Fino a pochi anni fa la definizione di gastronomo, come si legge anche sulla Treccani, era strettamente legata a quella di buongustaio. Se oggi, quando parliamo di gastronomia includiamo ambiti prima impensabili — come per esempio la sostenibilità — lo dobbiamo anche ad un piccolo ateneo nato nel cuore delle Langhe: da quando ha inaugurato nel 2004 l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo ha formato circa 3200 gastronomi da tutto il mondo, contribuendo ad ampliare la definizione stessa di gastronomia.
Fondata su iniziativa di Slow Food, in collaborazione con la Regione Piemonte e la Regione Emilia Romagna, l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo si è distinta fin dall’inizio per un approccio didattico estremamente vasto e variegato. Al momento la sua offerta formativa comprende una laurea triennale in Scienze e Culture Gastronomiche in inglese e italiano, due lauree magistrali e otto master, che spaziano dal New Food Thinking all’Agroecology and Food Sovereignity. Corsi ed esperienze sul campo che contribuiscono a formare gastronomi che, lungi dall’assomigliare a viveur appassionati di buona cucina, hanno competenze di politica, economia, ecologia. Una professionalità “addestrata” a operare in uno scenario mondiale sempre più complesso e per certi versi — pensiamo al cambiamento climatico — problematico.
“Oggi si possono trovare notizie, informazioni, video, libri, film, in ogni luogo e su ogni argomento possibile che riguardi il cibo e la gastronomia. Tutti gastronomi, quindi? Decisamente no”, afferma perentorio Nicola Perullo, Prorettore e Professore Ordinario di Estetica e a Pollenzo. “Essere oggi un gastronomo significa, per me, andare molto al di là dell’informazione: ha piuttosto a che fare con ciò che non esiterei a chiamare una consapevolezza di ordine differente, che passa dall’informazione per trascenderla in una formazione di livello ulteriore. Qualcosa di immateriale, di profondamente spirituale ed etico”.
Definizioni che non devono lasciar pensare a un’attitudine solo teorica. In conclusione del suo percorso all’UNISG, dove ha conseguito una Laurea Magistrale in Food Innovation and Management Sharon Mendonce, di origini indiane, ha fatto un tirocinio alla FAO, in cui è rimasta a lavorare come Food and Nutrition Consultant. “Mi ha sempre appassionato studiare il cibo da diverse prospettive, e lavorare in parti diverse del food system,” racconta. “Prima di arrivare a Pollenzo avevo studiato Nutrition & Dietetics, Chemistry and Human Development, poi Culinary Arts. Mi auguravo che l’Università di Scienze Gastronomiche mi avrebbe aiutato a connettere le esperienze fatte fino a quel momento nel 'world of food' in modo che potessi produrre io stessa idee innovative che contribuissero a cambiarlo, il food system. E così è stato. C’è stato tanto da imparare in classe, ma anche nei nostri viaggi sul territorio, e nell’incontro con studenti da tutto il mondo e da diversi background accademici e professionali.”
Secondo Sharon essere un gastronomo nel 2022 significa soprattutto “mettere in discussione cosa significa ‘buono’ riferito al cibo. E riconoscere che ci sono diverse interpretazioni di ‘buono’ — anche perché la maggior parte di noi vive in società multiculturali.”
Quando quasi vent’anni fa, in questo campus alle porte di Bra, la cittadina piemontese dove si trova il quartier generale di Slow Food, è iniziato il progetto costruito sulla figura del gastronomo, quello della cucina e della ristorazione era ancora un settore (relativamente) di nicchia. Di cibo, adesso, si parla tanto — e ovunque. Ma parlare di cibo, operare nel cibo, capire il cibo è sempre più difficile. Eleonora Bergoglio dell’Alumni Network spiega come sia fondamentale far sì che i ragazzi riescano a “inserirsi nelle connessioni tra i diversi campi. Non puntiamo a dare una specializzazione eccessiva ma a fornire uno sguardo ampio d’insieme e rifornire il loro arco di frecce. Post-pandemia la loro professionalità si è spostata ancora più online: molti ragazzi si occupano di storytelling del cibo o lavorano in app innovative. E sempre più sono interessati al discorso delle food policies.”
Sophie Huntke, tedesca, per esempio, ha frequentato il Master in Food Culture and Communication e ora è Team Lead Sales dell’app TooGoodToGo che cerca di ridurre gli sprechi nel mondo alimentare: “Volevo lavorare con qualcuno che cercasse di rendere questo mondo più sostenibile. Geografia, storia, legislazione, marketing, durante l’università ho studiato ogni aspetto che potesse entrare in contatto con il cibo. Ma l’insegnamento più importante è che puoi definirti un gastronomo anche se non produci il cibo. Ad esempio se ti interessi del valore del cibo, del fatto che non venga sprecato, anche se non lo fai con le tue mani. Questo ci rende orgogliosi e ci unisce.”
Alessandro Di Tizio, abruzzese, ha frequentato invece la Triennale in Scienze Gastronomiche pensando di diventare cuoco, ma “quando sono entrato ho capito che mi avrebbe dato tutt’altro, per esempio una solida formazione umanistica. Durante il mio percorso mi sono appassionato alla birra artigianale, ma alla fine ho deciso di fare la tesi in etnobotanica. Ho viaggiato il mondo interessandomi al recupero e al salvataggio delle tradizioni legate all’uso di piante selvatiche. E oggi sono arrivato al centro di ricerca e sviluppo del Mirazur, il ristorante di Mauro Colagreco in Costa Azzurra, applicando il foraging all’alta cucina”.
Negli ultimi anni si sono moltiplicate, in Italia e nel mondo, le università che propongono una formazione in ambito gastronomico. Ma il mondo ha davvero ancora bisogno di gastronomi? “C’è urgenza di gastronomi nella misura in cui c’è urgenza di consapevolezza, di pensiero globale e relazionale, di interconnessione. Oggi tutti molto informati grazie alla rete, ma manca l’idea di scoperta,” conclude Perullo. “Il mercato è sempre più frammentato e veloce, quindi le prospettive di carriera possono mutare velocemente”. Ma questo non è necessariamente un male: “C’è chi arriva con l’idea di fare il critico gastronomico e finisce per voler diventare un affinatore di formaggi, chi sogna di fare il ristoratore e diventa manager di una grande azienda: la caratteristica fondamentale della gastronomia contemporanea, insomma, è la sua imprevedibilità, la sua liquidità”.
Tutte le immagini courtesy Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo