Era il nome della nonna materna, oggi è l'insegna dello chef bresciano Alberto Gipponi. Retrò e contemporaneo, elegante e informale allo stesso tempo, il ristorante riproduce una casa dove ogni stanza ha un'anima. Da ex chitarrista e allievo di Massimo Bottura, lo chef porta in tavola la sua personalità decisa e fuori dagli schemi, per un'esperienza di gusto che non si dimentica facilmente.
A pochi mesi dall'apertura Dina, lo chef e la sua giovane brigata si sono guadagnati il riconoscimento di “Novità dell’anno” da parte della guida I Ristoranti d’Italia 2019 de L’Espresso.
DINA | IL LOCALE
Sembra di entrare nelle - accoglienti - case di una volta, eppure l'attenzione è subita catturata da dettagli di design, come una scritta bianca al neon, firmata dall’artista britannico Jonathan Monk, che recita “Until then in not before” (Fino ad allora se non prima).
Le suggestioni cambiano passo dopo passo. C'è la “stanza di decompressione”, caratterizzata dai colori – nero, rosso e bianco - dell’alchimia, l’arte per lo chef più vicina alla cucina. Si entra in “cantina”, la parte più classica del locale: volta a botte con pietre di fiume e arredi anni ‘40 e ‘50 selezionati dallo chef l'aiuto di un amico rigattiere per 18 coperti illuminati in modo soffuso da lampade Flos di Gino Sarfatti (1957) e dalle più piccole “Bon Jour” di Philippe Stark. Infine si sale in “veranda”, una stanza che sa di casa, con soli due tavoli e alle pareti una tappezzeria a righe color argento.
Foto Chiara Cadeddu
Per completare il percorso, c'è la “stanza della noia e dell’attesa”, un ‘non luogo’ dove si ci si può intrattenere e rilassare, e il “laboratorio”, dove lo chef esprime sé stesso in totale libertà. Legno, marmi, antichità e design, posate martellate e servizi antichi di piatti Richiard Ginori si alternano in una dissonanza che non crea disordine ma vitalità. Ovunque ritornano le opere d’arte della Galleria Massimo Minini di Brescia. La curiosità dello spettatore è continuamente stimolata dai dettagli.
DINA | IL MENU
Da dentro al sacchetto, casoncello crudo ma cotto
“Dina non è per tutti e non tutti sono per Dina”. Il menu di Dina è irriverente, come la personalità dello chef. Nei piatti si mischiano le esperienze personali di Gipponi e tutto ciò che lo appassiona, dalla sociologia all'antropologia, dalla storia alla medicina. Ogni piatto è un racconto. La sua cucina è concettuale, ma arriva immediata al palato con gusti netti.
Due i menu degustazione: "Fatto è meglio di perfetto" per chi deve ancora prendere confidenza con la cucina di Dina e "Stay foolish, not hungry" più articolato, creativo e affidato all’estro del momento.
I nomi dei piatti sono giocosi e criptici, difficile capire cosa arriverà a tavola. L'ospite può chiedere informazioni o lasciarsi sorprendere. Tra i piatti che sono già diventati un "must have" c'è "Da dentro il sacchetto, casoncello crudo ma cotto", cioè un classico casoncello bresciano che viene presentato nel sacchetto di carta scura del pane, apparentemente infarinato, ma in realtà cotto con una particolarissima tecnica. Oppure "Ne mangerei un bidet!", casoncelli tradizionali - ma questa volta in una nuova chiave estetica - con crema di Parmigiano 43 mesi e polvere di salvia.
Elogio alle tradizioni anche con il "brodo di casa", brodo di verdure torbido molto saporito, volutamente non chiarificato, accogliente nella sua imperfezione.
Tra i dolci, i più temerari potranno scegliere quello a base di verdura dai forti contrasti: "Spuma di cavolfiore e vaniglia, crumble al cioccolato salato, gelato al miele di corbezzolo, limone amaro" creato dal sous chef Gian Nicola Mula.
Cosa: Dina
Dove: via Via S. Croce, 1 - Gussago (BS)
Info: Sito