Sommelier professionista, Elisa Forlanelli è anche maître del ristorante Feel di Como, che gestisce con il marito, lo chef Federico Beretta. Qui consiglia etichette locali da affiancare ai piatti del territorio della cucina, tra pesce d'acqua dolce ed erbe spontanee di montagna.
Noi l'abbiamo intervistata per domandarle quando è iniziata la sua carriera nel mondo del vino, come si mangia e si beve al Feel di Como. Ecco l'intervista di Fine Dining Lovers ad Elisa Forlanelli.
Come ha iniziato ad occuparsi di vino?
La mia è una (giovane) carriera che potrei definire da autodidatta. Ho una formazione professionale completamente diversa: ho conseguito a pieni voti la laurea magistrale in Architettura presso il Politecnico di Milano. Sono però nata e cresciuta in Friuli Venezia Giulia, una terra ricca di tradizioni autentiche, legate profondamente alle economie agricole. Per cultura il mondo del vino fa parte delle mie radici. Prima di aprire il ristorante insieme a mio marito, non avevo mai approfondito studi inerenti questo meraviglioso mondo, ho così frequentato i corsi professionali dell’associazione AIS e nel 2017 ho conseguito il titolo di Sommelier.
In così poco tempo è però arrivata ad occuparsi della cantina, selezionando anche etichette di nicchia...
L’inizio dell’attività è stata piuttosto dura, poiché non ero capace di accompagnare in modo professionale mio marito e ne soffrivo, lo sostenevo molto nel nostro nuovo lavoro ma non come avrei voluto. Il mio obiettivo era perciò di riuscire ad imparare tre passi alla volta. Stavo frequentando i corsi ma la mia necessità era immediata, così ho cominciato ad osservare ed ascoltare con estrema attenzione i veri attori del mondo del vino: sono state fondamentali le numerose visite dirette ai produttori nelle loro cantine e l’osservazione del lavoro di sala condotto dai colleghi degli importanti ristoranti che frequentiamo regolarmente. Oggi, con poco più di cinque anni totali di esperienza, posso dire che colleghi e clienti mi riconoscono il lavoro fatto per arrivare a sentirmi una solida padrona di casa, con alle spalle una cantina di circa 300 etichette che ho scelto personalmente. Mi piace condurre con estrema sobrietà il mio lavoro, accogliere i nostri ospiti e farli sentire a proprio agio è per me la missione più importante. E poi, sentendomi in un certo senso ancora alle prime armi per quanto riguarda il mondo della sommellerie, c'è una grande voglia di crescere.
Se dovesse fare il nome di un professionista del settore che è per lei un riferimento, quale farebbe?
A poter scegliere oggi il maestro dei miei sogni, affiancherei con immenso piacere Giuseppe Vaccarini, che ho avuto l’onore di conoscere nel ruolo di docente durante un corso di Coffee Sommelier in Svizzera. Farei carte false anche per poter seguire il grande Lupetti, che purtroppo non ho ancora conosciuto di persona.
Quando e come nasce il ristorante Feel a Como?
Feel nasce da un'idea mia e di Federico Beretta, mio marito e chef del ristorante, nel 2013. Avevamo voglia di realizzare un progetto insieme che fosse speciale e che ci potesse rappresentare entrambi: lui, cuoco in cerca di una strada per esprimere le sue idee, ed io, desiderosa di vedere mio marito realizzato e di ritrovare entusiasmo in un progetto, dopo che la mia carriera da architetto non aveva ancora preso la piega desiderata, perlomeno per quanto riguarda la sfera emotiva. Abbiamo aperto nell'aprile 2014 e quotidianamente raccontiamo il territorio di Como con le sue acque dolci e montagne.
Non solo vini: lei si occupa anche della sala del ristorante. Che atmosfera respirano gli ospiti del ristorante?
La sala è per me il luogo dove deve avvenire una magia: i sapori, i suoni, i profumi ed il comfort dell’ospite devono andare d’accordo con le emozioni. Adoro le serate in cui questo equilibrio viene completamente rispettato, lavoro felice. Le discrete chiacchiere tra gli ospiti, la musica delicata in sottofondo, se la stagione lo concede le fiamme del caminetto ad accompagnare l’atmosfera. Ancora i “miei” ragazzi in sala che lavorano con cordialità e precisione, tanti bicchieri sui tavoli per esaltare le pietanze che prepara lo chef: la mia serata ideale. I nostri ospiti ci scelgono per portarsi a casa una esperienza speciale, voglio pertanto seguirli dall’accoglienza fino ai saluti finali. Durante la cena mi piace raccontare loro la storia che è nascosta in ogni piatto o in ogni percorso degustazione, così come mi piace menzionare la passione che muove le persone e le famiglie che stanno dietro ad un calice di vino. Vogliamo accompagnare i nostri ospiti con eleganza ma anche con calore, devono sentirsi i benvenuti quando sia affidano a noi.
Cosa caratterizza invece il menu dello chef Federico Beretta?
Posso affermare con tranquillità che i menù di chef Beretta sono autentici. La sua cucina vuole porsi come racconto del territorio in cui risediamo, composto da acque dolci e da montagne. I piatti che compone nascono dalla sua sensibilità, sono il suo modo di vedere questi luoghi. Ai nostri tavoli si può degustare esclusivamente il pesce che proviene dalle acque interne, di lago e di fiume, e le carni sono scelte tra quelle caratterizzanti la fauna selvatica del contesto alpino in cui siamo immersi. Ogni piatto intreccia connessioni con i rilievi che ci circondano, soprattutto grazie alle erbe selvatiche, alle bacche, alle essenze arboree che raccogliamo e utilizziamo. Ama portare in un elegante ristorante del centro città tutta la natura che ci circonda. Capita spesso di rispondere al telefono delle prenotazioni mentre siamo arrampicati da qualche parte per raccogliere un’erba, con le mani sporche di terra e sorridiamo perchè probabilmente dall’altro lato del telefono ci immagineranno al nostro back office oppure in cucina.
Torniamo a lei: come sceglie un buon vino?
Accompagnare dei menu che spesso affrontano toni amari, aciduli o intensi non è esattamente un mestiere semplice. Ciò che però mi preme quando scelgo o suggerisco un vino è mantenere intatta l’idea di gusto che lo chef ha in mente. Insomma, se il percorso prevede una portata che esprime toni amari il mio compito è quello di esaltare il piatto, non di cambiarne la percezione gustativa. Con affine sensibilità compositiva, cerco armonia con il racconto a cui sto aggiungendo qualcosa. Da sottolineare poi che la nostra carta è pressochè tutta locale. Il ventaglio di etichette che propongo ai nostro ospiti è abbastanza versatile: ci sono etichette un po’ più note e altre di nicchia, vini tradizionali e vini naturali o prodotti con le più svariate tecniche. Ciò che anima le mie scelte resta comunque il mio desiderio che in tavola il protagonista assoluto non sia il vino, bensì la cucina.
Sommelier, una professione sempre più al femminile?
Lo spero vivamente, poichè mi capita tuttora di percepire titubanza quando a consigliare un vino sono io e non uno dei miei collaboratori uomini. Credo semplicemente che un buon sommelier debba dimostrare sensibilità e curiosità, a prescindere dal sesso o dall’età. Ed avere un rapporto di intesa con lo chef.
Quali sono i vini che preferisce?
Prediligo gli spumanti, rigorosamente non dosati e magari con una buona percentuale di Pinot Nero. Se poi ci aggiungiamo qualche annetto di affinamento sui lieviti, bevo ancor più felice. Mi piacciono i bianchi che portano nel bicchiere complessità aromatica, poco floreali e con più acidità. Ho trovato delle etichette prodotte nelle Alpi che mi stupiscono per mineralità ed complessità, unite a una grande persistenza gustativa.
Quale consiglio darebbe ad un giovane che vuole intraprendere il suo percorso?
Di apprendere con estrema precisione le basi classiche della professione e di fare un po’ di gavetta, con umiltà, senza avere troppa fretta. Consiglierei di ascoltare con attenzione le descrizioni di quei clienti o conoscenti che hanno bevuto bottiglie incredibili nella loro vita, ma di cominciare a bere i vini della tradizione per poter avere una visione a tutto tondo. Consiglierei di non dimenticare mai di mettere a proprio agio il cliente, soprattutto se inesperto. Consiglierei poi di concentrarsi solo sul gusto, di uscire dagli stereotipi e di lasciarsi trasportare dalla personalità dello chef. Ancora gli direi di ricordarsi che il vino deve essere abbordabile per tutte le tasche, perlomeno io la penso così: è nostro compito offrire all’ospite una carta dei vini che permetta di bere in modo eccellente anche con spese contenute.