Dopo esperienze in locali cult della capitale come Caffè Friends e Banana Republic, oggi Giulia Castellucci è socia di Co.So, sempre a Roma. Qui si occupa naturalmente anche del bar, realizzando una carta in cui drink e food si fondono, parlando lo stesso linguaggio.
L'intervista di Fine Dining Lovers a Giulia Castellucci.
Com'è iniziato il suo percorso nel mondo dei bar?
La mia carriera come bartender inizia con subito dopo aver concluso la scuola Flair Project con Francesco Spenuso. La prima esperienza che feci fu al Caffè Friends in piazza Fiume, storico locale romano che ora purtroppo ha chiuso. Allora la direzione del bar era affidata a Cristian Lorusso, ideatore della competition had2had. Partecipai alla prima edizione del contest ed arrivai in finale. Ero l'unica donna.
Quanto durò la sua esperienza al Caffè Friends? Cosa le ha lasciato?
Nella permanenza lì, durata circa due anni, ho imparato non soltanto l'arte della buona miscelazione, che nel locale toccava vette piuttosto alte, ma anche aspetti fondamentali dell'accoglienza e del lavoro di squadra. Nell'ultimo anno al Caffè Friends divenni capo barman. Avevo 23 anni e fu incredibilmente formativo.
E casa accadde dopo quei due anni?
Dopo un periodo di pausa di circa sei mesi, il maestro Paolo Sanna mi convocò per un colloquio al Banana Republic. Lì iniziò una nuova avventura che durò tre anni. Dopo due decenni di staff praticamente solo maschile, per la prima volta si vide una bartender donna dietro al bancone. Fu sicuramente l'esperienza più formativa di tutta la mia carriera. Fu grazie a quanto appreso lì che riuscii ad esaudire quello che è il più grande desiderio di ogni bartender: quello di aprire il mio locale.
Si riferisce naturalmente a Co.So.
Sì, Co.So è la creatura che condivido con lo chef Riccardo Bucci e Benedetto Guarino. La scelta non fu casuale: fu lì che, nel 2016 girai Spirits. I maestri del cocktail, programma del Gambero Rosso con Massimo D'Addezio. Si tratta di un piccolo locale. La dimensione ridotta ci consente di focalizzarci al meglio sul cliente, sull'ospitalità e la cura per ogni dettaglio.
Ha avuto anche altre esperienze a livello televisivo?
Nel 2019 abbiamo ideato ideato e prodotto una trasmissione televisiva andata in onda su La7d. Si chiamava Drink me out, realizzata in collaborazione con Giampiero Francesca e Massimo Macrì. Eravamo co-conduttori.
Come riassumerebbe la sua idea di miscelazione?
Semplice e al contempo ricercata. Portiamo avanti un progetto denominato Contaminescion, in cui il bar si fonde con la cucina, non tanto a livello di abbinamenti quanto proprio a livello di ricette.
Un aspetto che richiede particolare ricerca.
Vero, anche se in realtà la ricerca inizia ben prima del tema "abbinamenti". Parte delle materie prime. Un passaggio che, per quanto per molti possa scontato, rappresenta un punto fondamentale in cui coltivare la relazione direttamente con i produttori e le aziende. Aspetto che ci permette di acquisire conoscenza del prodotto in tutte le sue sfaccettature.
Con tutte questa premesse, cosa ci può dire sulla drink list di Co.So?
Sarà suddivisa secondo i sistemi che compongono la psiche umana: Conscio, Subconscio e Inconscio. Creando appunto tre dimensioni. Ad ogni dimensione corrisponderanno 5 drink. Proponiamo un’esperienza ibrida tra food e drink, che non appartiene né completamente all’atto del bere né a quello del mangiare. Non consideriamo infatti il food ed il beverage due mondi paralleli ma un unico modo in cui non esistono delle regole precise, in cui tutto è possibile.