La figura dello chef de cave è una delle più affascinanti nel mondo del vino.
Ma come si arriva a diventare i creatori degli champagne migliori del mondo? L'abbiamo chiesto a Denis Bunner, adjoint chef de cave - ovvero vice - di Gilles Descôtes, chef de cave a Bollinger, una delle più celebri maison di champagne, fondata nel 1829.
Bunner ha un curriculum impressionante, che comprende una laurea in ingegneria, la scuola di enologia, la business school ed esperienze lavorative da Nespresso e al CIVC, ma un approccio sorprendentemente umile, al punto da fargli dire che l'esperienza - quella della gente che ha lavorato in vigna tutta la vita - è più importante di qualsiasi studio. Il suo modo di parlare dello champagne è un affascinante misto di poesia, tecnicismo e visione di marketing. "La storia dello champagne è sempre stata legata ai re. Il vino è diventato simbolo di celebrazione, ma anche di eccellenza e artigianato" ci racconta "In un certo senso, possiamo dire che lo champagne si è costruito una storia per il product placement".
Gli abbiamo fatto qualche domanda per capire meglio il suo lavoro.
Come è cominciata la sua passione per il vino?
I miei genitori erano wine growers, vendevano le uve alle cooperative. Eravamo sempre in vigna - saremmo andati in vacanza massimo tre volte in tutta la mia infanzia - e lì ho sviluppato una sensibilità per le piante e per l'ecosistema in generale, una felicità nello stare nella natura. Ho deciso che volevo diventare enologo e produrre il vino, non solo l'uva.
Un background come il suo è necessario per lavorare in cantina?
Sicuramente ha aiutato. I miei studi erano focalizzati su innovazione e svilluppo. In Champagne abbiamo fama di tradizionalisti, ma ogni volta che c'è una novità nello stile o nella tecnica la applichiamo. Se possiamo migliorare e sperimentare lo facciam sempre.
Quanto spesso è in viaggio?
La filosofia a Bollinger, a differenza di altre maison, è che il sommelier vada "sul mercato" solo per special talks o eventi particolari. Il nostro lavoro si svolge in cantina e lì dobbiamo stare. Quest'anno però stiamo puntando molto sulle masterclass per esperti, dove ad esempio proponiamo vin clair e non vini in commercio.
In cosa consiste il vostro lavoro quotidiano?
Io e lo chef de cave facciamo le stesse cose, ma lui ha responsabilità. Sotto di noi ci sono il vineyard manager, il cellar manager, il production manager e il labeling manager, tanti ruoli differenti, per un totale di 90 persone.
Chef de cave si nasce o si diventa?
È una media tra il tuo potenziale e la quantità di lavoro che sei disposto a fare. E poi devi essere mentalmente aperto, viaggiare all'estero, visitare diverse regioni vinicole. Una delle caratteristiche delle maison è avere tanta storia alle spalle, spesso sono focalizzati su una sola identità e un solo stile: noi siamo la generazione che deve portare idee fresche.
Quanto è talento è quanto è studio?
Faccio un esempio. Gli addetti al dégorgement devono annusare ogni bottiglia per scovare eventuali off flavours. Ogni anno li addestro a individuare gli errori: alcuni sono oggettivamente bravi, altri meno. Direi che il 70% è allenamento e il 30% talento.
Lei è nato in Alsazia. Perché ha scelto la Champagne?
Qui c'è un'atmosfera di condivisione diversa con un grande scambio di pratiche, hanno capito subito che l'unione fa la forza. È una cosa unica al mondo e ne volevo far parte. Ora il successo e i soldi hanno ovviamente cambiato un po' le cose, però alcuni valori sono ancora molto importanti. Speriamo che la finanza e il marketing non prendano mai il controllo.
Quali sono le nuove idee?
Ora il focus principale delle maison è il legame tra la vigna e il vino: più pratiche biologiche e meno chimica, inserirsi nel contesto del cambiamento climatico e da lì guardare al futuro. Stiamo anche sviluppando molto la viticoltura di precisione per adattare le tecniche al suolo, ogni ettaro trattato in modo diverso dall'altro, cercando la maturazione perfetta delle uve.