Ristoranti stellati, ma non solo. Bar, bistrot gourmet, locali gastronomici: spin-off tutti di altissimo livello che insieme compongono veri e propri imperi della ristorazione, sotto l’insegna di un unico chef e la medesima filosofia di cucina. Ma come funzionano macchine così complesse eppure perfettamente oliate?
Uno dei casi sicuramenti più interessanti è quello dei Fratelli Alajmo de Le Calandre (Rubano, Padova), uno degli otto tre stelle Michelin in Italia e 19esimo nella classifica dei World’s 50 Best Restaurants 2017. Stelle che diventano cinque se si aggiungono anche quella ottenuta per il ristorante Quadri di Venezia e quella per il Montecchia sempre in provincia di Padova.
Massimiliano è lo chef, un’entità eterea “extraterrena”, noto ai più per essere stato il più giovane a guadagnare la terza stella nel 2002 quando aveva solo 28 anni; il merito di quel traguardo va diviso equamente con Raffaele, il fratello maggiore al quale papà Erminio nel 1994 decide di lasciare in mano Le Calandre, ai tempi “solo” 1 Stella.
Fratelli Alajmo: Le Calandre e gli altri 9
“A noi riesce l’alta ristorazione, il nostro DNA è il ristorante 3 Stelle. Sappiamo fare bene quello, tutto quello che facciamo, anche il locale più semplice, ha quel DNA lì. Gli ingredienti che trovi nei nostri locali, dal bar al ristorante gastronomico, sono quelli che usiamo anche per Le Calandre”. Così ci spiega il “brand” Alajmo Raffaele.
E non ce ne vogliano i gourmet navigati se usiamo la parola brand, perché quello che i Fratelli di Rubano stanno facendo in questo preciso momento storico, o meglio quello che hanno iniziato a fare da qualche anno, è colonizzare Italia e mondo con locali guidati dalla stessa filosofia de Le Calandre.
Rubano è la sede storica della famiglia Alajmo; prima a tenere in mano le redini del locale papà Erminio, noto nell’ambiente per aver fatto guadagnare la stella in tutti i ristoranti veneti dove ha lavorato, e mamma Rita. Nel 1994 la decisione di lasciare tutto in mano ai figli; i genitori si sarebbero “esiliati” pacificamente qualche chilometro più in là, al ristorante Montecchia (1 Stella Michelin), dove oggi la cucina è tendenzialmente vegetariana, anche se uno dei piatti più celebri è una tartare fatta dal signor Erminio al tavolo. Montecchia è il luogo ideale per capire la filosofia di Max e Raf: servizio ineccepibile, materie di stagione, un uso smodato di verdure e raffinatezza, senza scadere nell’opulenza francese. Alta cucina italiana. Punto.
Quadri è invece il salotto bene: Piazza San Marco, sotto il caffè e il bistrot sopra un ristorante con una delle viste più esclusive sulla Serenissima. Sempre a Venezia c’è Amo, bistrot casual ma di design, proprio come l’esperienza parigina di Caffè Stern il cui design è firmato da Philippe Starck. Senza dimenticare i due bistrot, lI Calandrino e Ingredienti, negozio di ingredienti davanti a Le Calandre.
Il brand Alajmo deve apparire su tutto
In passato ci fu anche Tokyo; un’esperienza, durata 3 anni con il marchio Il Calandrino, che ha convinto i fratelli Alajmo a non accettare compromessi per costruire il proprio “impero”, di cui avrebbero diretto i giochi in prima persona.
E così è stato: Massimiliano coordina e crea i menu - 4 volte all’anno, allo scoccare di ogni stagione – per i tutti gli indirizzi; Raffaele si occupa di tutta l’organizzazione dal punto di vista manageriale, con il piglio di un vero generale. Il marchio Alajmo dev’essere presente su tutto, insomma: dalla cucina alle stoviglie, ideate dagli stessi Max e Raf per tutti i loro locali.
“L’idea è quella di creare posti tutti diversi, dove si mangiano cose diverse, e dove l’esperienza è diversa; ma vogliamo che quando vedi Alajmo nel mondo sai immediatamente che in quel posto si mangerai bene”. Dice Raffaele, che aggiunge: “Fare ristoranti gastronomici non vuol dire fare solo ristoranti costosi come Le Calandre“.
10 locali con fasce di prezzo molto diverse fra loro: chiunque può permettersi una colazione dagli Alajmo, in molti una cena nei loro bistrot, pochi una cena nei loro stellati. Ma come ci spiega Raffaele “È questa la logica dei grandi brand di moda: chiunque entra nel tuo negozio può acquistare qualcosa, dal portachiavi alla borsa più preziosa”.
Autorialità, fiducia e fluidità
E per far accadere tutto questo in poco più di 20 anni tre le parole da tenere a mente: autorialità, fiducia e fluidità.
Il primo ad apporre la sua firma deve essere Massimiliano: lui il genio creativo che si cela dietro a uno dei piatti più buoni al mondo - il più buono secondo Andy Haley il gourmet che gira tutti i tre stelle del mondo - il Risotto zafferano e liquirizia “Nato in onore di mia moglie che è calabrese”.
Lo chef studia a distanza tutti i piatti dei 10 menu, parla con l’executive chef, e poi va un paio di giorni in ogni locale. 2 giorni x 10 locali vuol dire 20 giorni di lavoro ogni 3 mesi, e questo solo per il rinnovo del menu.
Ma come si fa a non perdere l’estro creativo quando si devono cambiare tutti questi menu e si hanno delle scadenze?
“È sempre uno stimolo quando hai tanti locali, e non sei concentrato solo sul versante gastronomico. Sei sollecitato nel pensare alla prima colazione, allo snack, alla torta, tutte queste cose diventano complementari alla mia attività”.
L’impronta di Massimiliano è su tutto, dalla brioche al primo piatto, e il suo lavoro non si limita all’invenzione di piatti, ma addirittura all’ottenimento dei brevetti per delle preparazioni speciali. Quello fino ad ora ottenuto è quello della Pizza al Vapore, una focaccia leggerissima con pochissimo lievito e la forza del vapore per creare una base soffice facile da digerire, che si trova in tutti i locali degli Alajmo. Il brevetto è una delle poche cose nel mondo che possono tutelare l’invenzione di un cuoco. “Non si possono tutelare gli abbinamenti. Il brevetto nasce quando la ricetta diventa un semi lavorato che può essere replicato in larga scala, creando una reale innovazione”.
Adesso al vaglio della commissione dei brevetti altre due invenzione di Max (qui più informazioni).
Ma senza la grande famiglia attorno ai Fratelli Alajmo questo sistema così solido non sarebbe stato possibile. E una famiglia – anche ristorativa - si basa sulla fiducia. Alla domanda come ci si accorge di potersi fidare di un collaboratore Massimiliano risponde candidamente:
“In cucina siamo talmente in contatto, che lo capisci quasi a livello epidermico se ti puoi fidare o meno di un ragazzo. Tutti i collaboratori più stretti hanno scelto di voler collaborare con noi, e sono con noi da tanto tempo. E alla fine credo che debbano essere loro a fidarsi di noi”.
Ecco cosa c’è dietro la fluidità dell’organizzazione Alajmo.
Se il versante della cucina funziona a livello epidermico, quello della sala e di tutto ciò che è attorno alla gestione funziona un po’ diversamente. “Quando deleghi vedi subito che ci sono quelli che prendono il problema e lo risolvono, e quelli che rimangono immobili per la paura che io mi arrabbi. Questo per me è il vero banco di prova per i miei dipendenti”. Dice Raffaele.
I due approcci dei Fratelli Alajmo sono quindi diversi, ma assolutamente complementari “Non a caso il nostro direttore generale ci chiama “Dolce & Gabbana”, e io non sono sicuramente quello ‘dolce’ – ride – Anche Philippe Starck lo ha confermato: il mio è un ruolo terreno, quasi da Minotauro; Massimiliano è invece una nuvola e ha una visione extraterrena.”