Prende forma a pochi chilometri da Roma, vicino al mare, il progetto de Il Tino: il ristorante dello chef Daniele Usai e dell'amico e sommelier Claudio Bronzi, che otto anni fa hanno rilevato una struttura con 70 anni di storia alle spalle per trasformarla in un locale gourmet da 24 posti.
Nel menu piatti preparati con ingredienti del territorio e rigorosamente fatti in casa dallo chef: la sfoglia, il pane, tutte le preparazioni, così da sapere sempre cosa mette nei piatti che offre ai suoi clienti.
In questa intervista Daniele Usai parla del suo progetto e di quale cucina potete trovare nel suo ristorante.
Che tipo di cucina si trova nel suo ristorante?
Cucina di territorio e diretta: del territorio perché cerchiamo di usare le nostre materie con delle tecniche contemporanee; diretta perché il protagonista del locale è sempre il piatto. E poi perchè facciamo tutto in casa: in generale reperiamo sempre materie prime di grande qualità e lavoriamo con tutto quello che abbiamo in cucina, da soli. Quella de Il Tino è una cucina mediterranea al 90%, anche se spesso ci prendiamo la licenza di usare tecniche e spezie estere; non nascondo che ho una certa fascinazione per tutte le cucine che hanno secoli di storia alle spalle, come quella asiatica e quella francese.
Che storia c'è dietro Il Tino?
Il ristorante ha una settantina d'anni: prima era una vecchia vineria, dove si serviva il vino e il cibo si portava da casa. Poi, 20 anni fa, Massimo Salvatori l'ha impostato come un ristorante gourmet: io e Claudio Bronzi l'abbiamo preso otto anni fa, impostandolo come volevamo. Oggi Il Tino ha 24 posti a sedere e una scuola di cucina, uno strumento molto importante per avvicinarsi alla clientela: ogni settimana teniamo un corso con argomenti sempre diversi.
Come nascono le sue ricette e il menu del suo ristorante?
Cambiamo il menu ogni tre mesi. Lo spunto per una nuova ricetta arriva invece da qualsiasi cosa: da una materia prima, da un commento di un cliente, da un ricordo.
Nel suo ristorante c'è tanto 'fatto in casa': perché questa scelta?
Fare in casa permette di tenere standard molto alti e interpretare una ricetta secondo la propria filosofia. Ordinare il pane al panettiere significa servirlo al cliente 20 ore dopo la sua preparazone: il mio, con lievito naturale e farine macinate a pietra, arriva sul tavolo un'ora dopo. In generale conosco tutti gli ingredienti che metto dentro i miei piatti.
Una materia prima alla quale non riesce a rinunciare?
Il pesce azzurro: disponibile tutto l'anno, ha valori nutrizionali altissimi e viene pescato proprio di fronte a casa mia, mai allevato.
Prima la ragioneria, poi la cucina: come si combinano questi due aspetti?
La formazione da ragioniere mi ha dato una grande apertura mentale in fatto di numeri: che in cucina, benché non sembri, serve moltissimo. Iniziando a lavorare nei ristoranti, ho capito dove volevo andare grazie alle esperienze sul campo: come quella a La Terrazza dell'Eden con lo chef Enrico Derflingher, trovando nella stessa cucina anche Antonio Guida e Nino di Costanzo; stare a stretto contatto con loro mi ha dato molto. Un'altra esperienza importante è stata quella con Antonio Carlucci a Londra.
Sala e cucina, Odi et Amo: qual è il rapporto fra questi due mondi ne Il Tino?
Io e Claudio siamo soprattutto soci che hanno un progetto e un sogno comune. Quello che facciamo è strettamente correlato: lui riceve i feedback dai clienti e li riporta in cucina. Non dimentichiamoci che nei ristoranti di alta cucina si vende un'esperienza: il 50% sta nel servizio.
Uno chef che, secondo lei, rappresenta l'Italia in questo momento?
Sicuramente Niko Romito e Massimo Bottura.
Un ristorante che l'ha colpita negli ultimi tempi?
L'ultimo pranzo perfetto che ho fatto da tutti i punti di vista è stato a La Trota di Rivodutri (Rieti): hanno due stelle Michelin, cucinano solo pesce di lago, con prodotti del loro territorio e tradizione. Un altro ristorante che mi ha sempre colpito è La Madonnina del Pescatore di Moreno Cedroni, una cucina sorprendente con sostanza che cela un'idea, divertente e simpatica.