Daniel Canzian fa parte di quella generazione di chef che hanno avuto la fortuna di crescere, formarsi e lavorare sotto Gualtiero Marchesi. Uno dei più giovani allievi del Maestro (tanto per dirne qualcuno: Carlo Cracco, Andrea Berton, Pietro Leemann, Davide Oldani), ha passato sette anni come executive chef del Marchesino, finché "È capitata l'opportunità perfetta per aprire un locale mio. Dico capitata perché è stato un caso: fosse stato per me, sarei rimasto ancora". E invece, per sua - e nostra fortuna - l'opportunità l'ha colta, e nel 2013 ha aperto Daniel, il suo ristorante in via Castelfidardo.
Qui propone agli ospiti quella che definisce una cucina italiana contemporanea, piatti ben leggibili nel registro della tradizione, ma aperti al mondo in maniera vivace e intelligente. Come il Risotto Exponenziale: risotto alla parmigiana cotto con brodo di pollo leggermente affumicato e spolverato di paprika affumicata, curry e the nero. Un piatto che, tra le altre cose, è di una bellezza straordinaria: "Cerco sempre un equilibrio tra forma e sostanza. E non guardo mai le immagini di piatti altrui, nemmeno quando leggo una ricetta: le combinazioni visive devono essere mie".
Avere un insegnante come Gualtiero Marchesi è un privilegio. Qual è l'insegnamento migliore che le abbia dato?
Prima di tutto mi ha insegnato a creare il giusto equilibrio tra persona e professionista, e a far sì che siano belli sia l'uno che l'altro. La cucina non deve essere un motivo di vita, ma un modo di esprimersi: lui si è formato culturalmente come persona, prima che come cuoco. Tutto scaturisce dalla curiosità. Poi mi ha spronato a ricordare le origini. La polenta e il baccalà, ad esempio: un piatto della mia terra, il Veneto, che ho trasformato in un Cannolo croccante di polenta ripieno di baccalà mantecato.
Cos'è cambiato da quando ha aperto Daniel, nella sua cucina e nella sua vita?
Quando da chef diventi uno chef-imprenditore cambia tutto. Non è facile capire quale ruolo mantenere: vedo i miei piatti in una veste diversa, devo calibrare pensieri e atteggiamenti. Ma è inutile sottolineare che è difficile, lo sono tutti i lavori, e guardare in negativo rende tutto negativo. I momenti duri ci saranno sempre, lo sconforto è inevitabile, ma la difficoltà è anche uno stimolo a tirare fuori il coraggio.
E com'è guidare una brigata di cucina?
Dire che "non ci sono più i ragazzi di una volta" è una frase fatta. Bisogna bypassare la prima impressione, e stimolarli a dovere, rendendoli partecipi del nostro mestiere e stimolando la curiosità. Loro, invece, non devono stancarsi mai di chiedere.
Abbiamo incontrato Canzian a una delle cene dell'Ambasciata Culinaria del Perù, l'evento organizzato al suo ristorante in cui ha organizzato cene a quattro mani insieme ad alcuni dei migliori chef peruviani. Nei discorsi dello chef ritorna spesso la parola curiosità, che in questi giorni si sta concentrando proprio sul paese sudamericano.
Cosa le ha lasciato quest'esperienza?
Gioia, soprattutto. E voglia di andarci: partirò a metà ottobre. Gli scambi culturali per uno chef sono fondamentali. Ho scoperto tantissimi ingredienti. Ad esempio il charapita, un peperoncino amazzonico piccolissimo che, ad esempio, è perfetto negli spaghetti aglio e olio.
E quali altri paesi la stanno interessando, al momento?
India, Corea, Vietnam, tutta la zona orientale. Ma se mai riuscissi a prendermi un periodo sabbatico lo farei in Italia, prendendomi un mese per ogni regione, lavorando dagli amici cuochi e assaporando tutti i territori.