Nell’alfabeto gastronomico dell’ultimo anno, segnato in maniera significativa dal Covid, il delivery occupa senza dubbio una posizione di rilievo. Unica attività garantita ai ristoranti (assieme all’asporto) in un periodo di incertezza e di variabili regionali “a colori”, negli ultimi dodici mesi il delivery ha subìto un’accelerata incredibile. E per la prima volta, anche ristoratori e chef che in epoca pre-pandemica non avevano mai preso in considerazione la consegna a domicilio, hanno scommesso su questo tipo di servizio.
Per qualcuno - soprattutto nella prima fase dell’emergenza sanitaria - il delivery ha rappresentato un modo per stare vicino ai propri clienti e mantenere un contatto con loro, con ricavi utili a coprire, nella maggior parte dei casi, appena le spese vive. Per altri, invece, la consegna a domicilio ha rappresentato l’occasione per avviare nuovi business, lanciare progetti inediti, reinventarsi o dedicarsi ad altre attività.
Scopriamo, qui di seguito, come è evoluto il delivery a un anno dall’inizio della pandemia.
Delivery: ecco come è cresciuto il settore nell’anno del Covid
Secondo i dati relativi al 2020 forniti dall’Ufficio Studi Fipe - Federazione Italiana Pubblici Esercizi, il 32% delle aziende effettua il servizio di delivery. Tra queste, il 18% lo faceva già prima dell’emergenza, mentre il 14% lo ha introdotto durante la pandemia. Qui di seguito, uno schema riassuntivo dei dati forniti da Fipe.
Interessanti anche i dati dell’Osservatorio annuale sul mercato dell’online food delivery della piattaforma Just Eat, che fotografano lo stato dell’arte dell’intero anno. Secondo il rapporto, il 2020 ha rappresentato per il mercato un anno di svolta: il digital food delivery ha registrato una crescita significativa che lo ha portato a rappresentare tra il 20% e 25% dell’intero settore del domicilio.
Durante i mesi di lockdown, in particolare, il mercato ha visto un’importante espansione territoriale del digital food delivery, arrivando a servire il 100% delle città con più di 50 mila abitanti e il 66% degli italiani, ovvero circa 40 milioni di persone.
Il 2020, sempre secondo il rapporto annuale di Just Eat, si è chiuso con un fatturato tra i 700 e gli 800 milioni di euro, e con un trend in crescita. Insomma, ordinare a domicilio è un’azione sempre più familiare a un numero crescente di italiani.
Tra i prodotti più gettonati, nell’ordine, troviamo la pizza, l’hamburger e la cucina giapponese, che si confermano i cibi preferiti dagli italiani. In crescita nuovi trend come il gelato (che durante il confinamento ha avuto un incremento del +110%), il poke (+133%) e le specialità di pesce. Nella classifica dei trend, non mancano cucina messicana, pinsa e kebab. Tra le cucine emergenti in fatto di delivery ecco quella mediorientale, la thailandese e i panzerotti.
Le città in crescita per il consumo tramite food delivery? Just Eat segnala Rimini, Ravenna, Taranto, Brescia e Reggio Emilia. Mentre nel confronto tra Nord e Sud, emerge che nelle regioni settentrionali si mangia più giapponese (quasi il 50% in più rispetto a Roma) e che si ordina il doppio del poke, ma si registra anche una passione per le piadine e per il ristorante italiano. Nelle regioni meridionali, invece, spopola l’hamburger, il cibo più ordinato a domicilio a Napoli, assieme a dolci, pinsa, pollo e messicano.
Delivery: il bilancio degli chef a un anno dalla pandemia
Nel panorama del delivery, tante (e diverse) le posizioni di chef e patron. A un anno dall’inizio della pandemia, ecco un bilancio, con le considerazioni e le testimonianze dei protagonisti della gastronomia.
C’è chi ha sposato sin dalla prima ora il delivery, chi ha creato una linea di gastronomia a sé per il delivery, chi si è lanciato in un secondo momento, avviando attività parallele dedicate esclusivamente al delivery, ma anche chi ha rinunciato alla ristorazione stellata, chiudendo il proprio ristorante, per lanciarsi in progetti di cucina accessibile, vocata al comfort food.
Wicky Priyan, Wicky's Innovative Japanese Cuisine
Chef e patron del suo Wicky's Innovative Japanese Cuisine a Milano, Wicky Priyan, celebre maestro del sushi di origini cingalesi, è stato tra i primi esponenti del mondo fine dining a dedicarsi alla consegna a domicilio. Il suo è un “delivery di lusso”, curato, con tanto di consegna in taxi. Una lunga testimonianza, dove ci racconta come è nata l’idea di ricorrere al taxi e cosa significa mettere in piedi un’attività parallela, con tanto di e-commerce.
“Abbiamo iniziato con il delivery ormai più di un anno fa e in questo tempo abbiamo avuto modo di perfezionare sempre più questo servizio. Noi siamo stati i primi tra i ristoranti di alto livello a iniziare perché abbiamo capito subito che la pandemia avrebbe cambiato profondamente il nostro futuro. Il mio carattere e la mia filosofia culinaria mi permettono di cimentarmi in tante cose diverse. Non mi ha mai spaventato la prospettiva di cambiare: subito dopo l'esplosione del Covid-19, ci siamo dati immediatamente da fare per adattare la nostra proposta culinaria alle mutate esigenze, intraprendendo il nuovo percorso del delivery e investendo le nostre migliori energie. Sul nostro sito Internet abbiamo creato una sezione dedicata proprio al delivery: è stato come creare dal nulla una nuova azienda, una nuova idea. Siamo stati costretti a inventarci un nuovo concetto di ristorazione anche perché io non credo che il Covid si esaurirà in breve tempo. La scommessa più grande è stata quella di mantenere comunque alta la qualità del cibo e del servizio, prestiamo massima attenzione al cliente e alla spedizione. Per questo abbiamo deciso per primi di affidarci ai taxi per la consegna, stipulando un accordo con la compagnia Radiotaxi: ci hanno fornito un Pos solo ed esclusivamente per il delivery in modo che la centrale ricolleghi le chiamate che arrivano da noi. In questo modo aiutiamo anche i tassisti, che hanno subìto un calo delle corse. Con il delivery sicuramente non riusciamo a compensare i mancati incassi del ristorante, ma gli introiti che ne derivano rappresentano un piccolo aiuto per tenerlo in vita. Al momento, dunque, non si tratta di un business profittevole, ma è assolutamente mia intenzione andare avanti con questo servizio, se è vero che mi ha permesso di trovare anche dei nuovi clienti che diversamente non avrebbero mai conosciuto il mio ristorante. In questo lungo e difficile anno sicuramente è cambiato il nostro modo di lavorare e il nostro approccio psicologico. Noi stessi siamo cambiati. Anche gli orari di lavoro sono diversi: le consegne vengono effettuate dalle 12 alle 22, con l'ultima ordinazione prevista per le 21. Per il futuro si fa strada anche l'idea di aprire sempre a Milano uno o più posti fisici più piccoli dove poter fare solo ramen, bao e altri piatti semplici pensati ad hoc per l'asporto e per il delivery. La parola d'ordine, in ogni caso, è non mollare”.
Eugenio Boer, dal ristorante Bu:r al servizio Bu:r a Casa
Dalla cucina gourmet, concettuale e molto personale, alla linea di gastronomia Bu:r a Casa: ecco l’evoluzione dello chef Eugenio Boer assieme a Carlotta Perilli nei mesi di chiusura totale. Il lockdown gli ha dato l'opportunità di scommettere sul comfort food per la consegna a domicilio, ma anche di maturare la scelta di usare solo prodotti made in Italy, come ci aveva raccontato. Lo chef italo-olandese è assolutamente a favore del delivery e guarda con positività l’esperienza dell’ultimo anno.
“Il delivery è stato sicuramente un'ancora di salvezza in un momento difficile. La nostra fortuna è stata la bravura di sapersi reinventare, offrendo un’opzione che è quella della gastronomia, totalmente lontana da quella che è la nostra filosofia del ristorante: qualcosa di accessibile a tutti, sia a livello di prezzi sia di gusti. Il fatto di coinvolgere chi ordina nell’ultimare alcuni piatti a casa è un modo per permettere a chi ordina di godere dell’esperienza gastronomica al meglio, con le temperature opportune, le cotture da terminare nel momento in cui ci si siede a tavola, affinché la pietanza sia calda al punto giusto, senza vincoli di orari. La qualità del cibo, così, risulta migliore. Sicuramente, a livello economico, il delivery è stato un mezzo che ci ha permesso di restare aperti e poter accogliere i nostri clienti a pranzo (in zona gialla), mantenendo ovviamente questo progetto che ci piace e ci appassiona, anche se faticoso. In futuro ci piacerebbe molto dare una casa fisica al progetto della gastronomia, ma il mercato in questo momento non ci dà la sicurezza per affrontare. Ma c’è sempre tempo per sognare… Vedremo cosa accadrà”.
Giuseppe Iannotti, dal Krèsios all’8pus fish delivery
Giuseppe Iannotti, chef e patron del ristorante Krèsios di Telese Terme (Benevento), una stella Michelin, durante il confinamento ha sviluppato un nuovo progetto destinato a continuare anche quando riaprirà il ristorante, visto il successo. Si chiama 8pus ed è un fish delivery con consegna in tutta Italia entro 48 ore, e con un format ready to cook evoluto: arriva in box con catena del freddo, ogni singolo piatto ha il suo packaging e le sue istruzioni, con tanto di canale YouTube dedicato. Un nuovo business che ha richiesto una struttura e uno studio ad hoc.
“8pus è nato in piena pandemia, è stato studiato e messo a punto nei giorni di lockdown totale, riuscendo a realizzare un vero e proprio format di delivery focalizzato su piatti di pesce, che riuscisse ad arrivare in tutta Italia, con la formula ‘ready to cook’. Sono veri e propri piatti da assemblare a casa, corredati da istruzioni e che arrivano in pacchetti sottovuoto, separati e dentro una box che consente il rispetto della catena del freddo durante il trasporto, che avviene tramite corriere refrigerato. L’idea di un nuovo format incentrato sul pesce e sui piatti relativi era già in cantiere, già disegnato il progetto, già trovato gli spazi adatti per il locale e studiato il menu e l’offerta nel dettaglio. Necessariamente, post emergenza, si è trasformato in un progetto di delivery, che pian piano è cresciuto, declinato non solo nella formula ‘ready to eat’, ma anche in quella ‘ready to cook’, da cucinare. Oggi c’è anche un canale YouTube dedicato, dove, attraverso i video di preparazione delle ricette, l’assemblaggio, la cottura, la preparazione, i passaggi sono davvero semplificati al massimo, e si riesce così a dare al cliente la possibilità di realizzare piatti belli e buoni (almeno, così mi dicono!). Nel fish delivery di 8pus nulla è stato lasciato al caso, abbiamo studiato ogni singolo dettaglio, a cominciare dal packaging: i contenitori per il suo delivery, assieme allo studio grafico Nju sono interamente biodegradabili e compostabili, oltre che riutilizzabili per altri alimenti. Il materiale HTB utilizzato per i contenitori è un isolante termico che permette la perfetta conservazione del cibo, mentre la carta scelta è quella Bloom, che garantisce un imballaggio ecocompatibile. Abbiamo inoltre sviluppato il delivery nei minimi particolari, food cost e food service compresi: sappiamo esattamente cosa avviene in ogni singolo piatto, dal peso alle giuste proporzioni, per far sì che chiunque possa replicarlo a casa esattamente come l’avevamo pensato. Inoltre, ora che il ristorante Krèsios è chiuso (aspettiamo la riapertura tra le regioni), ognuno di noi è coinvolto nella preparazione e nella consegna delle box, così riusciamo anche a non mandare nessuna delle nostre ‘formiche’ a casa”.
Matias Perdomo, dal Contraste al delivery ROC
A Milano, ROC - Rosticceria Origine Contraste rappresenta l’ultima avventura imprenditoriale del trio stellato di Contraste, costituito da Matias Perdomo, Simon Press e Tomas Piras. Come vi abbiamo raccontato qui, i tre hanno puntato sulla diversificazione della proposta, scommettendo su altre attività aldilà del ristorante stellato. ROC è un delivery dai ritmi slow, pensato per chi ha tempo e prenota il giorno prima. I piatti vengono cucinati dalla brigata di Contraste e consegnati in giornata.
“ROC rappresenta un contatto diverso che abbiamo con il nostro pubblico: è un servizio di delivery nato per arrivare a casa della gente e rimanere nel tempo: abbiamo studiato come mettere il nostro know how stellato in una vaschetta, ci siamo concentrati sul concetto di buono, perché questa attività vuole rappresentare un’alternativa di qualità al solito delivery last minute. Ora, penso già a quelle che potrebbero essere le evoluzioni e gli sviluppi futuri di ROC. Per esempio, il servizio potrebbe entrare nelle mense, oppure in progetti di aziende che puntano sulla ristorazione di qualità; sarebbe bello pensare a ROC anche negli aeroporti e negli asili nido. Il nostro obiettivo è portare della qualità nella gente e per la gente. Certamente, io non desidero che la gente stia chiusa in casa e si affidi solo al delivery, voglio che esca e vada al ristorante quando è consentito dalla curva epidemiologica: il mio intento è che ROC abbia una vita parallela rispetto all’attività del ristorante. Il suo punto di forza è la facilità e la velocità con cui si ottengono piatti caldi, preparati con prodotti selezionati: le vaschette si rigenerano in 10 minuti in forno, non si sporca nulla e si mangia come se la pietanza fosse stata appena preparata. Abbiamo studiato il servizio in ogni dettaglio, ogni due mesi cambiamo i piatti, e il menu è componibile, non c’è una dittatura del gusto: puoi prendere l’agnello e lo puoi accompagnare come vuoi, lo finisci te, è questo è un richiamo molto “contrastiano”, perché lascia la libertà di costruirsi il proprio menu attraverso il delivery, così come al ristorante componiamo il percorso assieme all’ospite”.
Roy Caceres e il nuovo progetto di Carnal a Roma
Roy Caceres, chef di origini colombiane, dopo la chiusura forzata per Covid a marzo 2020 non ha mai più riaperto il suo Metamorfosi, ristorante stellato che ha arricchito il firmamento romano per dieci anni. Nel frattempo, però, ha trasformato Carnal, format parallelo di cucina latina pop cui stava lavorando assieme ai soci Riccardo Paglia e Andrea Racobaldo, in un delivery di successo.
“Quest’anno di Covid ci ha fatto capire che le cose cambiano molto velocemente: la gente si è molto abituata al delivery, e secondo me, anche quando si regolarizzerà la situazione, l’attività di consegna a domicilio rimarrà, e continuerà a rappresentare un'opportunità di business non indifferente. Il ristorante stellato mi manca, certo, ricordo con piacere quei servizi duri, quando si lavorava tanto con l’adrenalina, e non vedo l’ora di tornare a vivere quei momenti. Con la pandemia, però, ho capito che ci deve essere molta più flessibilità da parte nostra: se prima facevamo fatica a uscire dai cliché del fine dining e dello stellato, ora puntiamo al delivery. A novembre 2019, quando abbiamo pensato il progetto Carnal, avviato con un soft opening, non avremmo mai immaginato di dedicarci quasi esclusivamente al delivery o di essere aperti solo a pranzo, ma ci siamo adattati. Ecco, credo che la flessibilità ci darà l’opportunità di vincere e uscire da questa difficile situazione, perché questo mettersi di nuovo in discussione e vedere tutto senza tanti paletti è l’unica cosa che ci ha permesso di rimanere a galla: sono tornato a fare quello che facevo quindici anni fa, in alternativa me ne stavo a casa, ma non volevo questo. In genere, se prendo una strada faccio di tutto per portarla a termine, e Carnal era figlio mio e dei miei soci, volevo salvare l’idea di una cucina pop-latina contaminata da grandi prodotti italiani, tra tacos e ceviche. La pandemia ci ha fatto concepire, oltre al delivery ready to eat nella città di Roma, una serie di box tematiche che arrivano in tutta Italia. Dopo aver lanciato la prima Box Barbecue in occasione del primo maggio 2020, visto il successo, abbiamo iniziato quest'avventura. Non escludo, tuttavia, di non dedicarmi solo a un format di questo tipo: sto già lavorando a un nuovo progetto nella Capitale, l’idea è quella di creare un altro ristorante dove l’alta cucina si liberi di vecchi orpelli inutili, scommettendo sull’esperienza gastronomica in un ambiente nuovo e dinamico”.