Non si dice «Ho partecipato alla Fiera del Bue Grasso di Carrù». Questo non è un evento gastronomico a cui si partecipa, ma a cui si sopravvive. Il racconto dell’esperienza sottende una certa dose di stoico eroismo e spensierata incoscienza. Cosa spingerebbe altrimenti un essere umano senziente a svegliarsi nel mezzo della notte e, con temperature vicine allo zero, andare a una mostra di bovini? Perché questo è la Fiera del Bue Grasso: una mostra di capi bovini di razza piemontese che si tiene il secondo giovedì prima di natale a Carrù (provincia di Cuneo) presso il foro boario in Piazza Mercato.
Come si arriva, da semplice fiera commerciale, a diventare l’evento folcloristico più famoso delle Langhe? Inutile cercare risposte su Internet: troverete lo scarno sito del Comune, con numeri telefonici e lista delle future date (nel 2025, per dire, si terrà l’edizione 115). La Fiera, nata nel 1910, si è interrotta solo un anno - il dicembre 1944. C’è soltanto una possibilità per capire come una fiera (con protagonista un bovino) richiami migliaia di visitatori da tutta Italia: andarci.
La sveglia suona in mezzo alla notte che, in questo dicembre piemontese, è fredda e tagliente. Le Langhe sono una distesa di buio e silenzio, almeno finché non si arriva a Carrù, dove le strade iniziano ad animarsi. O meglio, sono già animate: macchine che cercano parcheggio, furgoni che caricano e scaricano, banchetti in allestimento. La fiera si apre alle sei in punto e gli allevatori stanno preparando i loro capi migliori. Circa 150 esemplari di razza piemontese divisi in sedici categorie tra manzi, vitelli, torelli e buoi: una giura ne valuta muscolatura, prestanza e conformità al disciplinare, e segue una premiazione con fasce e gualdrappe.
Anziani piemontesi si aggirano in tabarro fissando con aria grave i giudici che soppesano, valutano e commentano. Chi, appesantito da stanchezza e gelo, fatica ad appassionarsi alle vicende bovine, può rifugiarsi in uno dei ristoranti che propongono brodo caldo, vino e minestre di trippa. Non pensate a un’iniziativa turistica per attirare visitatori altrimenti restii a spingersi fino qui all’alba: quella di rifocillare gli allevatori (che arrivavano a piedi, anche da lunghe distanze) nelle prime ore del mattino è una tradizione antica. Ora i ristoranti si attrezzano con menù tipici e proposte ad hoc, ma l’obiettivo della maggior parte dei turisti è un altro: l’Area Mercatale di Piazza Dante.
È qui che, alle 9, comincia il Bollito Non Stop. Sotto il tendone della Pro Loco Locale viene allestito un ristorante frutto della collaborazione tra ristoratori, produttori e associazioni carrucesi. Il bollito è uno dei piatti più tipici della cucina piemontese, composto da sette tagli di carne (scaramella, punta di petto, fiocco di punta, cappello da prete, noce, tenerone, culatta) e sette frattaglie (gallina, testina, zampino, lingua, lonza, coda, cotechino) e accompagnato da sette salse. A Carrù viene servito un vassoio che ne contiene solo tre: testina, lingua e "magro", oltre a cotechino, salsa rossa e bagnet vert, polenta, tuma langarola, crostata e Dolcetto Dogliani D.O.C.G. Costo? Diciassette euro. Non c’è da stupirsi che la gente faccia la fila dalle prime ore della mattina a sera, e che l’anno scorso ne siano state servite 4000 porzioni.
Usciti (piacevolmente) storditi da cibo e vino, si può gironzolare tra i banchetti del mercato, curiosare nell’esposizione di attrezzature agricole, fare incetta di specialità locali e prodotti tipici. Evento folcloristico, mostra commerciale, mercato locale: innumerevoli sono le definizioni che si possono dare alla Fiera del Bue Grasso, ma nessuna cattura l’atmosfera che ancora si respira a Carrù, la "porta delle Langhe" piemontesi. Una tradizione autentica che continua a perpetuarsi, a dispetto di ogni probabilità o trend. Magia del bollito.