Lo avevamo lasciato due anni fa e lo ritroviamo sulle nevi, a Care’s The Ethical Chef con molte novità: è Francesco Mazzei, lo chef calabrese 43enne che ha fatto amare e conoscere la sua terra all’estero. Prima nella squadra della catena Ciga, poi la Dorchester, apre il Santini a Edimburgo, poi Franco's e L'Anima a Londra. Diventa anche volto noto della BBC come Saturday Kitchen e Masterchef Uk. Ora a capo di un altro progetto: Sartoria. E come poteva chiamarsi un locale che apre i battenti a Savile Row, la via, ossessione di tutti gli uomini più eleganti al mondo?

Cosa è successo in questi anni alla cucina calabrese?
Sempre più spesso non si sente parlare di cucina italiana in generale, si inizia a scoprire la cucina romana, napoletana, lombarda, piemontese. E la Calabria sta avendo il suo momento d’oro. Ogni volta che torno molte aziende da cui mi rifornisco mi raccontano che hanno assunto nuovi dipendenti e questo mi riempie di soddisfazione.
Il New York Times ha stilato la consueta lista dei luoghi da visitare nel 2017 e tra le 52 mete selezionate c'è la Calabria, unica italiana, una meta ancora da scoprire. Senti di avere contribuito?
Sì, credo di avere in parte concorso a questo Rinascimento della mia terra. Ci ho sempre creduto. Ho cominciato anni fa inserendo la 'nduja nei miei piatti. La Calabria piace perché è ancora selvaggia e incontaminata. Un turista oggi si sente quasi un esploratore. Ha il mare, il sole, l’accoglienza, prodotti eccellenti, ristoranti di qualità e convenienti. L’ascesa è cominciata con Pizza Express che mi chiese una consulenza. Ho creato una pizza rettangolare e poi l’ho condita con fiordilatte, 'nduja, pomodorini, peperoncino sott’aceto come usa da noi per dare acidità e alla fine un ciuffo di crescione. Il successo è stato immediato e molti altri chef hanno iniziato a ordinarla e a inserirla in menu con grande successo, come per esempio Jacob Kenedy, chef del ristorante Bocca di Lupo, vicino a Piccadilly Circus.

L’agenzia di stampa Bloomberg ha riconosciuto che l''Nduja ha conquistato americani e inglesi. Perché secondo te e con quali conseguenze?
Prima insegno ai miei clienti a pronunciarla, poi convinco i miei clienti che la 'nduja non è solo aggiungere il “piccante”, è dare complessità e aroma al piatto. È spalmabile, quindi puoi dividerla anche in dosi infinitesimali, è versatile e puoi unirla a ciò che vuoi. E poi è tanto italian style. La conseguenza è che sempre più piccole imprese famigliari hanno ripreso a produrla, invogliate dal mercato. Prevedo che presto sarà famosa come un altro grande ingrediente calabrese: la cipolla di Tropea.
Quali altri ingredienti calabresi vorresti portare alla ribalta? Per i tuoi ristoranti dove ti approvvigioni?
Dove li trovo di buona a qualità. Se non c’è alternativa, li faccio arrivare dall’Italia, se trovo la stessa qualità scelgo il territorio. Per esempio, il cavolo nero lo compro nel Kent dove è fantastico, la carne non ha senso importarla dall’Italia, qui compre la razza allevata in Scozia è ottima. Sto inserendo e facendo conoscere il bergamotto, il cedro della Riviera dei Cedri; la liquirizia Amarelli, la migliore al mondo dal 1731. Gli stranieri non si limitano a ordinare un piatto, vogliono sapere le persone, storia e la geografia che si nascondono dietro a una ricetta. Voglio promuovere anche salumi e formaggi. Per Care’s ho preparato un piatto a base di capesante nel guscio con salsa verde, n’duja, cedro e purè affumicato, tutto cotto in un forno a brace Josper. E poi, un piatto a base di black code alla liquirizia.
Quali sono i prossimi progetti?
Una trattoria vera, sempre a Londra, nel quartiere di Islington dove vivo, si chiamerà Radici. Piatti calabro-italiani con al massimo tre ingredienti, ma che siano il top sul mercato. Semplicissima come la cucina della mamma e intensa per portare avanti il Rinascimento della Calabria.