gemme dell'abete emulsionate con olio d'oliva del Garda a freddo) e idrolato di abete (frutto della distillazione delle gemme di abete).
Pane rustico, burro affumicato e Zigher

credit: OnStage Studio
La merenda di montagna più buona che ci sia. Lo chef Alessandro Gilmozzi crea un pane di segale arricchito con pancetta, che viene spalmato di golosissimo burro di malga affumicato e profumato con fiori di montagna. Tocco finale, il formaggio Zigher, tipico dell'Alto Adige, di un piccolissimo produttore locale. Il formaggio viene impreziosito dal sapore marcato del pepe di larice, una piccola bacca spontanea.
Particolare la filosofia del "cestino del pane" di Gilmozzi: "A El Molin, il pane è sacro e diventa una portata a sè. Non arriva subito al tavolo ma a metà del percorso gastronomico perché possa suscitare la giusta attenzione" spiega lo chef.
Cervo cotto al rosa, pigna fermentata e crescione d'alpeggio

Credit: OnStage Studio
La lombata di cervo viene cotta in una padella con un filo olio del Garda, e poi fatta riposare a 60 gradi per 20 minuti. In questo modo la cottura "procede" delicatamente, lasciando il "cuore" della lombata di colore rosato. Inoltre il riposo permette di avere una carne morbida e ricca di succo al palato.
Sulla carne, per dare aromaticità, una polvere di pigna fermentata. Come si prepara questa specialità? Le piccole pigne di cirmolo vengono tagliate a metà e lasciate fermentare in acqua, sale e zucchero per tre mesi. Poi le pigne vengono essiccate e trasformate in polvere. Il sapore che regalano al palato è quello della tostatura dalla dalla griglia, con una forte nota balsamica.
Per equilibrare il tocco di amarezza dato dalla polvere di pigna, lo chef aggiunge foglie di crescione di alpeggio, che rinfresca come una sorte di "wasabi di montagna".
Latte e betulla

Credit: OnStage Studio
Pre dessert che gioca con le consistenze del latte di alpeggio. Si parte da una mozzarella (ebbene sì, prodotta in Alto Adige!), trattata come un "pongo" e quindi lavorata con le mani fino a diventare una sfera concava, che viene riempita con con una mousse di yogurt.
Il piatto è composto dalla sfera di mozzarella ripiena di yogurt, gelato al fiordilatte profumato con foglie verdi di betulla che vengono candite in uno sciroppo di acqua e zucchero. Con questa lavorazione particolare, viene accentuato il loro sapore erbaceo, tanto che ricordano il famoso tè matcha.
Icy corteccia: gelato alla corteccia e crumble ai profumi del sottobosco

credit: Onstage Studio
Ed ecco il gran finale. Il punto di partenza è sempre la profonda conoscenza della natura e dei suoi "comportamenti". Dovete sapere che in autunno e in primavera, la corteccia della betulla si ricopre di una sorta di clorofilla che protegge la pianta. Lo chef Gilmozzi prende dei pezzi di questa corteccia e la fa infondere nel latte di alpeggio per una notte intera. Poi crea un gelato alla crema, arricchito da un crumble profumato con ginepro, ribes mirtilli e gemme di pino mugo, dalle note intense di resina.
Tocco finale, polvere di liquirizia selvatica e borracina, una pianta grassa dalla texture carnosa e dalle sensazioni leggermente balsamiche. Il profumo più vero della foresta infuso nelle consistenze di un dolce.