Lo scorso novembre, alla presentazione della Guida Michelin 2014, il suo è stato uno dei nomi più acclamati: lo chef Enrico Bartolini, del ristorante Devero, conquista la seconda stella Michelin. Un prestigioso riconoscimento per il lavoro dello chef di origini toscane ma ormai lombardo d'adozione.
Classe 1979, nonostante la giovane età Bartolini ha collezionato molte esperienze: in Italia, nella cucina di Massimiliano Alajmo, così come all'estero con Mark Page a Londra, e a Parigi in qualità di sous chef di Paolo Petrini. Quindi il ritorno in Italia e un lavoro al Devero, dal 2010, che lui chiama "Be Contemporary Classic": proporre una cucina equilibrata, personale e al contempo votata all'innovazione.
Dal risultato appena raggiunto al futuro della cucina italiana, ecco cosa lo chef ha raccontato a Fine Dining Lovers.
Si aspettava di ricevere la seconda stella Michelin?
C'era la possibilità che arrivasse: negli ultimi anni abbiamo lavorato bene e iniziava a chiedere un riconoscimento più alto. È stata comunque una grande sorpresa ricevere la seconda stella: quando ci hanno chiamato, qualche giorno prima della presentazione, della guida sospettavamo qualcosa. La sorpresa più grande, però, è stato trovare la giacca con le due stelle cucite sopra: una grande emozione, a queste cose non ci si abitua mai.
Quanta importanza hanno le guide per uno chef e un ristorante?
Le guide hanno la loro importanza: noi chef abbiamo bisogno di essere raccontati. Una guida è una grande miniera di informazioni e uno strumento importantissimo per i clienti. C'è poi il tam tam mediatico: i riconoscimenti altisonanti aiutano a farsi conoscere al grande pubblico. Il mese di novembre, per esempio, è stato sorprendente per noi: abbiamo avuto molti clienti, e sicuramente in parte è dovuto alla curiosità e a tutto quello che hanno scritto i giornali.
Come descriverebbe la sua cucina stellata a chi non la conosce?
Potrei dire, come fanno in molti, che la base sono le materie prime e che cerco di trasformarle nel miglior modo possibile, ma credo sia più importante dire che in cucina deve esserci personalità. Bisogna accentuare il sapore delle cose: al Devero cerco di esprimere al meglio la mia personalità anche con le frattaglie, del pesce saporito - meglio se azzurro - o molluschi.
Come nascono le sue ricette?
In generale dalle idee che coltivo, anche se ogni ricetta nasce in maniera diversa: spesso nascono da una conversazione con i miei collaboratori o da un ingrediente che ispira un'idea precisa; altre volte, invece, ci si mette a tavolino. Ogni piatto si pensa e si studia in un modo particolare.
Ha lavorato a stretto contatto con Massimiliano Alajmo: ha un ricordo particolare di quel periodo?
Ricordo soprattutto la dedizione e la disciplina ferrea in cucina. Quando ero nella sua cucina ero molto giovane: con il senno di poi avrei voluto approfittare di più di quella esperienza.
Com'è cambiata la cucina italiana negli ultimi anni?
Da quando ho iniziato è cambiata molto, prendendo direzioni diverse: ricordo per esempio che quando ero davvero giovane un cuoco di rilievo mi raccontò che per avere successo bisognava mascherare i sapori. Adesso si lavora esattamente nella direzione opposta: si da più rilievo alla trasparenza degli ingredienti nel piatto, si cerca di far riconoscere ogni singolo sapore.
Quindi quale sarà il futuro della cucina italiana?
Di sicuro l'innovazione: il rinnovamento è un percorso che richiede tempo, perché la concretezza e le grandi cose si dimostrano solo con il passare degli anni. Io non mi sento un innovatore, ma cerco di dare dei suggerimenti e di fare sempre qualcosa di nuovo rispetto all'anno precedente. La cucina delle nonne e quella regionale resterà sempre alla base, ma così come cambia la società e le mode, anche la cucina deve aggiornarsi.
Qual è, secondo lei, lo chef che in questo momento rappresenta meglio la cucina italiana?
In Italia si mangia bene ovunque, anche se in Lombardia è maggiore la concentrazione di ristoranti di altissimo livello. Penso, però, anche a realtà come quella siciliana che è davvero notevole: mi vengono in mente nomi come Pino Cuttaia, Ciccio Sultano o Vincenzo Candiano.
Il locale più innovativo che ha visitato di recente?
Mi trovo bene in ristoranti come Uliassi o l'Osteria Perillà: una struttura dell'anno 1000 con uno chef molto bravo, che porta avanti toscanità e creatività.