La biodiversità è uno dei concetti più aleatori del nostro tempo. Tutti sappiamo cosa fa la biodiversità - la biodiversità si perde, la biodiversità viene dimenticata o valorizzata, la biodiversità scompare. Ma di cosa parliamo esattamente quando parliamo di biodiversità? Parlare in questo caso è un concetto fondamentale. Diversi studi hanno dimostrato che esiste una fortissima correlazione tra la biodiversità genetica e quella linguistica. Una ricerca del 2012 pubblicata sul journal Proceedings of the National Academy of Sciences, ad esempio, ha inviduato 40 aree che - pur essendo solo il 24% della superficie terrestre - ospitano più della metà delle piante e perfino delle specie animali. Ebbene, queste aree (localizzate prevalentemente nel Sud Est Asiatico, in Sud e Centro America, in Africa) ospitano il 70% delle 6900 lingue parlate sul nostro pianeta.
IL SIGNIFICATO DI BIODIVERSITÀ TRA PAROLE E CIBO
Ci sono diverse ipotesi sul perché di questa connessione tra lingua e piante, parole e cibo. Forse perché vivere in queste aree, ricche di risorse, faceva sì che i gruppi umani potessero vivere separati senza necessità di comunicazione; forse perché sono le zone che hanno subito più in ritardo la colonizzazione europea, a causa delle peculiarità di clima e conformazione morfologica, come nel caso della Papua Nuova Guinea. Quello che è certo è che ora entrambe sono in pericolo.
Il declino della biodiversità linguistica è veloce quanto quello della biodiversità genetica - circa il 30% dagli anni Settanta: senza annichilirvi con altre cifre, vi basti sapere che la popolazione mondiale sta iniziando a parlare le stesse lingue proprio come inizia a mangiare le stesse cose. Secondo le statistiche Fao sono 1000 le specie alimentari coinvolte nel cambio climatico, uno dei responsabili (ma non l'unico) della diminuzione della biodiversità nel nostro pianeta, per il totale di una scomparsa del 60% delle calorie di origine vegetale nel mondo. Ormai il 60% delle nostre calorie viene da 4 colture, tra cui grano, riso, mais e patata.
INDIGENOUS TERRA MADRE
Di biodiversità si è parlato a Indigenous Terra Madre: tra i relatori che si sono succeduti sul palco c'era Stefano Padulosi dell'istituto di ricerca internazionale Bioversity International. Padulosi ha passato diversi anni in Africa per fare quella che viene chiamata raccolta della biodiversità ex situ. In tutto il mondo squadre di ricerca si occupano di portare i semi fuori dal territorio di origine per conservarli nelle banche di germoplasma, dove si stoccano adeguate quantità di specie alimentari. Luoghi di preservazione della varietà biologica che - prospettiva tanto affascinante quanto terrificante - sarebbero necessari anche nell'eventualità di una catastrofe biologica, come una sorta di blackbox, ma soprattutto come riserva genetica per combattere malattie epidemie e stress abiotico.
Di queste banche dei semi ne esistono 1750 in tutto il mondo: l'ultima creata si trova alle Isole Svalbard, il punto abitato più a Nord d'Europa, scelto per la possibilità di sfruttare la temperatura del permafrost senza utilizzare elettricità. È facile stupirsi davanti a questi livelli di tecnologia e specializzazione, ma Padulosi ci tiene a fare i necessari distinguo. "Il problema è che ci sono solo campioni sulle colture di base, con molti cereali e poca frutta e poca verdura".
Diventa quindi necessaria anche la cosiddetta conservazione in situ. "La conservazione on farm è importante per la popolazione locale, per tutta la potenza identitaria che il cibo porta con sé" continua Padulosi "Ma anche perché favorisce meglio l'adattamento dei semi al cambiamento climatico o all'invasione di eventuali parassiti". A differenza del primo tipo di conservazione, però, questa riceve meno sostegno governativo e si affida molto all'attività delle singole associazioni, che si occupano di trovare pratiche rigenerative e di sollevare - almeno in parte - il peso della custodia della biodiversità dalle spalle dei contadini.
Quando si parla della conservazione della biodiversità Stefano Padulosi usa una metafora di carattere finanziario: "È come andare in banca e farsi suggerire di diversificare il portafoglio degli investimenti. L'abbiamo imparato in Irlanda con la Potato Famine". L'agrobiodiversità aumenta la resilienza al cambiamento, che siano malattie, parassiti o aumento della temperatura.
BIODIVERSITÀ IN INDIA, PERDITA E CONSERVAZIONE
C'è poi la questione della salute. Per fare un esempio all'India, il citrus indica, che è in pericolo, viene utilizzato (pasta delle foglie e succo di frutta) in India come un antidoto ai morsi di serpente e a. In quest'ottica diventano fondamentali anche azioni apparentemente semplici, come documentare le varietà locali di piante medicinali o fiori selvatici.
In uno dei villaggi indiani che abbiamo visitato, Pyrda (300 abitanti, raggiungibile solo a piedi con due ore di cammino), i bambini avevano una ruota delle stagioni sempre in aula, su cui disegnare le piante del loro villaggio e tradurle in tre lingue - hindi, inglese, e il dialetto locale. Se biodiversità linguistica e genetica si influenzano, conservare la prima può aiutare a conservare la seconda: le lingue locali contengono conoscenze fondamentali sui terreni e sulle proprietà delle piante, un patrimonio di conoscenze tradizionali di cui gli etnobiologi riconoscono la crescente importanza.
"Ora serpeggia una sensibilità maggiore - vedi le attività di salvaguardia di Slow Food contro la coltivazioni estensive e la meccanizzazione spinta. Con il mio team di lavoro abbiamo lavorato con il Parlamento Indiano per una diversa legge sulla Sicurezza Alimentare, che dia sussidi anche ai contadini che coltivano grani minori. Ma anche voi dovete fare qualcosa, partendo dalla vostra spesa". E anche andare al supermercato diventa un atto agricolo con cui valorizzare aree marginalizzate e coltivazioni dimenticate. Diversificando il nostro carrello diversifichiamo un po' anche il pianeta.
Da una quindicina di anni la quinoa ha avuto un boom, creando un nuovo - nella maggior parte dei casi virtuoso - circuito economico in Sud America. Eppure non è l'unico cereale andino da riscoprire: esistono anche l'amaranto e la canihua, ad esempio. Oppure il Bambara Groundnut, un legume che cresce solo nelle zone aride dell'Africa e ha il sapore di cioccolato, o - per citare nomi più conosciuti - il lupino e il fonio.