La pizza, forse, è stata la vera star del lockdown. I mesi di quarantena hanno visto fiorire gli esperimenti degli italiani in tema di lievitati, sui social e nelle cucine di tante case. Dopo avere condiviso con voi la ricetta dell'impasto della pizza dei grandi maestri, vi abbiamo raccontato la battaglia dei pizzaioli campani per potere effettuare la consegna a domicilio durante la quarantena, oltre ai migliori delivery di pizza in tutto il Paese.
Ma come sta vivendo la Fase 2, con la sua evoluzione, il mondo della pizza? Facciamo il punto qui di seguito, tra scenari futuri, riorganizzazioni e nuovi modelli di business.
Franco Pepe e “Il patto d’alleanza” con i clienti
“Non riparto subito, ho deciso di riaprire a giugno”, afferma Franco Pepe, patron di Pepe in Grani a Caiazzo, un borgo in provincia di Caserta dove è riuscito a far arrivare gente da tutto il mondo, disposta ad affrontare lunghi viaggi pur di assaggiare la sua pizza. Qui, durante il lockdown, il forno non si è mai spento. “Non ho fatto il delivery, ma mi sono dedicato alla sperimentazione e alla beneficenza”, racconta il pizzaiolo, tra i primi ad essersi attivato sul fronte della solidarietà, per portare da mangiare ai clochard.
Perché ha rimandato l’apertura? “Voglio essere sicuro: le norme sono state date la sera per la mattina, io avevo chiesto alle istituzioni, anche come Ambasciatore del Gusto, di darci del tempo per formare il personale e adeguarsi alle disposizioni. Poi il protocollo è arrivato, ma credo che le interpretazioni debbano essere fatte in maniera equa e uguale per tutti, mentre ci troviamo di fronte alle diverse interpretazioni delle regioni, per esempio sui congiunti a più o a meno di un metro”, spiega. “E poi voglio aspettare perché secondo me il cliente non è ancora pronto ad andare a mangiare fuori”, aggiunge.
Come si è preparato ad affrontare la Fase 2 bis? “Ho fatto dei lavori in pizzeria: ho stravolto i laboratori per i percorsi (per migliorarli), ho messo dei segnalatori nei bagni per far entrare le persone una alla volta, cercato di ridistribuire i flussi in maniera facile e discreta, ho creato una seconda entrata/uscita della pizzeria per la sicurezza dei clienti, anche perché per i prossimi mesi prenderò solo ospiti su prenotazione, disponendo i tavoli a oltre il metro di distanza. Avevo pensato ai turni, ma per non fare incrociare nel vicolo le persone che entrano o escono tutte nello stesso momento, sto cercando un sistema che permetta di gestire le prenotazioni in maniera sfalsata. Tra l'altro io già avevo il menu digitalizzato, ora sarà possibile vederlo attraverso un QRcode. I coperti? Passeranno da 150 a 80, non ho voluto mettere il plexiglass tra i tavoli. Inoltre, stiamo cercando soluzioni per la sicurezza”.
Non mancheranno le novità, come spiega Pepe. “Al cliente darò una carta, ‘Il patto di alleanza’: noi vogliamo sopravvivere, ma nell’incertezza scientifica e istituzionale, credo che questa sia l’unica soluzione”. Di cosa si tratta? “È un patto di collaborazione col cliente. Per esempio, per evitare che i camerieri tocchino le posate usate dagli ospiti, chiederemo ai clienti di riporre forchetta e coltello in un sacchettino”. Cosa ne sarà di Authentica, la pizzeria più piccola del mondo all’interno di Pepe in Grani, destinata a rendez-vous gastronomici stellati? “Non morirà, ma la farò ripartire con calma”, racconta il pizzaiolo. Chi cercherà uno spazio intimo e tranquillo sarà comunque accontentato, con i tavoli da degustazione all'aperto. “Ho deciso di mettere a disposizione degli ospiti un piccolo giardino, che era mio (l’unico angolo che mi ero conservato). Ecco, lì ci saranno tre ‘tavoli da meditazione’: uno spazio dedicato a chi vuole mangiare la pizza nel silenzio”.
Matteo Aloe e la "digitalizzazione umana" della gestione
Matteo Aloe, anima di Berberè assieme al fratello Salvatore, sta gestendo la riapertura di 12 pizzerie, in diverse città d'Italia. "La riorganizzazione non è facile, abbiamo dovuto comprendere e adeguare i diversi punti vendita alle norme regionali", racconta. "Non abbiamo ancora riaperto tutte le pizzerie, in alcuni casi - come nei locali di Milano Isola e di Milano Centrale - stiamo facendo dei lavori per schermare le cucine con vetrate trasparenti: prima erano aperte sulla sala, talvolta posizionate vicino al passaggio dei clienti", spiega.
Berberè, durante il lockdown, assieme alla pizza ha consegnato a tutti anche un pezzo di pasta madre. Come è andata? "Noi abbiamo riaperto le pizzerie il 3 aprile per il delivery, per mantenere un contatto con i clienti. Abbiamo fatto una telefonata con i ragazzi (150 dipendenti in tutta Italia, ndr), che volevano all'unanimità tornare al lavoro. Prima abbiamo attivato la consegna a domicilio su otto locali, poi se ne aggiunti altri due a maggio. Mediamente, abbiamo preparato un centinaio di pizze al giorno, Milano e Bologna erano città già molto abituate alla consegna a domicilio, e lì abbiamo lavorato molto bene. Abbiamo anticipato la cassa integrazione, per evitare di fare trovare di punto in bianco tutti senza stipendio, poi abbiamo messo in atto la rotazione del personale per il delivery. Siamo stati aiutati anche dai fornitori, con cui abbiamo un buon rapporto di fiducia: molti hanno consentito una dilazione per il pagamenti. È stata molto dura, ma adesso dobbiamo riorganizzarci, con tutta la squadra, per provare a vincere questa partita nell'altra metà del campo: siamo convinti che non possiamo stare fermi e buttare dieci anni di lavoro, abbiamo anche senso di responsabilità verso i dipendenti, vogliamo trovare soluzioni con qualche novità", aggiunge.
Le novità per la ripartenza? "Sicuramente lavoreremo sull'organizzazione interna: ci stiamo concentrando sull’aspetto digitale della gestione, che stiamo risistemando. Trovo che sia molto importante, perché l’esperienza della pizzeria - con il servizio, l’ambiente e il dialogo coi camerieri - viene conservata solo se ci si accomoda ai tavoli, ma quando si ordina online viene meno. E l’aspetto digitale in questa fase ha avuto una spinta, anche dal punto di vista dell’utenza: basti pensare che il 75% di chi ha ordinato online lo ha fatto per la prima volta, se poi nel futuro rimarranno clienti digitali, non lo sappiamo. Ecco perché stiamo lavorando per migliorare quell’aspetto. Il delivery, che già stava aumentando, è cresciuto ulteriormente in questi ultimi due mesi. Non avendo un contatto diretto con i clienti, e dunque un dialogo, è giusto implementare la parte digitale in maniera umana, nel senso che non mi va - per esempio - di impostare tutto in maniera automatica con un messaggio, ma vorrò avere una persona dedicata alla mansione, che risponde ai clienti".
L'ultimo aspetto su cui sta lavorando il pizzaiolo, infine, è l'introduzione di nuovi fornitori locali, in modo da accogliere sulle pizze, a seconda della città, ingredienti diversi. "Puntiamo ad avere delle collaborazioni territoriali più strette, introducendo prodotti locali, è un'idea che avevamo già in testa da un po’. Così, per esempio, a Firenze prenderemo il lampredotto del chiosco vicino alla pizzeria, a Roma il maritozzo di un pasticcere. È un modo per avere un contatto più stretto con le città dove siamo, ma anche per fare rete e aiutarsi a vicenda, perché i produttori ci aiutano ad aumentare la qualità delle nostre pizze", conclude Aloe.
Simone Padoan e "I Tigli a Casa", la consegna a domicilio in tutta Italia
Si chiama I Tigli a Casa il progetto del veneto Simone Padoan, fuoriclasse della pizza degustazione contemporanea, che dal suo locale di San Bonifacio, I Tigli, ora raggiunge tutta Italia. Ebbene sì, i fan di ogni dove sono accontentati, grazie a un sistema messo a punto dal pizzaiolo in realtà già qualche anno fa. "Nel 2014, durante i mondiali di calcio - racconta - la gente voleva stare a casa a vedere le partite, ma tutti mi chiedevano di poter mangiare nel frattempo una pizza fumante. E così ho messo a punto il progetto: i clienti potevano ordinare in anticipo la pizza e passare a ritirarla nel locale". Ecco allora un box contenente una base della pizza, oltre agli ingredienti per la farcitura, a parte e sottovuoto.
"Durante la quarantena ho ripreso quel format, era il momento giusto, l'ho studiato e l'ho migliorato", prosegue il pizzaiolo. Da maggio quindi ha rilanciato due progetti, I Tigli a Casa (con un nuovo e-commerce che sostituisce il precedente sito, e che permette di acquistare online anche gli altri prodotti da forno di Tigli Lab) e I Tigli in Ufficio, la versione "cicchetto" della pizza, con quattro spicchi. Sul sito web, poi, il cliente può leggere gli step per completare la cottura e la farcitura del prodotto a casa, utilizzando il forno domestico e i fuochi della cucina per le pizze più elaborate. Oltre a vedere il risultato finale da ottenere, perché anche l'occhio vuole la sua parte.
Ma come è possibile consegnare un prodotto fresco in tutta Italia? "Abbiamo trovato un'azienda per il trasporto con catena del freddo. Inizialmente pensavamo di usare il box termico con ghiaccio sintetico o naturale, ma poi abbiamo valutato bene, e abbiamo preferito la catena del freddo, perché in un contesto privato il box termico in polistirolo e il ghiaccio secco da smaltire è impegnativo: abbiamo pensato all'aspetto etico, e la spedizione su gomma con catena del freddo ha di sicuro un impatto minore", spiega Padoan. "Per ora ci sono nove proposte differenti, nell’arco di 20-30 chilometri facciamo noi la spedizione, e come sempre, abbiniamo l’impasto in base al topping, proprio come facciamo in pizzeria",
Ed è tornato molto utile il metodo messo a punto negli anni dal pizza chef: il sistema della doppia cottura dell'impasto, base fragrante da farcire a crudo con i diversi topping studiati in abbinamento. "Al cliente non resta che terminare la cottura, facendo nel proprio forno di casa la seconda cottura", spiega Padoan. "Negli anni ho cercato di adottare un sistema di lavoro attingendo dal mondo della pasticceria: la produzione e la vendita sono in due luoghi separati, ecco perché ho ristrutturato nel 2012, per poter aumentare la gamma della proposta, ma anche la qualità: volevo poter produrre in vari orari del giorno distanti dal servizio del pranzo e della cena, come in pasticceria. E servire in maniera puntuale e impeccabile, con l'impasto cotto alla giusta ora e un'organizzazione settimanale". Un modus operandi che è tornato utile più che mai in questo frangente storico, per il servizio a domicilio.
Per il momento Padoan non riapre la sua pizzeria. "Non ci sono le condizioni giuste, le comunicazioni non sono chiare. Dovrebbe esistere un protocollo sensato, che guardi con attenzione alla ristorazione, differenziando secondo le diverse tipologie di attività, dal ristorante stellato alla pizzeria: abbiamo volumi e flussi differenti, non possiamo avere tutti le stesse regole", commenta Padoan. Il futuro? "Non sappiamo come sarà, cerchiamo di provare iniziative alternative per rimanere nella testa e nel cuore della gente, ma non dimentichiamo mai che la ristorazione dovrà essere anche convivialità e divertimento come una volta".
"Scuderi Prime", il delivery della pizza in tutta Europa
E poi c'è chi non si è fermato alla Penisola, ma ha deciso i valicare i confini italici con i propri lievitati. È il caso di Alessandro Scuderi, pizzaioli alessandrino, che di fronte alla chiusura forzata della pizzeria che porta il suo nome a Spinetta Marengo, si è inventato un delivery inedito: Scuderi Prime.
Ecco allora box con la pizza precotta sottovuoto (la base liscia, oppure farcita con pomodoro e mozzarella) e i salumi per il topping a parte. Un servizio partito per la provincia di Alessandria, che ha esteso a tutta Italia, sino al resto d'Europa. "Ho già fatto spedizioni in Danimarca, in Francia e in Scozia", racconta il pizzaiolo, seguitissimo sui social. "Il mio è un prodotto nato per essere rigenerato in una seconda cottura. Si può anche surgelare, c’è gente che la ordina come base e si fa la scorta. Mi affido a Gls, posso farlo perché non ci sono prodotti freschi: le vegetariane con le verdure crude, per esempio, le consegno solo nella zona", spiega.
Il progetto Scuderi Prime, visto il successo, proseguirà anche con la riapertura della pizzeria, che avverrà con qualche novità. Perché il pizzaiolo ha fatto di necessità virtù, come racconta.
"Prima avevo 80 posti a sedere, il sabato facevo 160 coperti, ma questa quarantena mi ha fatto pensare: diminuirò i coperti, scendendo a 30, aprirò da martedì a sabato (chiuderò due giorni e non uno alla settimana). Prima avevo il laboratorio al piano superiore e la pizzeria al piano inferiore: ho deciso di rinunciare all'affitto del laboratorio e riunire tutto nello stesso locale, tornando ad avere ritmi più lenti - il che non mi dispiace - e a gestire non solo la cassa, ma anche quello che è il mio lavoro di pizzaiolo: mi mancava", racconta.
Insomma, meno coperti, ma più tempo e più idee. La chiusura forzata può portare anche a queste conclusioni.