Il Pomiroeu, ristorante stellato nato nel 1993, il Phi Beach, ristorante estivo dal 2011 in Costa Smeralda, la Trattoria Trombetta a Milano dal 2015, il Bulk, mixology food bar e il Morelli Milano, ristorante gastronomico aperto nel 2017. Sono questi i locali di uno chef stellato dalla forte creatività e dalla personalità sfaccettata che, in questi anni, ha portato avanti uno stile di cucina con il fil rouge dell’eleganza, della ricerca e della sostanza nel gusto.
Da Giancarlo Morelli non troverete mai solo apparenza, ma concretezza e serietà, pronte a volare sulle ali della creatività. Lo chef bergamasco, ormai "adottato" da Milano non scende mai compromessi in cucina: ciò che si trova nel piatto è frutto di anni di lavoro e del più profondo rispetto per il cliente e la materia. Un cuoco-imprenditore che quest’anno festeggia i 46 anni di “cucina in cucina”, come ma dire lui.
Il ristorante Morelli Milano
Quando ha detto la prima volta: "Io voglio fare il cuoco".
A 8 anni lo sapevo già. Alla mensa della scuola c’era un odore così sgradevole che mi sono detto: “Non mangerò mai più così!”. Già allora avevo un senso del gusto molto spiccato. Vengo da una famiglia di contadini e fattori che metteva sulla tavola sempre alimenti di prima qualità e prodotti nei campi vicino a casa. Mia madre era una cuoca talentuosa senza saperlo. La sua casa era sempre piena di gente perché "dalla rosa a mangiar bene", dicevano tutti. E mio padre era cacciatore, quinidi sono cresciuto a suon di selvaggina, che amo ancora oggi.
Dove ha studiato?
Quest’anno festeggio i 46 anni di "cucina in cucina". Non ho mai smesso di stare dietro ai fornelli. Quando ho deciso iscrivermi all’Istituto alberghiero è stato un "terremoto familiare" perché allora quello del cuoco non era un lavoro ben visto. A S.Pellegrino Terme, dove ho mi sono diplomato, negli anni Settanta eravamo solo 60 iscritti divisi tra sala bar cucina e amministrazione d'albergo. Oggi è cambiato tutto.
Il capriolo
La sua prima esperienza di vita?
Da migrante negli Stati Uniti. Ho preso la parte positiva del lavoro del cuoco: riuscire a viaggiare senza soldi (ride n.d.r.). Sono andato prima in California e poi mi sono imbarcato sulle grandi navi. Ricordo ancora la Pacific Princess, la famosa "love boat". Ero junior cook. Ho ricordi bellissimi di quel periodo: sembrava una storia scritta da una penna che già conosceva come sarebbe andata la mia vita.
Chi è stato il suo grande maestro?
Il più grande maestro, di cucina e di vita, l’uomo che mi ha insegnato a capire la durezza e la bellezza di questo lavoro, si chiamava Ferruccio Traini. Mi ha fatto capire che per arrivare a dei veri traguardi avrei dovuto lasciare tutto e dedicarmi completamente a questa passione. E' stato il mio primo insegnate alla scuola alberghiera, chef sulle navi e nei grandi albergi svizzeri. E, soprattutto era un reduce di Russia, della ritirata di Nikolajevka e quini la “cucina antispreco”, di cui si parla tanto oggi, la conosceva bene. Tra le prime cose che mi ha insegnato è stato il rispetto: del contadino, del territorio, del cibo stesso. Era un uomo illuminato.
Capasanta farcita al tartufo nero,salsa all’aglio dolce
E poi la Francia.
Sì, un'esperienza in Francia non può mancare nel curriculum di un grande cuoco. Ho lavorato con Bernard Loiseau, che mi ha insegnato disciplina e tecnica. E poi con i Fratelli Troisgros e Roger Vergé. Ricordo che Vergé mi diede fiducia e un giorno mi disse di fare gnocchi e ravioli per lui, era un amante della cucina italiana. Li amò così tanto che li mise nei suoi menu. Fu una grandissima soddisfazione: avevo 21 anni.
Nel 1993 apre il Pomiroeu a Seregno, e da lì parte tutto.
E’ nato anch’esso per istinto e per caso. Era una trattoria storica del 1849 che faceva cucina tipica. Io mi sono innamorato subito di quel luogo. Volevo rivoluzionare la Brianza con la mia cucina. In quel momento, però, il pubblico non era preparato per una rivoluzione e quindi ho capito che non avrei potuto sopravvivere “spingendo troppo”. Così ho mediato: ho iniziato a fare una cucina tradizionale ed elegante. Tra i miei piati più apprezzati, ancora in carta oggi, c'erano il risotto allo zafferano con midollo e riduzione di vino rosso e la cotoletta alla milanese “nobilitata”, preparata con carrè di vitello con osso e burro chiarificato. Un successo.
Quando è arrivata la stella?
Nel 2009. La guida è stata colpita dalla mia continua ricerca e dalla voglia di sperimentare. Erano gli anni in cui cominciavo a viaggiare in Libano, Argentina e Perù.
Lo chef's table del Morelli Milano
Ci parli del Perù, che è il suo grande amore.
E’ stata un’illuminazione a Damasco. Per me diventa un’ossessione positiva. Quando arrivai la prima volta non pensavo potesse incuriosirmi così tanto. A quei tempi nessuno ne parlava. Fui quasi “forzato" al viaggio da due amiche, Beatrice Peruzzi e Barbara Bocci. Lì ho scoperto che quel Paese era una fonte inesauribile di biodiversità. Pensavo fosse una caratteristica solo italiana, invece no. In Perù al mercato si possono trovare dal grande baco della palma da mangiare crudo fino a 1500 qualità di patate differenti, ciascuna con una peculiarità di cottura. Per me è stato uno shock: mi sono innamorato dei profumi di questa terra.
Mise en place - Morelli
Che influenze ha avuto sulla sua cucina?
Un’influenza immediata. Ho iniziato a lavorare sulle marinature veloci a base di lime, brodo di pesce, spezie e peperoncini di diversi tipi, ispirandomi al ceviche. E poi le cotture per concentrazione di gusti come il Chicharrones, a base di pancia del maiale che viene coperta di acqua, poi lasciata evaporare fino a che la parte esterna della carne non diventa croccante: un ottimo modo per cucinare senza aggiungere grassi ulteriori. Mi ha colpito anche l'utilizzo delle erbe e degli agrumi per insaporire, al posto del sale. Hanno cerfoglio, maggiorana, bucce di lime e coriandolo.
Qual era il tuo piatto preferito quando eri in Perù?
Il mio piatto preferito era la Causa, una sorta di timballo di patate arricchito, di volta in volta con pollo, avocado, maialino d’India, granchio. E’ un grande piatto antispreco.
La Causa di pollo e avocado - foto Annalisa Cavaleri
Il suo piatto-icona ispirato al Perù.
Un ceviche di pesce di acqua dolce, il salmerino di montagna, con una polenta di mais e bacche di mirtillo essiccate. Qui si uniscono due culture all’insegna del mais, base fondamentale della mia cultura bergamasca perché legato alla polenta. I peruviani, invece, loro usano fritto, spesso come snack. Inoltre c’è il tocco di acidità che rimanda alla loro scuola e la connessione di un pesce marinato con le acidità.
Che ingredienti peruviani usa nella sua cucina?
Il rocoto, un peperone largo dal gusto dolce, che uso per dare carattere ai brodi, l’aji amarillo, un peperoncino lungo giallo che si usa per le salse, il mais morado, un mais scuro da cui si ottiene la chicha morada, che è una bevanda poco alcolica derivata dal mais, il charrapita, peperoncino amazzonico dalla forza incredibile, la hakatay, un’erba dal sapore tra il sedano e il coriandolo.
Dove possiamo assaggiare questa cucina italo-peruviana?
Al Bulk, Mixology food bar e al Morelli Milano, il ristorante gastronomico che prende il mio nome, che si trova in via Fioravanti 4, in piena Chinatown. Qui si possono trovare piatti come l’Aeroporto, riso cotto con brodo di pollo e verdure, erbe peruviane e uova strapazzate, e la Causa de Cangreco, un timballo a base di patata amarilla, a pasta gialla e dal gusto rotondo, con granchio cotto a vapore, avocado a fettine, cipolla rossa e crema Huancayna, una salsa piccante a base di aji amarillo affumicato che ti fa sentire in montagna.
Organizza momenti conviviali legati al “vero Perù” in Italia?
Sì, invito spesso al Bulk e al Morelli Milano grandi cuochi peruviani come Pedro Schiaffino per serate a base di Pisco, distillato simbolo del Perù, cibo e musica peruviana. La nostra rivisitazione del Pisco Sour è il Capitano, fatto con Pisco, Vermouth rosso e Patchouli, radice della pianta che cresce nella Foresta amazzonica.
Su cosa sta lavorando ora?
Sulle varietà antiche di patata, ciscuna con un gusto diverso. C’è il tipo huayro, patata di forma allungata dalla consistenza farinosa che si usa per fare le patate al forno, c’è la patata Amarilla, dal colore giallo intenso, perfetta per i purè e la Causa, la Huamantanga, patata bianca che si usa per accompagnare gli stufati e, infine, la patata Negra, dal colore viola e il gusto dolce che può essere fritta e accompagnata con una salsa agrodolce.
Lo chef Giancarlo Morelli
Che cucina fa oggi al Morelli Milano?
Il Morelli Milano oggi è la punta di diamante delle mie attività qui perché qui ho la mia massima libertà di espressione. Il menu è complesso e concentra le mie esperienze di viaggi.
Qualche esempio pratico?
Tagliolini di betulla con crema di radice di prezzemolo affumicato, salmerino e le sue uova, Gnocchi di patate e canapa di montagna con fonduta di formaggio di alpeggio e tartufo bianco, Rombo scottato con meringa al pomodoro e salsa al burro bianco, Filetto di capriolo con marmellata di mandarino cinese, salsa al ribes rosso e cioccolato.
Il dolce che la rappresenta di più?
Pane e latte, un dolce che mi ricorda la mia infanzia. All’interno si trovano 4 consistenze del latte: pop corn gelati di latte fatti con l’azoto liquido, crosta di latte, come quella che resta attaccata al padellino quando lo facevi bollire a lungo, gelato al fior di latte e crema di latte. E, poi, c’è il pane, che una volta si inzuppava nel latte e che io trasformo in una mattonella di pane bagnato nel latte, mixato con zucchero di canna caramellato. Un vero comfort food democratico che fa tornare bambini.
Il dolce Pane e Latte - foto Angelo Romeo
Uno dei suoi must al Morelli Milano, infatti, è il pane e il cestino del pane.
Quando l’ospite arriva al tavolo, il responsabile di sala mostra due impasti crudi a base di farina ai 5 cereali e uno a base di farina italiana macinata a pietra bio. Le stesse pagnotte vengono cotte al momento e portate in tavola con cracker e grissini di farina di mais stirati a mano all’olio extravergine di oliva. In accompagnamento, golosissimo burro di Baratte artigianale della Normandia. Il lievito madre mi accompagna da sempre. Il pane è vita e la vera cura dell’ospite parte dalle cose semplici. Questo, per me, è sentirsi davvero a casa.