Due stelle Michelin, tre forchette Gambero Rosso e tanti altri premi collezionati durante la carriera. In un ristorante che è come la sua casa, Gaetano Trovato propone da decenni il suo concetto di fine dining in costante evoluzione e omaggia la sua amata Toscana.
Da Arnolfo, a Colle di Val d'Elsa, in provincia di Siena, lo chef porta in tavola la tradizione regionale ai massimi livelli che, con un estro che non ha paura di osare, diventa alta cucina.
Durante la nostra intervista ci ha raccontato una storia che parte dalla sua gavetta, passata per Francia e Svizzera, per arrivare al lavoro di oggi, diviso tra creazione, selezione delle materie prime locali e il rapporto con lo staff. Ecco cos'ha raccontato a Fine Dining Lovers lo chef stellato.
Com'è iniziato il suo percorso in cucina?
È incominciato tanto tempo fa. La mia mamma era una cuoca eccezionale, faceva tutto in casa. Tutti noi fratelli siamo sempre stati affascinati dal cibo, dai sapori, dalle consistenze. Successivamente, durante gli studi, ho lavorato in un panificio nel centro storico della città e piano piano ho iniziato a viaggiare. Ho lavorato in tante realtà diverse.
Realtà anche estere. Cosa ha maggiormente appreso durante le sue esperienze in Francia e Svizzera?
La costanza, la tecnica e la precisione. In quei Paesi la metodica di chi lavora nella ristorazione è invidiabile, si esige sempre il meglio, in ogni circostanza e in qualunque momento.
Durante la gavetta ha incontrato qualcuno che considera oggi il suo maestro?
Assolutamente sì, le esperienze decisive per la mia carriera sono state quelle da Roger Vergé e da Angelo Paracucchi.
Qual è stato il vero “salto” nella sua carriera?
Quando ho deciso di aprire il ristorante Arnolfo, era il lontano 1982. Avevo tanti timori, da quel giorno però la mia vita è cambiata. Da lì ho iniziato a costruire il mio percorso, una storia che dura da oltre trentacinque anni.
Qual è stata la genesi di Arnolfo?
Tutto nasce dalla mia passione e dall’amore della mia famiglia. Mia mamma mi ha aiutato per un po’. Successivamente, quando ha visto che potevo farcela da solo, mi ha lasciato spazio per esprimermi, tramite la cucina.
Perché nella provincia di Siena?
Sono stato fortunato, da Scicli, terra meravigliosa, la mia famiglia si è spostata negli anni ’70 a Colle di Val D’Elsa, luogo altrettanto incantevole. Sarei potuto andare ovunque ma ho deciso di rimanere nella campagna toscana, che regala scenari irripetibili, nonché materie prime di grande qualità.
La Toscana è infatti molto presente nei suoi piatti...
La Toscana è il luogo che mi ha cresciuto, ha una cucina meravigliosa, di tradizione contadina, piena di gusto. Così bella da reinterpretare. Non a caso un mio signature dish è proprio il piccione di Laura Peri.
Quella del km 0 è dunque una tematica che le è cara?
È il risultato del nostro naturale approccio alla cucina. I nostri prodotti sono per l’80% toscani, mentre il restatente 20% è nazionale.
Seleziona personalmente le materie prime che utilizza?
Sì, per le carni ho da anni i miei cari collaboratori, Laura Peri e Fracassi; per le verdure e i germogli collaboriamo con due appassionati e determinati ragazzi di Colle di Val d’Elsa. I pesci sono tutti nostrani, delle nostre coste. Avendo come obiettivo quello di valorizzare il nostro territorio al meglio, è mia precisa cura ricercare costantemente produttori locali.
C’è un piatto o un ingrediente che la rappresenta più di altri?
Proprio il piccione.
Come descriverebbe l’esperienza enogastronomica del ristorante Arnolfo?
Un contatto graduale nell’essenza della materia prima, che avviene con cura, eleganza e una calda accoglienza.
Una cura e un'eleganza da stella Michelin...
La prima è arrivata nel 1986, avevo solo 26 anni, è stata una grande emozione ed un grande onore.
Oggi vanta ben due stelle, oltre a tre forchette Gambero Rosso ed altri riconoscimenti collezionati durante la sua carriera. Come si mantiene tanta eccellenza sul lungo tempo?
Bisogna rinnovarsi costantemente. La nostra personalità, le passioni, gli obiettivi mutano con il passare degli anni, acquistano sfumature diverse. E sono proprio queste sfumature che ti fanno vedere il mondo con occhi diversi e ti ispirano a qualcosa di nuovo, fresco. L’importante è cercare di dare sempre il meglio di noi, esprimendo costantemente il proprio cuore.
In questo quadro, come si relaziona alla sua brigata?
Cerco di essere un buon leader, sono molto pignolo e rigido per certe cose, ma il mio desiderio è quello di creare un rapporto profondo con i ragazzi con cui lavoro. Sono tutti come figli acquisiti. Il nostro è un ambiente familiare e questo si percepisce anche nei legami che creiamo con i collaboratori.
Quale consiglio darebbe ad un giovane che vuole intraprendere il suo percorso?
Di iniziare dal basso, con umiltà e voglia di imparare. Tutto il nostro percorso è segnato da esperienze belle e brutte, ma sono proprio queste ultime ad avere un impatto maggiore su ciò che diventiamo. Gli direi poi di essere sempre rispettoso degli altri e dell’ambiente in cui si trova.