Quando si parla di cucina italiana, si tende a pensare solo alle sue radici contadine: i piatti poveri nati dalla fame e dalla scarsità di materie prime, il riutilizzo degli scarti. E si dimentica che la storia gastronomica del nostro paese è stata scritta, o meglio imbandita, anche sulle tavole nobiliari.
Tavole che ci vengono raccontate ne Gli Aristopiatti, edito da Guido Tommasi e in libreria da domani, dove Lydia Capasso e Giovanna Esposito ci conducono alla scoperta della cucina aristocratica italiana. Un excursus tra i secoli e le casate, in mezzo ai principi, ai conti e ovviamente ai loro cuochi personali. Settantadue ricette splendidamente narrate - senza pretese di documentazione filologica, ma con tanto gusto per il racconto - divise in sei territori.
Si passa dai grissini per un inappetente erede dei Savoia allo stoccafisso di veneta memoria, saltando tra i secoli e i palazzi. Ma non pensate ci siano solo ricette complesse (e pesanti) come la Bomba di riso amata da Elisabetta Farnese o il Timballo di maccheroni dei monzù, i cuochi dei nobili durante la dominazione borbonica: nel libro trovate anche una semplice Zuppa inglese, popolare alla Corte degli Estensi, o la Coppia ferrarese ispirata alle bionde trecce di Lucrezia Borgia.
Particolarmente simpatica la sezione finale, dove gli esponenti "contemporanei" di casate nobiliari propongono ricette di famiglia a cui sono particolarmente affezionati. Difficile decidere se ci si sorprende di più nello scoprire che esiste una persona che risponde al nome di Valentina Accattatis Chalons d'Orange, o che la sua ricetta del cuore è una semplicissima ciambotta di verdure.