Attenzione per la materia prima, il pescato di mare soprattutto, contaminazioni orientali e tanta passione per la clientela, che va sempre accontentata. Fabrizio Ferrari, classe 1980, è lo chef de Al Porticciolo 84, ristorante di famiglia che gestisce fin dal 2004. Da allora una stella Michelin (2006), l'entrata nei Jeune Restaurateurs d'Europe e una cucina che non ha rinunciato saggiamente ai classici, ma che riesce a soddisfare anche i palati più esigenti con piatti di crudo e spezie o salse e pesce azzurro.
Una vena creativa coltivata grazie alle diverse esperienze all'estero, come quella al Noma di René Redzepi, per anni ai vertici della classifica World's 50 Best Restaurants, dove ha capito come sia importante la sperimentazione, soprattutto quella che si basa sulle caratteristiche del prodotto e sulla sua manipolazione naturale.
Si descriva in tre parole.
Testardo, perfezionista (troppo) e passionale.
Che tipo di cucina si trova nel suo ristorante?
Una cucina che predilige il pesce di mare, cucinato in modo creativo senza rinunciare anche ai metodi classici; nel menu si trovano piatti ricercati e altri più vicini al comfort food. Cerco di accontentare tutti quelli che entrano nel mio ristorante; la cosa infatti più importante che ho imparato negli ultimi due anni è che bisogna ricercare la felicità delle persone, sempre, a prescindere dalla voglia di far risaltare la tua creatività. Chi arriva nel tuo locale deve stare a proprio agio.
Da dove nasce l'ispirazione per le sue ricette?
Creo le mie ricetta in maniera abbastanza inusuale. Spesso parto con l'idea di una salsa o di una polvere, il giorno dopo ancora mi viene in mente un altro tassello e solo dopo, passato un po' di tempo, trovo improvvisamente l'ispirazione e unisco elementi singoli e capisco come farli stare bene insieme.
Uno stage da René Redzepi: cosa ha imparato in uno dei migliori ristoranti al mondo?
Dimenticare la fatica e andare sempre avanti, rischiando di stare in piedi fino all'ultimo. La mole di lavoro in quella cucina è incredibile; per ogni ordinazione si fa tutto da capo di nuovo. Un'altra cosa che mi ha colpito durante la mia esperienza nella cucina del Noma è la sperimentazione, più che per le ricette o gli assemblaggi, quella sul prodotto e sui diversi sapori che può assumere una stessa materia prima, con metodi come la fermentazione o l'essiccazione. La cosa più interessante per me è capire come cambia lo stato del cibo e conseguentemente i sapori. Questo diventa interessante anche per i clienti: quando si è abituati a mangiare un cibo lo si associa subito ad un sapore e ad una consistenza. Mangiare la stessa cosa e trovarsi di fronte ad un gusto del tutto inaspettato è un mancato clic del cervello, che spiazza e diverte. Mi piace molto di più della cucina tecno-emozionale, che cambia lo stato dei prodotti in modo tecnico; preferisco lasciare che sia la natura a manipolare il cibo.
Ci sono degli elementi stranieri che le piace inserire nei suoi piatti?
Adoro ogni tipo di declinazione della cucina asiatica. Mi piace molto per il grande uso di spezie che fanno, riescono a creare dei profumi e degli impatti in bocca che rimangono nella memoria. La cucina italiana ha anche un grande impatto, ma si basa sul gusto del pomodoro e sulle proteine; gli orientali, invece, creano esplosioni gastronomiche diverse, basate sul piccante per esempio.
Cucina di mare vicino ad un lago: non è strano?
I miei genitori, quando fondarono nel 1984 il ristorante, scelsero di proporre cucina di mare; all'epoca era una rarità nella zona. Negli anni si è creato una certa fama e quando nel 2004 sono subentrato ho scoperto che mi divertiva moltissimo cucinare il pesce; la varietà di consistenze o di sapori, forme, colori e profumi che ti da il mare, non te li da nessuno, neanche il lago. Ti da un ventaglio di possibilità infinite sui cui lavorare.
Qual è il pescato che preferisce?
Mi piacciono molto le palamite, che fanno parte della famiglia del pesce azzurro: hanno una carne gustosa e burrosa che mi fa impazzire. Anche la capasanta è uno dei miei pesci preferiti, però quella che arriva dalla Scandinavia.
A quali materie prime non riuscirebbe mai a rinunciare?
Spezie assolutamente, ne sono innamorato e sono presenti in tutte i miei piatti; ho una vera e propria collezione di spezie, quasi una biblioteca. Sono l'asse portante, insieme al pesce, dei crudi che presento al ristorante.
Quali sono i suoi prossimi obiettivi?
Mi piacerebbe collaborare con altri chef o altre strutture all'estero magari in una grande capitale europea. Ecco mi piacerebbe riuscire a tenere in piedi in parallelo ad Al Porticciolo 84 un progetto estero. Ho una grande voglia di misurarmi anche fuori dall'Italia, con dei clienti diversi, con un'altra cultura e vedere l'effetto che fa.
Lo chef italiano che rappresenta secondo lei oggi la cucina italiana.
Mauro Uliassi e tutto il team di Uliassi, con cui un giorno mi piacerebbe collaborare.
Il locale più innovativo che ha visitato di recente?
Al Mercato Noodle Bar di Beniamino Nespor ed Eugenio Roncoroni; hanno proposto un modello momofuku divertente a Milano, che ha molto successo all'estero, e hanno creato un ambiente alternativo rispetto a quelli dei soliti locali italiani, attirando una clientela giovane.
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