"Al Veritas cerco sempre di guardarmi intorno e capire cosa vuole la clientela". Con queste parole lo chef Gianluca D'Agostino descrive un aspetto importante del suo lavoro: rinsaldare ogni giorno il legame fra alta cucina e i frequentatori del suo ristorante napoletano.
Di origini irpine, nel 2010 lo chef approda a Napoli dopo molte esperienze nei migliori ristoranti italiani ed europei. Il Veritas è nel pieno centro del tempio della buona cucina partenopea di Corso Vittorio Emanuele, ed è proprio qui che lo chef propone ai suoi clienti piatti basati sui sapori tradizionali e su ingredienti di stagione, con una reinterpretazione dall'estro e dalle nuove tecnologie.
In questa intervista a Fine Dining Lovers Gianluca D'Agostino parla della sua cucina, dando la propria opinione sulla sua città d'adozione e sui giovani chef.
Come descriverebbe la sua cucina a chi non la conosce?
Una cucina contemporanea intesa come un mix fra tradizione e modernità. Il Veritas è un ristorante gourmet che spazia fra pesce carne e verdure, e che presta molta attenzione al territorio con piatti che hanno un forte legame con la tradizione. A questa si aggiungono metodi moderni: diverse cotture, grazie all'ausilio di nuove tecnologie e attrezzature che ci permettono di cucinare a temperature controllate.
Da dove nasce l'idea per un suo piatto?
I miei piatti combinano insieme istinto e manipolazione. Parto sempre da un ingrediente principale, per i secondi in particolare; è proprio la materia che mi spinge ad uno studio più attento, perché per inserire una ricetta in carta ho bisogno di capire come farla in cucina, di quanto tempo necessita per essere preparata e qual è il modo più efficace di presentarla ai clienti.
Non solo creatività dunque: quali sono le cose a cui uno chef deve pensare per dirigere bene una cucina?
Bisogna essere sempre molto attenti a costi e risorse, bisogna poi sapere chi sono i fornitori, quando consegneranno e ovviamente come gestire il personale. Uno chef ha molte cose di cui occuparsi: la gestione pratica è una parte importantissima di questo lavoro.
Qual è l'ingrediente di cui non può fare a meno?
Potrei dire l'olio extravergine d'oliva, un elemento base della cucina italiana, ma la materia prima che cerco sempre di inserire in menu sono i friarielli. Cerco di riproporli in varie forme e sono sempre a disposizione in cucina, se sono di stagione ovviamente. È uno dei pochi ingredienti che metto in carta sempre volentieri.
Cosa pensa della scena ristorativa campana negli ultimi anni?
Quella campana è una delle cucine tradizionali più gustose e piacevoli, ma la situazione ristorativa, soprattutto a Napoli, non è buona come dovrebbe. I ristoranti sono un po' lo specchio della città: complicata e abbastanza povera. Si è di fronte a ristoranti che propongono menu a basso costo che, spesso, corrisponde a una bassa qualità. Continuano a esserci dei posti tradizionali molto buoni e il 15% delle pizzerie è davvero di alto livello, ma è ancora troppo poco per la terza città d'Italia.
Qual è secondo lei il futuro della cucina italiana?
L'Italia sta passando un periodo molto difficile, ma spero che fra 50 anni la situazione cambi, soprattutto per quanto riguarda la cucina. Spero che ci sia in futuro più attenzione nei confronti delle cucine regionali, un patrimonio vastissimo che secondo me non è stato ben valorizzato. Questo si ripercuote, infatti, anche sulle nuove generazioni di cuochi, che non sanno più fare un gateau di patate come si deve, per esempio, ma che si lanciano invece in piatti più complicati. Il rischio è che ci sia una vuoto e questo non va bene soprattutto perché siamo ancora noi il punto di riferimento gastronomico mondiale, è qui che gli stranieri vengono ad imparare come si cucina.
Cosa bisognerebbe quindi insegnare ai giovani chef?
Il discorso è complesso, e ovviamente bisognerebbe partire dalle scuole alberghiere e finire con blog e magazine, che hanno una grande influenza sulle persone e soprattutto sui più giovani. Proprio i giornalisti e i blogger dovrebbero iniziare a capire e divulgare l'idea secondo cui è l'esaltazione del nostro patrimonio gastronomico la via per il successo. Molti magazine continuano ad esaltare un tipo di cucina improponibile, che non ha una vera e propria domanda commerciale. Il giovane chef cerca di seguire questi modelli senza rendersi conto che quello è un punto di arrivo, e non il modo di lavorare comune. Io lo dico spesso ai ragazzi che lavorano con me: "bisogna fare una ristorazione che incontri il favore della clientela, è questo il nostro lavoro.
Uno chef che secondo lei rappresenta in questo momento l'Italia.
Ce ne sono tanti: solo fra le mie conoscenze ci sono Gennaro Esposito, la famiglia Iaccarino, Gianfranco Vissani.
Il locale più innovativo che ha visitato di recente?
Il ristorante che mi ha colpito di più negli ultimi tempi e il Relais Blu a Massa Lubrense.